Capitolo III

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II IV

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CAPITOLO III.

Dal quale apparisce che, in materia di consolazioni, Tommaso Sangonetto avrebbe potuto dar de’ punti a Boezio.


Che torbidi pensieri menassero la ridda nel cervello di Giacomo Pico, è più facile argomentare che dire. Chiunque ha fieramente patito per amore, e per amore dispregiato o negletto, ci metta qualcosa dei suoi ricordi particolari e di ciò che ha veduto, udito, o letto degli altri; mescoli, aggiunga un pizzico d’acerbo, come l’hanno in gioventù i caratteri chiusi, e dopo i trent’anni ogni nato di donna, e s’avrà formato un concetto di quella stizza profonda in cui si crogiuolava lo spirito del nostro innamorato.

Sconvolto, rabbioso, tormentato da cento pazzi disegni, aveva preso a furia la strada del borgo ed era entrato per la porta di san Biagio. La meta della sua corsa doveva essere a tramontana, verso l’erta su cui torreggiava il castello; senonchè, giunto ad un crocicchio in mezzo all’abitato, parve essersi pentito; poichè, fatto un gesto di sdegno, svoltò rapidamente a sinistra e andò ad uscire da un’altra porta, che metteva sulla strada di Calice.

Pervenuto colà e data una torva occhiata su in alto, dove non gli era parso dicevole andare, varcò il ponte [p. 49 modifica]antichissimo che cavalcava il torrente. Quel ponte era di costruzione romana, e in ogni altro caso Giacomo Pico si sarebbe fermato, come spesso soleva, a contemplarne i poderosi piloni, che da forse millequattrocent’anni sfidavano l’ira del tempo e doveano sfidarla altri quattrocento di poi, per essere divelti in quella vece da un capriccio degli uomini. Ma allora, e’ non li degnò neppur d’uno sguardo, e passato sull’altra sponda del Calice, si avviò verso la ripida costa della montagna, con passo concitato e gagliardo, come se volesse pigliare d’assalto la roccia dell’Aurera, che ne incoronava la cima.

Salire al castello non aveva voluto; dal mezzo del ponte, lo aveva anzi guardato a squarciasacco; tuttavia, non sapeva allontanarsene troppo, e, risalendo la costiera di rincontro, non rifiniva di guatare lassù, verso quel nido d’avvoltoi; che tale gli pareva in quel punto il castello de’ suoi signori. E dire che quelle mura gli pareano pur dianzi un nido di colombe, e che egli, per tanti giorni lontano, tra le feste, le oneste accoglienze e gli svaghi naturali del viaggio, altro non aveva in mente, altro non desiderava che di tornare a quel nido! Così facilmente mutano aspetto le cose ai nostri occhi, secondo che porta l’amore o l’odio, la benevolenza o lo sdegno!

Il Bardineto si era fermato a metà dell’erta, colle braccia incrociate sul petto e lo sguardo teso verso il castello, probabilmente divisando nell’animo tutti i particolari dell’arrivo del Cascherano, le cortesie del suocero, gli amabili rossori della sposa e i lieti conversari della nobile brigata, allorquando gli venne udito [p. 50 modifica]poco lunge uno stormire di frasche, come per guizzar di ramarro attraverso i cespugli.

Si volse in soprassalto, confuso e scontento, a guisa di chi si trovi colto in mal punto. Diffatti, egli non era un ramarro, nè altro animale che striscia per terra, il turbatore della sua pensosa solitudine; e bene glielo avevano indicato per un suo simile certe risa sguaiate che accompagnavano il repentino fruscìo.

Quegli che rideva in tal guisa era un uomo di fresca età, sebbene il volto avvizzito e di fattezze non belle, nè brutte, ma semplicemente volgari, potesse farlo apparire più presso ai confini della maturità che non a quelli della beata giovinezza. Indossava un farsetto di ruvido cuoio; portava la berretta alla scapestrata, come a dire sulle ventitrè ore e tre quarti, un coltellaccio a fianco, e sulle spalle un archibugio, specie di balestro da caccia, per la cui canna si faceva scattare, a forza d’arco, una pallottola, od un sassolino.

Il Bardineto, che a prima giunta avea fatto quella faccia scontenta, si rabbonì, com’ebbe raffigurato quell’altro.

— Tommaso! — esclamò egli. — Sei tu?

