Che cos'è la matematica/Che cos'è la matematica
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Che cos’è la matematica?1
alessandro padoa (Genova)
A circa due millenni e mezzo risalgono sicure testimonianze del misterioso prestigio onde la Matematica si cinse per sempre al cospetto degli uomini; e l’eco non è ancor spenta del grido di reverente ammirazione che salutò le scoperte con le quali il genio di Talete e di Pitagora arricchì quel primo tesoro di coltura geometrica ed astronomica, che i Fenici e gli Egizi avevano accumulato nei secoli.
E, quantunque molte altre dottrine, che in quel tempo remoto germinavano appena, sian oggi in pieno rigoglio di sviluppo e producano fiori e frutti in gran copia, ancora non è chi non veneri l’antica quercia gloriosa, e nella Matematica non riconosca la Scienza delle scienze.
D’onde così universale consenso?
Certo, fra i popoli civili non v’è uomo così incolto che delle nozioni matematiche fondamentali non si giovi ormai quotidianamente, nei più semplici atti di compra-vendita o nell’esercizio dei più umili mestieri; ma egli le ha trovate diffuse intorno a sè, come l’aria e la luce, e di nulla forse stupirebbe quanto di apprendere che vi fu tempo in cui, anche per i dotti, tali nozioni erano ignote o malcerte.
Sicuramente, chiunque abbia frequentato una scuola — ancorchè la Matematica gli abbia inspirato più sgomento che simpatia ed ora non se ne giovi più dell’uomo incolto — non può non avere intuito, sia pur vagamente, il pregio e l’importanza di tale disciplina.
Ma forse, ad una fama così concorde, diffusa, e durevole — più che la diretta persuasione delle moltitudini, cui fu e sarà sempre vietata l’intima conoscenza del vero, più che il fervore apologetico de’ suoi scarsi cultori, la cui voce si spegne entro breve cerchia — hanno contribuito e contribuiscono coloro, di più vasta ma pur eletta schiera, che, dopo aver attinto da essa vital nutrimento, mirabilmente lo trasfondono nella Meccanica e nell’Astronomia, nella Fisica e nella Chimica.
Costoro, le cui opere e i cui nomi sono più noti al volgo e che più specialmente egli chiama scienziati, sono gli autorevoli testimoni al cospetto universale della generalità delle formole matematiche e della piena attendibilità dei risultati cui esse conducono. E, loro mercè, il prestigio della Matematica è ormai così indiscusso, che ogni nuova dottrina, la quale abbia con essa meno naturali e immediate attinenze, aspira ad imparentarsi in qualche modo con lei, per nobilitarsi ed assurgere — non sempre meritamente o forse un po’ prematuramente — al grado e all’onore di Scienza.
Ma — se, pur fra gli scienziati, i più la stimano per la fecondità delle applicazioni — al pensatore invece essa appare sovratutto mirabile per la ineccepibile validità degli asserti e per la inoppugnabile vigoria delle argomentazioni: per cui — mentre intorno a lei le ipotesi scientifiche ed i sistemi filosofici sorgono, risplendono, tramontano e cadono nell’oblio — essa sola appare salda e immutabile, quasi fosse in lei qualche intima e misteriosa virtù che la preservi dalla caducità o dall’incessante rinnovellarsi d’ogni umana dottrina.
Gli è appunto a proposito di tal virtù, vera o presunta, che vorrei dirvi alcunchè di quanto io penso, per quanto possa consentirmelo il proposito di essere breve e il desiderio di evitare analisi tecniche affaticanti.⁂
Nelle consuete classificazioni delle scienze, la Matematica vien posta fra la logica deduttiva e le scienze sperimentali; ma tale collocazione consente ancora qualche perplessità.
Ha la Matematica qualche carattere peculiare per cui essa debba starsene solitaria nel posto assegnatole? ovvero, più che fornire un mirabile esempio di applicazione della Logica deduttiva, non sarebbe di questa lo spontaneo ed immediato proseguimento? ovvero, proprio da essa, che porge così valido anzi indispensabile ausilio alle Scienze sperimentali, non incomincierebbe la lunga schiera di queste?
