Chi l'ha detto?/Parte prima/12

Capitolo 12

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§ 12.



Buoni e malvagi





Infinito è il numero delle umane miserie e debolezze, da cui pochi possono dirsi veramente immuni.

209.   Homo sum: humani nihil a me alienum puto.1

(Terenzio, Heautontimorumenunos, a. I, sc. 1, v. 25).

verso di cui narra S. Agostino (Epist. 51) che aveva la potenza di far echeggiare di applausi tutti i teatri plena stultis indoctisque (cfr. S. Paolo, Lett. ai Rom., 3, 23).

Molte volte ci tocca pure di ripetere col Petrarca:

210.    ....Tutti siam macchiati d’una pece.

ovvero con Orazio:

211.   Iliacos intra muros peccatur et extra.2

(Epist., lib. II, ep. 2, v. 16).

Per cui all’umano fallire molta indulgenza si deve avere, e soltanto si ha da serbare la severità per gli errori dovuti ad animo veramente pravo, tanto più che anche il buono può errare, e guai se il buono si guasta! chè,

212.   Corruptio optimi pexima.3

(S. Gregorio Magno, Moralia in Iob).

Del resto pare che il mestiere dell’uomo buono fosse un mestiere screditato fin dai tempi di Marziale, il quale negli Epigrammi (lib. XII, epigr. 51) scrisse che

213.         ....Semper homo bonus tiro est.4

[p. 56 modifica]e Cicerone ne adduceva la ragione nelle Epist. ad Quintum fratrem (lib. I, ep. I, 12): «Ut quisque est vir optimus, ita difficillime esse alios improbos suspicatur.» Anche Biante (Fragm. phil., ed. Mullach, I, pag. 228, n. 7) scrisse: Οἱ ἀγαθοὶ εὐαπάτητοι.

Nuovi argomenti per mostrare che non sempre la sorte è propizia ai buoni, si cercheranno in un verso di un altro satirico latino:

214.   Dat veniam corvis, vexat censura columbas.5

o in quelli del Petrarca:

215.                               ....Morte fura
Prima i migliori, e lascia star i rei.

(Petrarca, Sonetto in vita di M. Laura,
num. CXC secondo il Marsand, comincia
Chi vuol veder quantunque può Natura;
ed. Mestica, son. CCX).

216.   Rari sono i birbanti poveri.

Come se non bastasse ai tristi di avere molte volte benigna la fortuna, può capitare loro di riscuotere per le loro male arti quell’ammirazione che dovrebbe essere riserbata alla virtù; eppure è innegabile che

217.   Il y a des héros en mal comme en bien.6

(La Rochefoucauld, Maximes, § CLXXXV).

Però il malvagio è privo di altri conforti che non mancano all’onest’uomo:

218.         Il maledetto non ha fratelli.

(Nabucco, dramma lirico di Temistocle Solera,
mus. di G. Verdi, a. II, sc. 4).
e s’egli per esempio macchiò le colpevoli sue mani del sangue dei suoi simili, dovrà sperimentare la verità di questi versi:
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219.   .... Chi versa l’uman sangue, il sente
   Odorar nelle mani eternamente.
   Dopo l’ora mortal, tutta la vita
                                        Non è finita!

(Prati, Canti per il popolo: Vendetta).

Mi torna pure alla memoria una fiera risposta di un giusto ai suoi nemici, che solitamente è così citata:

220.   Il y a loin du poignard d’un assassin à la poitrine d’un honnête homme.7

ed è attribuita al presidente Mathieu Molé. Questi in una sommossa di Frondisti che erano entrati tumultuando nel suo palazzo (1651), volle scendere nel cortile a udire i loro reclami. L’abate Chanvallon, poi arcivescovo di Parigi, voleva dissuaderlo dall’esporsi a questo pericolo: «Jeune homme, rispose il fiero magistrato, il y a plus loin que vous ne pensez du poignard d’un séditieux au cœur d’un honnête homme,» e scese. I tumultuanti gli si scagliarono contro con ingiurie e minaccie: ma egli, senza perdere la calma, ordinò loro di escire, altrimenti gli avrebbe fatti impiccare; ed essi uscirono intimiditi dalla sua intrepidezza (Nouv. biogr. générale par F. Didot frères, to. XXXV, col. 826). Ma questa risposta non ha alcuna autenticità. Pare che il Molé si limitasse a dire ai sollevati meno drammaticamente ma con pari coraggio: «Quand vous m’auras tué, il ne me faudra que six pieds de terre.»

Dei tristi può dirsi con Virgilio.

221.           Ab uno disce omnes.8

ma veramente Virgilio scrisse un poco diversamente, parlando dello spergiuro Sinone, per la cui fraude il cavallo pieno d’armati entrò nelle mura di Troia:

Accipe nunc Danaum insidias et crimine ab uno
Disce omnes.

[p. 58 modifica]E delle opere dei tristi, è sempre infallibile il giudizio di Seneca:

222.             ....Cui prodest scelus,
        Is fecit.9

Chiuderò citando questi notissimi versi di un autore celebre, che bene esprimono il misto di sentimenti che desta un uomo in cui alberghino grandi virtù unite a grandi colpe. I versi sono del nostro Manzoni:

223.             Segno d’immensa invidia
              E di pietà profonda,
              D’inestinguibil odio,
              E d’indomato amor.

Note

  1. 209.   Sono uomo, e nulla di quanto è umano credo che non mi tocchi.
  2. 211.   Si pecca tanto fra le mura d’Ilio quanto fuori.
  3. 212.   I buoni quando si guastano, diventano pessimi.
  4. 213.   L’uomo buono sarà sempre un principiante.
  5. 214.   La critica è indulgente con i corvi, ma non dà pace alle colombe.
  6. 217.   Ci sono degli eroi nel male come nel bene.
  7. 220.   C’è molta distanza fra il pugnale di un assassino e il petto di un galantuomo.
  8. 221.   Da uno conoscili tutti.
  9. 222.   Autore del delitto è colui al quale esso giova.