— Io, non altri, perdiana! E tu probabilmente sei Giacomo Pico, marchese di Bardineto, e d’altre castella nel paese dei sogni?

— Sì, canzonami, lingua tabana! Così foss’io marchese, o conte, da senno:

— Eh, eh! — soggiunse l’altro ridendo. — Sulla strada ci sei. Co’ marchesi e coi conti ci bazzichi la tua parte, e saprai che chi va col lupo.... A proposito di lupi, io ti facevo ancora di là dai monti. [p. 51 modifica]

— Son tornato stamane.

— Con che aria lo dici! e con che sospirone di rincalzo! — esclamò Tommaso, tirandosi indietro in atto di meraviglia.

Il Bardineto, che già s’era padroneggiato oltre le forze, si lasciò cadere sulla sporgenza d’un masso che ingombrava mezza la strada, e si nascose il volto tra le palme, tentando di soffocare un singhiozzo.

— Tommaso mio, — gridò egli, — così non fossi tornato! —

L’amico stette immobile un tratto a guardarlo; quindi posò l’archibugio e andò a sederglisi gravemente da lato.

— Ah, ah! c’è del grosso in aria!.... — diss’egli. — Giacomo, vuoi tu dirmi che hai? ma chetati, perdiana! Non sei più un bambino da latte. Lascia pianger le donne, che piangono spesso, perchè piangono bene.

— Tu ridi! — notò amaramente il Bardineto crollando il capo e traendo un altro sospiro dal profondo del petto.

— Ma sì, rido; — rispose quell’altro, scaldandosi; — rido, come ha sempre riso Tommaso Sangonetto, e come riderà fino all’ultimo, perchè niente c’è al mondo che meriti d’esser pigliato sul sodo. E riderò di te, fino a tanto non m’avrai dimostrato.... Ma già, che potresti tu dirmi di nuovo! Io t’ho capito e da un pezzo; ella non t’ama. —

Il Bardineto trasaltò.

— Chi, ella? E come sai tu?

— Sicuro, non ho da saper nulla, io, quando tutti ne sanno e ne parlano! O dimmi, per chi ci hai pi[p. 52 modifica]gliati? che un marito, od un padre, sia l’ultimo ad avvedersi, ed anco non si avveda mai più, concedo; ma gli altri... eh, via! dovrebbero esser ciechi dalla nascita. Come se, alla tua età, il non cercar donna alcuna tra le tue pari, il fuggire ogni occasione di sollazzo, lo starti poi sempre ristretto ai fianchi di quella gente lassù (c’intendiamo!), non fossero già segni bastanti! Ah, vedi? chini la fronte; capisci anche tu che tutto il paese ha fumo delle tue ambizioni?

— Tutto il paese! — ripetè Giacomo Pico sgomentito. — E adesso....

— E adesso... lo so anch’io; siamo in un ronco, e la è dura di dover dare indietro, al cospetto di tutti. Ma infine, non sarai tu il primo a cui è capitato il somigliante. Papi e imperatori, principi e capitani ti offre la storia in buon dato, che hanno dovuto, un giorno della lor vita, appender la voglia all’arpione. E non si son mica guastati il sangue per così poco; hanno aspettato la volta loro, ed hanno messa a più certo segno la mira. Impara anche tu; lascia di trarre in arcata e lontano; mira da vicino e traggi di punto in bianco; è buon colpo. Fa a modo mio, Giacomo, e non avrai sopraccapi. Sai donde vengo? Da caccia, ti dirà l’archibugio; ma, in fede mia, non ho tirato nemmanco a uno scricciolo. Vengo dalla Nena di Verezzi. Ma già, tu non la conosci, ed hai torto. Una forosetta, un bel tocco di donna, che non ha la compagna in tutto il marchesato, e cui non piace la sputi. Ruvida di modi, non nego, e manesca anzi che no; gli è il suo diletto. Le ho fatto una carezza e m’ha reso un urtone; son caduto ad arte, ella su me e siamo ruz[p. 53 modifica]zolati ambidue. Ah! ah! se per fortuna non ci tratteneva un letto di timo, si tombolava giù giù fino alle Arene candide. —

E fatto questo discorso, Tommaso Sangonetto si cacciò a ridere sgangheratamente. Aveva ragione, poichè doveva ridere per due.