La prima tesi — per cui la Matematica viene pensata come un tutto per sè stante, senza negare per questo ed anzi riconoscendo le sue immediate attinenze con la Logica deduttiva e con le Scienze sperimentali — corrisponde alla tradizione ed all’opinione volgare. Questa tesi ha la sua consacrazione nei nostri ordinamenti scolastici ed è quindi la meno compromettente; è altresì la meno significante e perciò la più facilmente accetta.
La seconda — per cui la Matematica dovrebbe in certo modo aggregarsi alla Logica deduttiva — gode oggi qualche favore, sovratutto per l’opera di un matematico inglese, il Russell, e di un filosofo italiano, il Croce.
La terza tesi — per cui la Matematica va considerata quale Scienza sperimentale, al pari della Fisica e della Chimica — è quella che mi appresto a sostenere dinanzi a voi, per quanto ciò possa sembrare strano a chi conosca soltanto la veste aridamente simbolica di alcuni miei scritti.
⁂
Ma prima devo almeno accennare alle opinioni dei due pensatori, che molto probabilmente si ignorano a vicenda, e di cui ho avvicinato i nomi molto arditamente, poichè non potrebbero esserne più diverse la preparazione anteriore e l’indole intellettuale, nè più opposte le tendenze.
Il Russell, in un suo lavoro poderoso, scritto in parte con la collaborazione del Whitehead, dopo avere svolta e molto ampiamente la Logica, inspirandosi all’opera geniale del nostro Peano, stabilisce ogni concetto ed ogni asserto — non pur dell’Aritmetica, ma di ogni più elevato ramo dell’Analisi — ricorrendo esclusivamente a definizioni nominali e ad argomentazioni deduttive.
Ora, comunque vengano giudicati sott’altri aspetti, i suoi volumi, certo è ch’essi costituiscono un nobile atto di glorificazione della Matematica, mirando a salvaguardarne i principii da ogni possibile critica filosofica e a indicarne minuziosamente lo svolgimento in forma impeccabile.
Il Croce invece, che non si è peritato a dichiarare la Matematica occupazione propria degli ingegni minuti non atti ai larghi voli metafisici, e che dell’indiscusso riconoscimento del suo valore sembra si sia adombrato come di un’offesa personale, l’ha condannata con disinvolta sicurezza, quasi senza processo.
A suo avviso la Matematica — proponendo a sè stessa l’oggetto delle sue ricerche mediante definizioni nominali, ed argomentando poi solo deduttivamente — sarebbe necessariamente impeccabile; ma perciò appunto i concetti e gli asserti matematici sarebbero privi di realtà, nell’accezione filosofica di tale parola.
Codesto capzioso modo di spiegare la perfezione della Matematica, negandole ogni pregio sostanziale, col farla apparire un vano giuoco del pensiero, richiama alla mente quei decreti coi quali qualche comandante valoroso viene nello stesso istante promosso a generale e messo in riposo.
Comunque — e quale che sia sott’altri aspetti il valore filosofico della vasta ed assidua opera del Croce — certo è che, in alcuni seguaci, alla ammirazione deve unirsi la riconoscenza al Maestro che autorevolmente li esonera dalla preoccupazione, per essi molesta e non lieve, di penetrare, un po’ più addentro che egli non abbia fatto, nell’intima essenza del sapere scientifico.
Il detto volgare «dimmi con chi vai e ti dirò chi sei» andrebbe qui invertito «dimmi in quale compagnia mi collochi e ti dirò come mi giudichi». Invero — benchè il Russell ed il Croce concordino nell’abbattere, o meglio nel negare, ogni separazione tra la Logica deduttiva e la Matematica — le loro opposte intenzioni sono chiaramente lumeggiate dal diverso valore ch’essi attribuiscono alla Logica stessa; giacchè — mentre il Croce ripete, consapevolmente o no, gli antichi sofismi, invano mille volte confutati, per cui l’argomentazione deduttiva sarebbe una forma illusoria di attività intellettuale — il Russell invece è un cultore appassionato ed acuto della Logica, e ritiene ch’essa nobiliti ogni ramo dello scibile che da lei, e da lei soltanto, possa ripetere la sua origine.
