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poco lunge uno stormire di frasche, come per guizzar di ramarro attraverso i cespugli.

Si volse in soprassalto, confuso e scontento, a guisa di chi si trovi colto in mal punto. Diffatti, egli non era un ramarro, nè altro animale che striscia per terra, il turbatore della sua pensosa solitudine; e bene glielo avevano indicato per un suo simile certe risa sguaiate che accompagnavano il repentino fruscìo.

Quegli che rideva in tal guisa era un uomo di fresca età, sebbene il volto avvizzito e di fattezze non belle, nè brutte, ma semplicemente volgari, potesse farlo apparire più presso ai confini della maturità che non a quelli della beata giovinezza. Indossava un farsetto di ruvido cuoio; portava la berretta alla scapestrata, come a dire sulle ventitrè ore e tre quarti, un coltellaccio a fianco, e sulle spalle un archibugio, specie di balestro da caccia, per la cui canna si faceva scattare, a forza d’arco, una pallottola, od un sassolino.

Il Bardineto, che a prima giunta avea fatto quella faccia scontenta, si rabbonì, com’ebbe raffigurato quell’altro.

— Tommaso! — esclamò egli. — Sei tu?

— Io, non altri, perdiana! E tu probabilmente sei Giacomo Pico, marchese di Bardineto, e d’altre castella nel paese dei sogni?

— Sì, canzonami, lingua tabana! Così foss’io marchese, o conte, da senno:

— Eh, eh! — soggiunse l’altro ridendo. — Sulla strada ci sei. Co’ marchesi e coi conti ci bazzichi la tua parte, e saprai che chi va col lupo.... A proposito di lupi, io ti facevo ancora di là dai monti.