— Tommaso! — esclamò il Bardineto, con accento di rimprovero. — E tu puoi mettere il capo in questi amorazzi volgari?

— Ma sì! ma sì! — rispose l’altro con impeto. — Del resto, che intendi tu per amorazzi volgari? Volgo è quantità; e nel numero, lo capisco, ci si trova del buono e del gramo. Ma sappi, chi la guarda in ogni penna non farà mai nido, come chi guarda ad ogni nuvolo non farà mai viaggio. Così dicono i vecchi. A che si tende, poi? che si vuole? Io vado senz’altro alla meta e per la strada più corta; magàri ci fosse un tragetto! A fartela breve, non vo’ moccicose, nè superbiose, nè schizzinose, nè altrimenti noiose, le quali mi diano pastocchie, speranze ed erba trastulla.

— Ma quali donne son dunque le tue!

— Eh via, quali donne! Son tutte compagne. Lisciate, contigiate, razzimate, il più delle volte t’ingannano; le hai per fior di farina, e gran mercè se alla seconda stacciata riescono a darti cruschello. Quali donne! dirò io delle tue. Bada a me, Giacobino; le mie non hanno tante trappolerie; rustiche sono e male ad arnese; ma egli c’è questo di buono, che il vino non mente all’insegna e tu non resti gabbato nella bontà della merce.

— Sarà; — disse il Bardineto, per metter fine al discorso. [p. 54 modifica]

Ma il Sangonetto era in vena, e proseguiva.

— Eh, già, capisco; a te quella superba ha fatto dar volta al cervello. —

Giacomo Pico scosse il capo in atto d’impazienza.

— E non la perdi di vista, a quel che pare! — incalzò il Sangonetto. — Tu guardi sempre lassù.

— Tommaso! — proruppe scorrucciato quell’altro, — Per l’anima di....

— Orbene! — ripiccò Tommaso, alzando la voce a sua volta. — Chiama i morti dallo inferno e i santi del paradiso, fin che ti piace. Io ti amo, non so perchè; vedo che soffri; sono il tuo medico e ti curo a modo mio. Sapevo il tuo segreto; e metti pure che io non dovessi saperlo, nè altri; tu stesso me lo hai sciorinato poc’anzi. Ed ora, io non ti ho domandato che cosa tu sperassi per lo addietro da lei: ti domando in quella vece che cosa speri adesso, poi che ella ti ha richiamato alla tua condizione di vassallo.

— Non ella, — gridò il Bardineto, — non ella, il destino. Vedi, Sangonetto, tu ti sei giudicato da te. V’hanno cose che tu non intendi, nè verresti a capo d’intendere. Sì, io l’ho amata; ma potevo io forse operare diverso? Fanciullo mi han tratto al castello; è cresciuta sotto i miei occhi; la vedevo ogni giorno suo padre mi è debitor della vita; ella mi ha abbracciato...

— E baciato; storia antica! — interruppe Tommaso. — E tu, povero amico, hai pigliato i bisantini per oro di coppella. Bacio di bocca cuore non tocca, o non dovrebbe toccare. Comunque sia, — aggiunse il Sangonetto a mo’ di correzione, — pensa che la era [p. 55 modifica]una bambina, o giù di lì. Ma più tardi, ti ha ella mai incuorato a sperare?

— Che ne so io? Si può egli mai dir d’una donna, anche alla vigilia di farla tua, o di perderla per sempre, ch’ella t’abbia incuorato ad amarla?

— Eh, per un pazzo, non ragioni poi male! A me, per esempio, la Nena di Verezzi, che non è una Luccrezia romana, non ha forse data la più rustica gomitata, proprio un momento prima di andar ruzzoloni? Ah, ah! Ma, torniamo al caso: tu se’ in male acque, mio povero Giacomo! Ma che diamine, dico io, t’è saltato in mente di andar così in alto coi desiderii? Meglio sarebbe stato per te d’inerpicarti sull’ultima balza della Caprazoppa, là dalla parte del mare, per cogliervi i falchi nel nido. Vedi, siamo vassalli. Il notaio David, lo sputasentenze, nel cui studio ho passato i begli anni della mia giovinezza, te le dirà lui per filo e per segno, le nostre delizie. Censuarii, aldioni, coloni, servi della gleba, soggetti a taglia e soggetti a prestazione, la è tutta una beva, e non c’è altra differenza che del più o del meno.