Inoltre, per quanto vasta sia la indagine del Russell, essa abbraccia soltanto l’Aritmetica, l’Algebra e quelle parti delle Matematiche superiori che poggian su queste basi, rimanendone dunque esclusa la Geometria; mentre anch’essa avrebbe dovuto restar ferita a morte dall’apologia denigratoria del Croce.
Ora, con buona pace di questi — che ogni concetto matematico ritiene costruito dall’intelletto con semplici definizioni nominali ed ogni asserto matematico ritiene frutto di argomentazioni deduttive poggianti su tali definizioni — bastava che egli desse un’occhiata a qualsivoglia trattato di Geometria, da quello antichissimo di Euclide sino a’ più recenti, per accorgersi che nessun concetto geometrico fu mai definito senza ricorrere a qualche altro concetto geometrico e che nessun asserto geometrico fu mai dimostrato senza ricorrere a qualche altro asserto geometrico, oltre a quelli espressi dalle definizioni.
⁂
È noto che ogni scienziato — nella accezione volgare di tale parola, che esclude il logico, annoverato invece tra i filosofi — ogni scienziato, dicevo, presuppone anzitutto la Logica deduttiva. Invero, nei comuni trattati scientifici, ad esempio di Geometria e di Fisica, l’autore attinge dal linguaggio ordinario l’espressione più familiare dei concetti logici e dal cosidetto senso comune gli asserti logici, ch’egli chiama anche «assiomi»; e vi attinge man mano che gli giova, senza indugiarsi a redigerne un elenco e tanto meno ad analizzarli.
L’autore esplica invece tutta la sua attività logica nel definire concetti e nel dimostrare asserti che spettino esclusivamente alla Scienza di cui si occupa.
Ed anzitutto che cosa significa per lui definire? Fortunatamente egli non tien conto di alcuno dei vieti precetti della Logica scolastica; lo scienziato — cui non importa distinguere un concetto dalla parola che lo esprime — definisce ogni qualvolta riesca a dichiarare il significato di una parola o frase mediante altre parole o frasi, il cui significato egli ritenga già noto; purchè tra il definito e il definente stabilisca perfetta eguaglianza, sicchè al lettore sia poi lecito, dovunque e quando gli piaccia, sostituire al definito il definente od inversamente.
Per lui, nessun concetto pertinente alla sua scienza è assolutamente indefinibile, come erroneamente ha creduto Blaise Pascal, quando asseriva che «il y a des mots incapables d’être définis... parce que ces termes-là désignent si naturellement les choses qu’ils signifient... que l’éclaircissement qu’on en voudrait faire apporterait plus d’obscurité que d’instruction». E ciò egli non ammette per due ragioni semplicissime: 1° perchè nessun termine designa naturalmente alcuna cosa; 2° perchè non ha alcun senso l’asserire che un termine può o non può essere definito, quando non si dichiari a quali altri termini si consente o si vieta di ricorrere nella chiesta definizione.
Gli è invece, come ho accennato, che nessun Geometra e nessun Fisico è mai riuscito a definire alcuna parola del suo vocabolario tecnico ricorrendo esclusivamente alle parole «qualche, nessun, ogni, e, o, non....» che sole spettano al vocabolario logico. E perciò il Geometra ed il Fisico, proprio all’inizio della loro trattazione, si trovano costretti ad usare alcune locuzioni tecniche senza definirle ed a giovarsi di esse per definirne poi altre successivamente; ognuna delle quali sarà ben definita in ciascun trattato, in quanto sia interamente espressa con locuzioni ivi già adoperate.
