Canto d'Igea (1916)

Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1868 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu sonetti Letteratura Canto d'Igea Intestazione 3 maggio 2024 75% Da definire

Andate, o pellegrini Disegni di vita
Questo testo fa parte della raccolta XII. Dall'«Armando»
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VIII

CANTO D’IGEA

     A chi la zolla avita
ara co’ propri armenti,
e le vigne fiorenti
al fresco olmo marita,
5e, i casalinghi dèi
bene invocando, al sole
mette gagliarda prole
da’ vegeti imenei;

     a chi le capre snelle
10sparge sul pingue clivo,
o pota il sacro olivo
sotto clementi stelle;
a chi, le braccia ignude,
nel ciclopeo travaglio,
15picchia il paterno maglio
sulla fiammante incude;

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     a questi Igea dispensa
giocondi operatori
i candidi tesori
20del sonno e della mensa:
le poderose spalle
e i validi toraci
io formo a questi audaci
del monte e della valle.

     25Né men chi si periglia
coi flutti e le tempeste
del nostro fior si veste,
se il mar non se lo piglia:
né men chi suda in guerra
30porta le mie corone,
se, innanzi il dì, nol pone
lancia nemica in terra.

     Ma guai chi tenta il volo
per vie senza ritorni!
35Languono i rosei giorni
al vagabondo e solo.
Perche, mal cauti, il varco
dare alla mente accesa?
Corda che troppo è tesa
40spezza se stessa e l’arco.

     Dal dì che il mondo nacque,
io, ch’ogni ben discerno,
scherzo col riso eterno
degli árbori e dell’acque;
45e dalla bocca mia
spargo, volenti i numi,
aure di vita e fiumi
di forza e d’allegria.

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     Sul tramite beato
50però piú d’uno è vinto
per doloroso istinto
o iniquitá del Fato:
ma può levarsi pieno
di gagliardia divina,
55s’ei la sua testa china
nel mio potente seno.

     Dal sol che spunta e cade
a voi nella pupilla,
dall’aria che vi stilla
60il ben delle rugiade,
dai rivi erranti e lieti,
dal rude fior dei vepri,
dal fumo dei ginepri,
dal pianto degli abeti,

     65da ogni virtú che il sangue
e il corpo vi compose,
rispunteran le rose
sul cespite che langue;
e i liberi bisogni,
70che risentir si fanno,
nell’ombra uccideranno
le amare veglie e i sogni.

     Salvate, oimè! le membra
dal tarlo del pensiero.
75A voi daccanto è il vero
piú che talor non sembra.
L’uom, che lo chiese altrove,
dannato è sul macigno,
e lo sparvier maligno
80fa le vendette a Giove.

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     In voi, terrestri, mesce
vario vigor Natura;
ma chi non tien misura,
alla gran madre incresce.
85Destrier che l’ira invade,
fatto demente al corso,
sui piè barcolla, il morso
bagna di sangue... e cade.

     Perché affrettar l’arrivo
90della giornata negra?
Ne’ baci miei t’allegra,
o brevemente vivo!
Progenie impoverita,
che cerchi un ben lontano,
95nella mia rosea mano
è il nappo della vita.