— Io sono libero uomo! — ripiccò alteramente il Bardineto.

— Uhm! — disse Tommaso. — Libero! e chi lo è? Tu appartieni alla classe dei commendati. I tuoi vecchi erano boni homines, i quali, per custodire da ogni insidia di potenti il tranquillo possesso del loro lembo di terra, lo proffersero in podestà del signore, ne riconobbero da lui l’investitura e diventarono censuarii, come il primo quidam che da lui avesse ottenuto un poveretto a livello. La terra è serva, e chi v’ha stanza, del pari. Non c’è modo di uscirne; [p. 56 modifica]qui l’aria rende servi coloro che la respirano. Commendati, ligii, o censuarii (chiamali con quel nome che vorrai) e’ son tutti soggetti a prestazioni e a tributi, e non hanno un’ora di bene. Una volta e’ sono richiesti di riparare le fortificazioni del castello; un’altra volta di battere il grano e di trasportare il vino del padrone; un’altra sono chiamati per la guardia notturna; un’altra ancora per ferrare i cavalli. Un dì si paga censo di grani, di farina, di miele, di vino; un altro di capponi, un altro di pane, carni e prosciutti. Ottieni un’esenzione? Paghi. Un diritto di pascolo? Paghi. Un diritto di pesca? Paghi. Dimori in una borgata e ci capita il marchese colla sua masnada? Devi dargli l’alloggio e fargli la spesa, uno o più giorni dell’anno, o pagarne in moneta il riscatto. Il marchese marita sua figlia? C’è taglia sopra i vassalli. È preso in guerra? C’è taglia. Arma cavaliere il figliuolo, o cavalca fuori del marchesato? Taglia, sempre taglia. A te muore il padre? Paghi, per potergli succedere. Ti ammogli? Devi dare al marchese un presente, perchè consenta alle nozze, e riscattarti con una somma non lieve da un certo diritto fastidioso, ch’egli ha, di levar le primizie. —

Qui il Sangonetto si fermò per pigliar fiato e per vedere che senso facevano le sue argomentazioni sul suo malinconico sozio. Ma Giacomo Pico, o non gli desse retta, o non credesse di doverlo contraddire, taceva. E allora Tommaso, con quell’aria di trionfo che già s’è notata, proseguì l’invettiva.

— Questo è il caso nostro; eccoti la sorte serbata a noi, boni homines, uomini liberi, sotto la signoria dei nobili discendenti di Aleramo. Non entro in tutte [p. 57 modifica]le miserie, a gran pezza più gravi, dei servi della gleba a delle mani morte, taglieggiabili a misericordia, cioè, a dire, fin dove piace ai nostri magnifici signori di aggravare il summum jus del loro talento. E servi, come siamo, tenteremmo di pareggiarci ai nostri padroni, di entrare, puta caso, in parentado con essi? Alla men trista, se siamo giovani, di bell’aspetto e di buona voglia, possiamo riuscire donzelli, o scudieri, meritarci le grazie segrete d’una annoiata castellana e le segrete prigioni e i trabocchetti d’un castellano rabbioso. Ora, io non son bello, nè giovane, e non ho voglia di mettermi in questi ginepreti. Il mio esempio t’insegni; la mia filosofia ti persuada, o Giacomo Pico, e ti basti l’essere meglio accetto di me, ma sempre come soggetto, ai signori del luogo. A noi tocca di obbedire, e gran mercè se si può farlo men che si può. I nostri diritti di signori esercitiamoli sui casolari; non c’impuntiamo a voler l’impossibile. Di belle ragazze, e meglio in apparenza che non sia la giovine castellana, è pieno il Finaro. Vedi, a me piace due cotanti di più la Gilda, la nipote di mastro Bernardo; e se non fossa che le buone grazie di madonna Bannina e della sua smancerosa figliuola l’hanno fatta montare in superbia....

— Anche su quella avevi posto gli occhi? — dimandò Giacomo Pico, meravigliato di tanta facilità amatoria del suo faceto compagno.

— Sicuro; e perchè no? — disse a lui di rimando il Sangonetto. — Sono uomo libero in ciò, e dove mi vien fatto darla ad intendere, pianto a dirittura le insegne.

— Sta bene; notò Giacomo Pico, stringendosi nelle [p. 58 modifica]spalle; — ma se madonna Bannina avesse mai fumo de’ tuoi disegni — che certo non saranno fior d’innocenza....