Solo in tal modo lo scienziato riesce ad evitare quei circoli viziosi da cui non possono salvarsi gli autori di vocabolari, desiderosi di tutto definire; e di cui, ad esempio, chiunque può leggere nell’ottimo Larousse questo grazioso saggio: «coq = mâle de la poule» — «poule = femelle du coq».
Quel che ho detto ora sembra dar ragione a Blaise Pascal o contraddire la mia critica; «sembra» perchè, se è necessario che il Geometra ed il Fisico ricorrano a qualche locuzione tecnica senza definirla, gli è consentita però qualche libertà di scelta, nel cui uso appunto si manifesta in gran parte la sua genialità di trattatista. Risulta perciò non esservi locuzione non definita in un trattato che non possa esserlo in un altro; e quindi nessuna può affermarsi incapable d’être definie.⁂
Comunque — se il trattato vuol essere d’indole elementare, vuol cioè esporre una possibile costruzione immediata di quella scienza e non una ricostruzione raffinata, intelligibile ed utile soltanto a chi abbia già dimestichezza con tutto il suo vocabolario speciale — è necessario che le parole tecniche non definite siano fra quelle che già hanno assunto cittadinanza nel linguaggio ordinario, esprimano cioè concetti che, traendo origine da semplici intuizioni, si sono già formati, anche in intelletti incolti, mediante gli abituali procedimenti psicologici di confronto e di scelta, di coordinazione e di subordinazione, di classificazione e di astrazione.
E cui, ciò non ostante, sembrassero mere finzioni del pensiero il punto e la retta del Geometra, osserverei che non diversamente allora egli deve giudicare il punto materiale ed il raggio luminoso isolato del Fisico.
Quasi sempre l’autore, pur non definendo alcune parole, non tralascia però di commentare ciascuna di esse in chiose, sovente utilissime ma che non fanno parte della teoria. Non vi si indugia, se questa parola ha già nel comune linguaggio un solo e preciso significato; se invece ne ha parecchi, manifestamente distinti e precisi, gli basta dichiarare quell’unico tra essi ch’egli le attiribuirà e fissarne la scelta con opportuni esempi intuitivi. Altre volte però il significato tecnico della parola è alquanto diverso da tutti quelli che volgarmente le vengono attribuiti; ed allora — con appropriati richiami all’intuizione e con sottili insospettate distinzioni — egli contribuisce alla formazione del concetto corrispondente, affrettando ed integrando così il lavorio psicologico accennato, di cui ogni intelletto normale è capace, ma che non in tutti si svolge con eguale rapidità ed intensità.
E si badi che — mentre un lettore privo di esperienza metodologica può credere ingenuamente che le parole tecniche definite abbiano in qualche modo maggior dignità scientifica di quelle non definite — effettivamente la dignità scientifica delle une e delle altre è la medesima: la piena e chiara determinazione del concetto espresso da ciascuna parola definita dipendendo unicamente dalla piena e chiara determinazione del concetto espresso da ciascuna parola non definita.
Inoltre, se dovesse metterle in gara di importanza, quelle definite giovano soltanto alla concisione — pregio senza dubbio grandissimo, ma non essenziale — mentre invece, per quanto ho detto, le non definite sono necessarie.
Anzi, se un lettore non si sgomentasse di sacrificare ogni esigenza di comodità verbale, egli sarebbe pienamente autorizzato a sopprimere ad una ad una tutte le definizioni, sostituendo dovunque al definito il definente, così da ridursi ad esprimere tutto il contenuto di quel trattato con le sole parole tecniche non definite: le quali per tal modo si chiariscono sostanzialmente sufficienti, oltrechè necessarie.
Sicchè, per riassumere queste considerazioni inoppugnabili in una forma paradossale, che più apertamente contrasti alla tesi filosofica criticata, ogni trattato scientifico di null’altro effettivamente si occupa fuorchè di ciò ch’esso non definisce.
⁂
Ed ora dai concetti passiamo agli asserti.
