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zolati ambidue. Ah! ah! se per fortuna non ci tratteneva un letto di timo, si tombolava giù giù fino alle Arene candide. —
E fatto questo discorso, Tommaso Sangonetto si cacciò a ridere sgangheratamente. Aveva ragione, poichè doveva ridere per due.
— Tommaso! — esclamò il Bardineto, con accento di rimprovero. — E tu puoi mettere il capo in questi amorazzi volgari?
— Ma sì! ma sì! — rispose l’altro con impeto. — Del resto, che intendi tu per amorazzi volgari? Volgo è quantità; e nel numero, lo capisco, ci si trova del buono e del gramo. Ma sappi, chi la guarda in ogni penna non farà mai nido, come chi guarda ad ogni nuvolo non farà mai viaggio. Così dicono i vecchi. A che si tende, poi? che si vuole? Io vado senz’altro alla meta e per la strada più corta; magàri ci fosse un tragetto! A fartela breve, non vo’ moccicose, nè superbiose, nè schizzinose, nè altrimenti noiose, le quali mi diano pastocchie, speranze ed erba trastulla.
— Ma quali donne son dunque le tue!
— Eh via, quali donne! Son tutte compagne. Lisciate, contigiate, razzimate, il più delle volte t’ingannano; le hai per fior di farina, e gran mercè se alla seconda stacciata riescono a darti cruschello. Quali donne! dirò io delle tue. Bada a me, Giacobino; le mie non hanno tante trappolerie; rustiche sono e male ad arnese; ma egli c’è questo di buono, che il vino non mente all’insegna e tu non resti gabbato nella bontà della merce.
— Sarà; — disse il Bardineto, per metter fine al discorso.