— Oh, potresti giurarlo, nol sono; — interruppe Tommaso, ridendo sgangheratamente. — E perciò, vedi, mi tengo alla larga. Il castello mi dà noia, e i begli occhi della Gilda non mi faranno mai perdere la tramontana; la selvaggina mi piace, e se la mi capita a tiro d’archibugio, povera a lei, le scatto un colpo; se no, no, Che diamine! Non amo le frustate, io; e quei di lassù sarebbero capaci di farmi pigliar la misura delle spalle. Questo, io lo intendo, ti parrà un ragionar da filosofo; ma, mio caro, per un’ora di sollazzo non è da comperarsi un monte di guai. Si ha una vita sola, a questo mondo; perchè farla arrangolata e tapina? Io non vo’ grattacapi. Pur troppo ne avremo, e non cercati da noi. Che te ne pare di questa burrasca che è in aria? Non è forse ella il colpo di grazia? Ed anche questa ci bisognerà parare; ma alla croce di Dio, non vo’ pigliarmi fastidi oltre il bisogno.

— Che dici tu mai? — esclamò il Bardineto, con un accento da cui trasparivano lo stupore e lo sdegno. — Si combatte per casa nostra.

— Ah sì, casa nostra! — replicò sogghignando quell’altro. — Casa dei Carretti, vuoi dire! Bada a me, Giacomo Pico; noi siamo quei leoni aggiogati che ci ha sulla insegna il marchese. Si rode il freno d’acciaio, e, spinte o sponte, si tira il carro simbolico, lo scudo e l’elmo coronato dei nostri amati signori. Questa è la nostra sorte, e non vedo che possa farsi migliore. Da un pezzo io la vengo rimuginando, questa bellissima sorte, e la paragono a quella di Noli e di [p. 59 modifica]Savona, città vicine, città marinare, che un tempo rodevano il freno come noi, tiravano il carro simbolico come noi, e più avvedute, più audaci e per conseguenza più fortunate di noi, hanno rotto il freno, e piantato il carro in mezzo alla strada. Son liberi, i nostri compagni di servitù; fanno essi le leggi loro, provvedono di per sè ai loro bisogni; soli noi la duriamo con questo ignobil giogo sul collo. E sia pure, dacchè non si ardisce di scuoterlo; ma perchè ci scalderemmo il sangue? perchè ci metteremmo noi ad ogni sbaraglio, per chi ci vuol servi? perchè faremmo nostri i suoi litigi con questo quello de’ suoi particolari nemici? —

Il Bardineto era stato ad udirlo con molta attenzione. E come Tommaso ebbe finito, così prese a rispondergli:

— Sai che t’ho a dire?

— Di’ su!

— Che quando si pensa come tu pensi, e’ bisogna far altro da quel che tu fai. La si rompe col suo signore e si muove a tumulto il popolo contro di lui; ma non si aspetta che egli abbia guerra con altri, per venir meno al debito di vassalli verso di lui, di cittadini verso la patria.

— Gli è questo un sentire nobilmente, — replicò il Sangonetto con piglio sarcastico, — e il tuo signore e nimico te ne ricambia a misura di carbone, facendoti trar calci all’aria, penzoloni dai merli della torre più alta del suo castello, che tu non hai potuto pigliare d’assalto. La non m’entra, sai, la non m’entra, questa tua nobilissima temerità, e preferisco il mio prudente consiglio. Di nulla io mi tengo debitore ai nostri padroni; taglia e prestazione, tributo di borsa e tributo [p. 60 modifica]di persona, tutto io pago per forza, e il meno che mi vien fatto. Anch’io, vedi, sono stato al pari di te alle impresa di guerra; ma in quella che tu, cavaliere audacissimo, facevi prodezze e menavi strage entro le file di Baldazzo, io, bandieraio della salmeria, serbavo la pancia pe’ fichi. Brutta cosa, dirai. Ma tu, che ci hai guadagnato a fare il paladino, e correre il rischio d’un verrettone nel cuore, o d’una mazzata sul capo?

— Oh, fosse venuta allora! — sclamò il Bardineto chinando gli occhi a terra e mettendo un sospiro.