Mediante un’osservazione od un esperimento un Fisico accerta un fatto; se questo gli appare notevole, egli estende il campo delle sue osservazioni e dei suoi esperimenti per accertare altri fatti analoghi: poi, con cauto ardimento induttivo, da quei singoli fatti egli osa assurgere ad una legge cui assegna validità più ampia che le sue osservazioni ed i suoi esperimenti non consentirebbero, nè potrebbero mai consentire: le leggi fisiche essendo giudizi universali, racchiudenti infiniti giudizi singoli, di alcuni soltanto dei quali è quindi possibile l’accertamento.
Altra volta però egli giunge alla scoperta di una legge con semplici argomentazioni logiche: egli riesce cioè a porre in luce che codesta legge è conseguenza di altre leggi già note e comunemente ammesse.
Volgarmente, si dice in ambo i casi che l’asserto è dimostrato; ma il Fisico distingue le due specie di dimostrazione, chiamando l’una sperimentale e l’altra deduttiva.
E in ciò apparentemente differisce dal Geometra, il quale chiama dimostrazioni soltanto le deduttive. Dico apparentemente, perchè nè il Gemometra nè il Fisico sono riusciti ancora, come ho accennato, a dedurre alcun loro asserto dagli asserti logici o assiomi (quali il principio d’identità, di contraddizione, del terzo escluso, ecc.; e perciò l’uno e l’altro, proprio all’inizio della loro trattazione, si trovano costretti ad ammettere alcuni asserti tecnici — che il Fisico chiama leggi sperimentali ed il Geometra chiama postulati — ed a giovarsene, assiema alle definizioni ed agli assiomi, per dedurne poi successivamente altri asserti che il Fisico chiama conseguenze delle leggi sperimentali ed il Geometra chiama teoremi.
Lo scienziato non ammette che alcun suo asserto sia assolutamente indeducibile, come erroneamente ha creduto Blaise Pascal che «on arrive nécessairement... à des principes si claires qu’on n’en trouve plus qui le soient davantage pour servir à leur preuve». E ciò non ammette perchè non ha alcun senso il dire che un asserto può o non può essere dedotto, senza dire da quali altri asserti; e perchè la necessità in cui egli si trova di ammettere alcuni senza dimostrazione deduttiva non gli vieta qualche libertà di scelta, nel cui uso appunto compie di esplicarsi la sua genialità di trattatista; ed infatti ogni lettore che si prenda la cura di confrontare vari trattati può rilevare sovente che un medesimo asserto in taluno si presenta quale postulato ed in tal altro quale teorema.
Nè il fatto che siano dimostrati conferisce ai teoremi il diritto di inspirare maggior fiducia dei postulati, poichè la verità dei teoremi dipende da quella dei postulati e dalla legittimità logica delle argomentazioni.
⁂
Quale divario è dunque fra un trattato di Geometria ed un trattato di Fisica? Che in quello di Geometria i postulati sono pochi, rispetto ai teoremi, e vengono semplicemente enunciati o brevissimamente chiosati, per dare invece ampio, minuzioso sviluppo alle argomentazioni deduttive, che sole vengono chiamate dimostrazioni; e che in quello di Fisica, invece, le leggi sperimentali sono molte, e vi si trovano riferite ampiamente le osservazioni e le esperienze che hanno condotto alla loro scoperta od alla loro conferma, mentre le loro conseguenze deduttive sono esposte con rapidi cenni, fatti ancor più brevi dall’uso di formule matematiche.
Divario adunque solo quantitativo, dove non è apparente perchè se la Logica insegna del pari alla Geometria ed alle Scienze sperimentali l’arte dal definire e del dedurre, però non fornisce loro alcun concetto ed asserto: che esse traggono invece, mediante elaborazione psicologica, dalla conoscenza intuitiva e sperimentale del mondo reale.
