Cara Speranza/Suor Maria/VI

Suor Maria

VI

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Suor Maria - V Silenzi d'Amore
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VI.

Suor Maria vegliava la notte di Natale al letto d’una donna malata.

Nascondeva il volto fra le braccia incrociate, e piangeva sul suo abito grigio, pensando il Natale delle famiglie, le madri puerilmente occupate del segreto delle strenne, i bimbi giulivi intorno alle mense festive.

Lei pure, dopo aver lottato contro la inerzia delle abitudini, ed aver vinto, [p. 121 modifica]aveva sognato un momento il sorriso d’un fanciulletto, e la sua prima strenna di ceppo. E quella speranza era nata nel suo cuore in un impeto di carità per un vecchio moribondo.

Ma pareva che una maledizione ingiusta la condannasse a vivere solitaria e senza affetti; anche la buona azione era rimasta infeconda, per non procurarle una gioia. Ed il vecchio era morto solo; ed il bimbo errava solo nelle gelide notti d’inverno; e la suora generosa e buona, era sola fra due letti d’ospedale.

Fu tolta a quelle meditazioni da una infermiera che veniva a chiamarla.

Si asciugò gli occhi, ricompose le pieghe rigide del suo grembiule da monaca e s’affrettò dietro la donna.

Una brigata di giovinotti entrando in Duomo per la messa della mezzanotte, [p. 122 modifica]avevano trovato un bambino svenuto e lo avevano trasportato all’ospedale.

Per la prima volta, nella sua lunga pratica d’infermiera, suor Maria dimenticò la malata affidata alle sue cure, e la notte passò senza ch’ella ricomparisse nella corsia.

La mattina di Natale, traverso l’uscio della sua cella, s’udiva uno strano rumore come il ruzzolare di carrozzelle di legno sul pavimento, ed il cinguettìo d’una voce infantile.

Più tardi, all’ora del pranzo, la monaca non scese in refettorio; e la suora conversa che le recava i piatti dalla cucina, la trovò seduta ad una piccola mensa allegramente ornata di chicche e di arance, ed apparecchiata per due.

Carlo sedeva in faccia a suor Maria, rispondendo amichevolmente alle sue domande, ingrossando la voce per narrarle [p. 123 modifica]il terribile fatto della sua reclusione in Duomo, interrogando a sua volta circa una certa casetta bianca con un giardinetto verde, dove la monaca gli diceva che dovevano recarsi presto, ad abitare insieme.

Tratto tratto la campana dell’ospedale riprendeva a sonare a morto, e la suora rabbrividiva.

Poi s’udì lontan lontano il fischio acuto della locomotiva sibilare fra i rintocchi lenti della campana.

Il bambino alzò il dito, come per accennare quel suono ben noto, che gli richiamava tante storie e promesse serene di viaggi, e susurrò cogli occhi scintillanti e la bocchina aperta al sorriso.

— È il nonno che torna!

— No; è il nonno che parte: rispose gravemente la suora che conosceva la campana. [p. 124 modifica]

— Va in quel sito lontano dove lo fanno guarire? disse un po' meno lieto il fanciullo.

— Sì; in quel sito lontano dove starà sempre bene.

— Quando tornerà? domandò Carlo.

— Non tornerà: andremo noi a raggiungerlo.

Il bambino contento di quella promessa, stese le braccia verso la suora che lo prese in grembo; poi ricominciò le sue chiacchierine sconclusionate, con certe note acute, certe risate argentine, che echeggiavano stranamente fra le muraglie nude della cella. E suor Maria, abbracciandolo stretto, benediva il cielo che, per una vita di carità, le aveva concesso un amore; e pensando all'avvenire non si sentiva più sola.