— Affediddio, non ci mancherebbe altro che aver dato la vita a chi te la stima sì poco! E invero, perchè dici tu questo? Perchè ti hanno pagato di quella buona moneta che sai. La fiducia del marchese! Grazie infinite; che è dessa? Leviamo la buccia, e consideriamola ignuda. T’hanno sperimentato di buona pasta, ti adoprano, ti spendono in ogni loro bisogno, come si spende un castaldo, un procuratore, un ser faccenda, un ceccosuda. Tu se’ un arnese del castello. Giovi? ti si leva dal dimenticatoio. Non giovi più? ti si mette in disparte. È questo il tuo stato; non sperare di più. Ma tu sei uomo, hai occhi per vedere, cuore per desiderare, servigi da metter fuori, a fondamento delle tue ambizioni. Orbene, la è finita per te. Ami la figlia del tuo signore; chi non se n’era avveduto? e chi, guardando alla sostanza, non t’avrebbe riputato un buon partito? Tu fedel servitore della casa, tu valoroso cavaliere, tu messaggiero accorto e sicuro, tu anima d’ogni più malagevole impresa, che non dovevi riprometterti, in ricompensa dell’opere tue? Ma no; tu eri e resti un vassallo [p. 61 modifica]e la donna che desideri, che credi di aver meritato, te la ruba il primo venuto, perchè gli è nobile e signor di castella.

— Ah, tu sai?....

— Certamente; un Cascherano, conte di Osasco, che è un borgo di là da Torino. Questo matrimonio è una sorta di rifugio, e il marchese Galeotto, alla disperata, l’ha scelto. Poteva dare la figliuola ad uno di questi Adorni, che, cacciati da Genova, sono venuti ad appoggiar la labarda da noi e a congiurare contro la patria loro. Ma questo era il peggio dei peggi. L’ha negata a un Fregoso, che è doge, ma che potrebbe essere rovesciato da oggi a domani; non poteva pensare a un Adorno, che, anco tornando in alto posdimani, potrebbe dar la capata a sua volta. Quella è gente instabile e non c’è da far conto sovr’essa; meglio un nobile di là dai monti, che ha meno grandezza di nome e più sicurezza di stato. E ad un di costoro, che niuno sapeva chi fosse, si sacrifica il valore, la divozione, l’amore infinito di Giacomo Pico. Donde tu devi vedere che sorte di virtù siano queste tue, e come ben collocate!

— Ah, io ne morrò! — prorruppe il Bardineto, cacciandosi a furia le mani nei capegli.

— E dàlli, — soggiunse Tommaso. — O non ci hai proprio nient’altro da fare? Ma sai che mi faresti uscire dai gangheri? Infine, che cosa desideri? per che cosa ti arrovelli? Per una donna che ti piace. Orbene, da Adamo in poi ciò è capitato a più d’uno, e non so che alcuno abbia perso il lume degli occhi, prima di averne l’intiero. Pensaci un tratto; o le piaci tu pure, o non le piaci. Se non le vai a genio, [p. 62 modifica]ci hai il tuo conto saldato; puoi mandarla a quel paese, o aspettarla al varco e far vendetta allegra; ad ogni modo, egli non c’è da desiderarsi la morte per una donna che non ti abbada. Se in quella vece la ti vede di buon occhio, aspetta, perdiana; il tuo giorno verrà. O che credi, perchè la diventa contessa d’Osasco, t’abbia a fare il viso dell’arme? Il non esser buono per marito, non vuol già dire.... che anzi!.... In questi casi, un rifiuto io l’avrei per grazia profumata. La donna, amico mio, è una gran bella cosa e ci ha i suoi dolci momenti, che la getteresti sopra ogni altra delizia del mondo; ma guai a chi l’avesse sospesa al braccio tutte le ventiquattr’ore del giorno; e’ ci sarebbe da pregarsi il fistolo! Or dunque, Giacomo Pico, sta di buon animo, e non ti lasciar scolorire le ultime rose sul volto, che non abbia a parer meglio di te il Cascherano, quando verrà a fare il mogliazzo.

— È già venuto; — mugghiò il Bardineto.

— Ah, ah! non si perde tempo? E sia pure e ci resti, in sua malora! Tu non mi fare il poeta; che saresti ridicolo, e chi fa ridere ha perso la causa. Ti piace la donna! tienti sull’orma e aspetta il buon punto. Chi sa? Non t’eri accorto, e forse la tua stella è già apparsa sull’orizzonte. Ma sopratutto, bada, non ti guastare il sangue, non pigliar nulla a scesa di testa; è l’essenziale. A proposito di scesa, o che, si sta qui fino a notte? Io ho fame, e tu non devi rimanere quassù, a far l’uomo salvatico. Si scende, dunque?