Un divario v’è nella diversa facilità di eseguire le esperienze comprovanti o non contrastanti la verità di un postulato geometrico o di una legge fisica; le prime essendo quasi sempre immediatamente ripetibili da chiunque, senza particolari istrumenti; le seconde invece richiedendo l’ausilio di apparecchi delicati, che non possono essere adoperati utilmente da mani inesperte. Inoltre, mentre il mondo geometrico è perfettamente omogeneo, sicchè pronta e poco insidiosa è l’ascesa dal fatto singolo alla legge generale, il mondo fisico invece è inesauribilmente vario, ed ogni fenomeno è così complesso, che molta pazienza o molto acume si richiedono per sceverarne le circostanze essenziali dalle accessorie.
E questo fuggevole accenno alle maggiori difficoltà frapposte al progresso della Fisica basti a spigare perchè oggi soltanto essa si avvii a quel grado di perfezione cui già da secoli è pervenuta la Geometria. Le quali due scienze mi sembrano perciò paragonabili a due pianeti, che pur appartenendo ad un medesimo sistema, si trovano in diversa fase di sviluppo.
⁂
Ma, pur lasciando da parte ogni ulteriore raffronto tecnico che qui non sarebbe opportuno, voglio indurvi per un istante a pensare che vi fu tempo in cui la Geometria — nata dai bisogni dell’Agrimensura, donde trasse il nome — era in contatto più intimo che oggi non appaia con l’intuizione e l’esperienza; e che essa dovette subire ben laboriose e profonde trasformazioni prima di assumere l’assetto ordinato e solido che oggi presenta.
A tal fine, convien risalire oltre i tre sommi geometri dell’antichità — Euclide, Archimede ed Apollonio — e soffermarsi ad alcuni loro precursori storicamente noti, per trovare negli incerti e scarsi cenni biografici un indizio della loro complessa e multiforme attività intellettuale2
Invero, Talete dedicò i primi suoi anni, a privati e pubblici affari; e proprio dai suoi negozi fu tratto in Egitto, ove ebbe occasione di apprendere Geometria ed Astronomia; già maturo di anni abbandonò i commerci e fondò a Mileto la prima scuola greca di Matematica e di Filosofia. E fama egli ebbe sovratutto per aver misurato, mediante una proporzione, l’altezza delle Piramidi egizie, confrontandone l’ombra a quella del suo bastone, e, mediante un triangolo, la distanza di una nave in alto mare, osservata dal basso e dal sommo di una torre di altezza nota; e per aver presagito un’eclisse solare, forse servendosi di effemeridi egizie o caldee.
Pitagora si temprò anzitutto viaggiando nell’Asia minore e in Egitto, nella natia Samo non ebbe fortuna, e già quarantenne emigrò in Sicilia, poi a Taranto e da ultimo a Crotone, ove fondò la celebre Scuola; nè mai lasciò d’occuparsi ad un tempo di Matematica, di Filosofia e di Politica, suscitando anzi accese ire di parte ch’ebbero triste epilogo nell’assassinio suo e di alcuni seguaci.
Ippocrate fu un mercante di Chio, che, recatosi in Atene per ricuperare una proprietà della quale riteneva essere stato defraudato, per campare, mentre proseguiva la lite, aprì una scuola di Geometria.
E d’altronde Archimede pur ritenendo, al pari di Platone, il filosofo non essere tenuto ad applicare la Scienza agli usi comuni, proprio alle sue invenzioni e scoperte d’indole pratica deve gran parte della sua fama: dalla vite alla ruota dentata, dagli specchi ustori alle catapulte.
⁂
A mio avviso dunque nessun carattere originario d’indole storica o filosofica distingue la Geometria dalle Scienze sperimentali; gli è unicamente per il diverso campo d’indagine che essa se ne differenzia, come in tal modo le Scienze sperimentali si distinguono fra loro.