— No, Tommaso; non per di qua! — disse Giacomo Pico, torcendo gli occhi in atto supplichevole.

— No? Orbene, come ti pare. Largo ai canti e scendiamo alla Marina. — [p. 63 modifica]

Ciò detto, e per mandare i fatti di costa alla parole, il Sangonetto, che già s’era alzato da sedere, diè di piglio al suo archibugio e se lo gittò in spalla; con un colpo della palma distesa si acciaccò la berretta sul capo e, per uno di que’ sentieruoli che serpeggiavano lunghesso i fianchi della montagna, s’avviò alla discesa.

Giacomo Pico si mosse dietro di lui, non rassegnato affatto, nè affatto sconsolato, bensì pieno di maltalento contro di sè, contro di tutti, pronto ad affogare la sua rabbia nel vino, come a sfogarla in una mareggiata di sangue.

Accadeva al Bardineto ciò che spesso accade a molti infelici suoi pari, che la compagnia e i conforti d’un uomo volgare mutano indirizzo al loro tormento. Sia che un intimo senso li ritenga dal commettere un alto dolore in piena balìa di chi non è nato ad intenderlo, o sia che la medesima volgarità del compagno pigli il sopravvento sulla fibra umana (già, per istinto, volgare, e non mai delicata, nè nobile, se non per eccesso, che non è naturale nell’uomo), o sia finalmente che la vostra vanità messa al punto, s’inalberi e comandi agli atti nostri una apparenza di fortezza, egli è un fatto che il dolore, almeno fino a tanto che duri quella nuova maniera di contrasto, non pure fa le viste di cedere, ma veramente si scema, o si addorme nel profondo dell’anima. Ripiglierà forse vigore, crescerà d’intensione più tardi, troverà le occasioni a romper fuori, tanto più impetuoso, quanto più è rimasto compresso ed inerte; ma tace, frattanto, e qualche volta, fra mezzo alle cento cure svariate del vivere, agli aspetti diversi delle cose, ai ra[p. 64 modifica]gionari delle liete e noncuranti brigate, lascia libero il campo alle più discordi sensazioni, financo a quella che ci sforza di ridere. Cose che non si spiegherebbero altrimenti, senza questa mobilità somma detta umana natura.

Del resto, è anche vera un’altra cosa, ed accade agli animi deboli, che sono poi il maggior numero della figliolanza di Adamo. Ci si apre con un gentile ascoltatore, con un virtuoso consigliere, e si piange o si è sconfortati, ed è nobile sfogo che ci eleva lo spirito ad altezze o non prima vedute, o non reputate accessibili all’uomo. Si commettono i proprii dolori ad orecchio volgare; da labbro volgare si aspettano i conforti e i consigli; ma gli uni e gli altri ci affondano nel pantano dei sensi ingenerosi; crassi vapori c’involgono e ci nascondono il sereno de’ cieli; il dolore, fatto ira e bestemmia, bramosia di vendetta, di mal per male, non ci affina lo spirito, lo ingombra, lo accieca, vi attossica le sacre fonti del bene.

I due amici scendevano, come si è detto, lungo la costa del monte. Giacomo Pico era taciturno e grave; ma tratto tratto scuoteva il capo e sbuffava a guisa di toro ferito. Il Sangonetto taceva del pari, e certo non facea bocca da ridere; ma chi gli fosse stato dinanzi e lo avesse veduto a dondolare il capo e ad aggrinzare di tanto in tanto le labbra, avrebbe detto che il consolatore di Giacomo Pico se la rideva dentro di sè, di quel riso tacito e profondo che fa tanto buon sangue. Gongolava, il Sangonetto; e perchè? Perchè la era finita una volta, quella cuccagna del Bardineto; perchè gli era finalmente caduto, quel superbioso, che si struggeva di salire tant’alto; perchè sprofondava [p. 65 modifica]nella mota comune, quel sognatore, quel pazzo, che cavalcava così alteramente le nuvole.

E non era crudele, il nostro Tommaso; non odiava già il Bardineto; che anzi lo amava, come poteva egli amare qualcuno, per consuetudine antica, e perchè non gli era venuta mai occasione di scontro. Sì, certo, gli era parso qualche volta noioso, con quel suo starsene in dimestichezza coi grandi, così felice in apparenza tra le bellezza del castello Gavone, libero di profferire i suoi omaggi a madonna Bannina, bellezza matura, o a madonna Nicolosina, bellezza nascente, o alla Gilda, bellezze di mezzo, ma più franca, secondo lui, e più attrattiva. Per altro, pensandoci su, il Bardineto non corteggiava la Gilda; era cotto, per sua disgrazia, della giovine castellana; gli era un uomo spacciato; non era da invidiarsi poi troppo. Lo amava dunque, sì lo amava; ma ora, poi, dieci cotanti di più, sapendolo giù d’ogni speranza e d’ogni superbia. Donde quel giubilo interno, quel gongolo, che gli facea dimenare il capo e aggrinzare le labbra. Anima umana!

In questi pensieri, i due compagni, erano giunti ai piedi del monte, e, valicato il Pora su certi passatoi disposti a giuste distanze sul pelo dell’acqua corrente, entravano in una viottola, che risaliva verso levante, ad incontrare la strada maestra dalla Marina al Borgo. E pochi passi avevano fatti in quella stretta, allorquando venne loro udito un calpestìo, insolito per que’ luoghi e in quell’ora.

Giacomo Pico, che era stato il primo a notarlo, affrettò il passo, stese la mano sul braccio del Sangonetto, come per trattenerlo, e stette coll’orecchio teso in ascolto. [p. 66 modifica]

— Cavalli! — soggiunse egli, rispondendo ad un gesto del compagno, che si era voltato stupefatto a guardarlo.

— Cavalli, sicuro; — disse di rimando Tommaso; — e poi?

— Non hai indovinato? Son essi.

— Essi? Pronome, e nient’altro; — ripigliò il Sangonetto; — io non t’intendo.

Giacomo Pico crollò le spalle in atto d’impazienza.

— I cavalieri di questa mane; — aggiunse egli poscia; — il conte d’Osasco e il suo amico, o famiglio che sia.

— Ah, ah! — sclamò il Sangonetto, mettendosi finalmente sull’orma. — Buon viaggio a loro! Ma ora che ci penso, o come vuoi che, giunti a mala pena, già se ne tornino via dal castello? Il tratto, in fede mia, non sarebbe cortese.

— Ma! che ne so io? — rispose Giacomo Pico. — D’una cosa son certo; che sono costoro. Me lo dice il cuore.... — aggiunse con accento di profonda amarezza. — Seguimi; or ora vedrai.

E senz’altro aspettare si mosse con rapido passo alla svolta. Il Sangonetto fu pronto a seguirlo.

Il cuore del Bardineto non si era ingannato. Erano proprio loro, messer Pietro e il Picchiasodo, che venivano di buon trotto per la strada maestra, con quel fare spigliato e contento di chi s’è sciolto d’ogni molestia e non ha più a darsi pensiero che di arrivare alla posta.

A Giacomo Pico la vista del più giovine dei due cavalieri diede una scossa fortissima al cuore. Era quegli il suo fortunato rivale, il suo nimico giurato. [p. 67 modifica]E gli prese in quel punto una maledetta voglia di buttarsi al pettorale del palafreno, di rovesciare il cavaliere e di finirlo d’un colpo.

La via era stretta, e, per andar oltre, con quell’intoppo dei due sopraggiunti, a messer Pietro convenne di spronare il cavallo e farsi innanzi da solo.

Il Bardineto lo divorava degli occhi. Era bello, messer Pietro, ed ilare in volto; due cose che lo rendevano uggioso a quell’altro.

Senza por mente all’effetto che cagionava la sua presenza, messer Pietro, cortese per consuetudine di gentiluomo e più ancora per la contentezza del momento, nell’atto di cansarsi col suo palafreno dai due viandanti, fece un gesto a mo’ di saluto, che certo credeva gli fosse ricambiato in quel punto.

Frattanto, Giacomo Pico, innanzi che il Sangonetto potesse indovinare le sue intenzioni e trattenerlo, si faceva in mezzo alla strada e, afferrando lo redini del cavallo, salutava il suo avversario con queste parole:

— Messer cavaliere, mi consentite voi pochi istanti di colloquio? —