Ma, avendo il campo di investigazione della Matematica terreno più compatto e meno accidentato, riuscì più agevole delineare e consolidare i confini entro i quali essa svolge la sua attività inesausta e inesauribile. Quelli invece che sono interposti fra le varie Scienze sperimentali appaiano oggi ancora qua e là provvisori, dovuti sovente ad esigenze di divisione del lavoro corrispondenti a fasi di cultura ormai superate; e perciò talvolta giova abbattere o rimuovere qualche siepe e tal altra conviene farne sorgere, a suddividere un campo che si riveli troppo vasto ed eterogeneo per essere investigato utilmente da una sola schiera di lavoratori.
E d’altronde ciò accade proprio ai nostri giorni a proposito dell’Aritmetica, che parrebbe essere uscita armata dal cervello dell’uomo, come Minerva da quello di Giove.
Nata col bisogno del pastore di noverare il suo gregge, tuttavia, quale è volgarmente conosciuta, attraverso le cifre ed i segni consueti, è molto più recente della Geometria: un tempo le operazioni aritmetiche venivano eseguite con veri calcoli, cioè con sassolini e più tardi col pallottoliere, sicchè nei conteggi i numeri erano materialmente rappresentati da gruppi di oggetti.
Pochi decenni fa l’Aritmetica, quale teoria deduttiva, emergeva ancora confusamente dal sapere volgare, senza alcuna analisi de’ suoi concetti fondamentali e de’ suoi postulati; quasi gli uni e gli altri occorressero soltanto per la Geometria. Fu merito principalmente del Dedekind, del Frege e del Peano, l'aver posto in chiara luce che l’Aritmetica non poteva svolgersi deduttivamente senza un sistema di concetti desunti dall’intuizione e di asserti desunti dall’esperienza.
Che se questo non appare nella recentissima opera accennata del Russell, gli è solo che questi ha allargato il campo tradizionale della Logica deduttiva, includendovi altri concetti ed altri asserti mediante i quali egli ha potuto legittimamente considerare l’Aritmetica un semplice proseguimento della Logica deduttiva. E perciò il mio dissenso da lui è solo a proposito di un criterio di opportunità, circa l’estensione da attribuirsi alla Logica.
E del resto, come il Fisico conosce l’ansia di cercare nell’esperienza la conferma o la smentita di una nuova legge vagamente intuita, così l’Aritmologo si affatica indarno, con alterne speranze e delusioni, a meditare ad esempio su alcune proprietà dei numeri asserite da Fermat o da Goldbach che migliaia di esperimenti non hanno smentito ma che nessun ragionamento ha ancora convalidato.
⁂
Che cosa è dunque per me la Matematica?
È la più antica e veneranda, fra tutte le Scienze sperimentali ed è la buona sorella maggiore — vigorosa di giovinezza eterna — che più sicura e più destra, non solo porge incessante e valido aiuto alle minori — varie d’anni e d’aspetto, ciascuna intenta ad un suo proprio lavoro — ma vigila sugli ostacoli che si frappongono all’opera di ciascuna, per escogitare, ove possa, nuovi strumenti atti a superarli.
E alle sorelle sue, e con esse agli uomini tutti, porge il salutare esempio d’ogni migliore e più feconda virtù: educando a disinteressata e infaticabile ricerca del vero, a consapevolezza ed onestà intellettuale, a giusta estimazione di sè scevra di vanità, e ad incrollabile fede nel progressivo sviluppo del sapere, par cui l’uomo — trascendendo le proprie origini — perfora i monti, varca gli oceani, si libra nell’aria e lancia i suoi messaggi per l’etere.
- ↑ Discorso pronunciato in Genova il primo dicembre 1912, inaugurandosi il secondo anno scolastico dell’Istituto superiore scientifico di magistero. Lo lascio inalterato, sperando che il lettore voglia aver presenti le tiranniche esigenze di un discorso, là ove egli sentisse desiderio di più ampio sviluppo o del conforto di esempi.
- ↑ Per i cenni seguenti mi sono valso del Breve Sommario della storia della Matematica compilato dal dott. Dionisio Gambioli — Bologna, Zanichelli, 1902.