Canto a tutte le donne virtuose dell'universo/Canto
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CANTO
Dammi, Apollo, il tuo pletto, il vecchio vate
Desia d’armonizzar sulla sua lira
Forsi l’ultimo canto, il quale i pregï
Del sesso bel all’universo annunzï.
5Ei troppo amò le nove tue donzelle
Più per le lor virtù, che le bellezze,
Che vaghe le facean ed ammirande.
Quindi da lor venendo il sesso bello,
Che di pari virtudi adorno splende,
10Or celebrarlo il voglio in fermo canto.
Vetusta è la mia lira; e sopra d’essa
La polve s’addensò; le corde aurate
La ruggine cuoprì, così che rauco
N’elice il suon, e non piacevol spazia.
15Ma dissonanza qualsisia corrige
Il divin plettro tuo, e mercè d’esso
Questo canto sarà soave e caro.
Errò chi disse che soltanto è fatta
La donna, onde addolcir dell’uom le cure;
20Onde divider le spiacenze e i gaudï
Col suo consorte; onde prestarli aita
Ne’ suoi travagli, comechè più duri;
Ond’èssere la Fata d’ogni casa,
In cui si gode la divin dolcezza.
25Essa sarebbe ancor fuor di famiglia
Benefica beltà, qualor dotata
Di sublim mente sia e di bel cuore.
Della donna nel cor, che più di quello
Dell’uomo sente dell’amor la fiamma,
30È apiro e sempre vivido quel fuoco,
Ch’arde perenne verso il padre Iddio.
Ah! sì! che sempre della donna il petto
È stato tempio del supremo Nume,
El’ cuore suo è stato sempre altare,
35In cui non mai s’è spento il fuoco sacro:
Mentre il petto el’ cuor dell’uom sovente
Ad idoli di fango àn fatto omaggio.
E se talor s’è vista qualche donna
Come Aspasia variar ne’ suoi effetti,
40Nell’amore ver Dio s’è vista sempre
Stabile fin al suo giorno supremo:
Mentre Superbia è spesso assiderato
Il cuore ancor de’ più veggenti Sofi.
Percui e petto e cuor son della donna
45E tempii ed are dedicati a Dio.
E chi potrà mai dir come s’espanda
Agli atti pii della donna il core?
Quando la donna un infelice vede
Languir per malattia, pietosa aita
50Lui porge, s’addolora, e quasi sente
Più pena di colui che soffre il male.
Quando scorge il simil, che sente fame,
Toglie a se stessa (anche se dessa fosse
Indigente) quel pan che l’è di cibo,
55E lieta a quel famelico lo porge.
Alloraquando un cieco od un storpiato
Ode che si lamenta per le strade,
Spinta da caritade a quel s’invia,
Il conforta l’ajuta, e a lui vorrebbe
60Ridar la vista e sanità perfetta.
Quando quell’accatton le si presenta,
Che per sventure e per avversa sorte
La sua nudità porta coperta
Di lacerati cenci e di pidocchi,
65Ella commiserevole fà quanto
L’alma pietà le detta, ed il fornisce
Di nuove vesti e lincerie polite.
In somma la miseria à gran soccorso
Nella pietade della donna sempre.
70Dove le donne siedono sul trono
Nella luce maggior regna Clemenza,
Regnan Prudenza Umanità la diva
Figlia del Cielo, che Discordia abborre.
Ah! sì! la donna è savia, ed ogni mossa
75Prudentemente pesa, e presagisce
Le conseguenze tutte anche lontane.
La donna è umanitaria per natura:
Quindi è felice chi dal suo regime
Vien governato. Nè non ei paventa
80I dì della vecchiaja, i giorni amari
Della miseria, che minaccia i tutti.
Nella regnante donna appar la mano
Dell’invisibil Provvidenza, a Cui
Debbon le genti aver ogni fidanza.
85Perchè la donna all’alma pace inclina,
Le coronate àn sempre detestate
La guerra, ch’è il maggior di tutti i mali:
Ma non perchè sien essi forsi imbelli;
E schivino perciò l’agon di Marte
90Inclinin alla pace, ma aman questa
Perchè dell’ambizioso son più sagge.
Donne ci furo ancor forti guerriere,
Che poser alla fuga e dieder rotte
Ai più potenti eserciti del Mondo.
95E rinomate son le bellicose
Amazzoni e tant’altre in truppe unite,
La duce Semiramide, la scita
Tomiry, e tante per viragin mostre,
Tra’ quali l’orleanese e la nizzarda
100D’Arcos e Segurana, entrambe eroe.
Ma queste apparon, nel profondo abisso
De’ secoli, fenomeni ben rari.
Ogn’un à visto poi nel civil Mondo
Quanto giovi la donna in sua famiglia;
105E come angelo sia apportatore
D’ogni contento e pace e d’opulenza,
Allorchè in sagro marital conjugio
È unita a buon cattolico consorte.
Essa il marito tien lontan dai vizï,
110Li quali abbendan la ragione umana,
E fan commetter li più rii delitti.
Essa il consola nelle traversie,
L’è sposa madre figlia ed infermiera;
L’è serva, l’è la più sincera amica.
115Essa cura e conserva le fatiche
Del conjuge ed industre e laborioso.
Essa divide secolui il gaudio
E’ i dispiaceri, che l’evento adduce.
Essa con lui son due in una carne,
120Val dir anime due in un sol corpo.
Grand’è l’istituzion del Sacramento
Del matrimonio, che lasciava Cristo.
È questo caro necessario ameno,
Quanto la donna è necessaria e cara.
125Iddio formò la donna quasi bruta,
Cristo l’ingentilì col ligam sacro.
Sciocchi, che rinnegate il ver Messia,
Nelle sue leggi sagge e filolae
Guardate il magno codice, che l’uomo
130Rediggere non mai potuto avria.
In lui guardate sotto specie umana
Divinità pel nostro ben discesa!
Quindi riedite ad esser saggi, al pari
Che fur i nostri padri avventurati.
135Ma quel divino onor, che più decora
Il sesso femminil, e lo corona
D’eterno grande e d’impassibil serto,
È d’èsser stata un immacchiata donna
Prescelta a madre di quel Dio fatt’uomo,
140Ch’à la famiglia uman tutta redenta
Dalle catene del comun nemico.
Quest’onor solo fà la donna obbietto
Venerando sublim. Maria fù quella,
Che la cervice calpestò del drago,
145Ch’il Mondo inter in schiavitù tenea.
Dessa ne conculcò la sua superba
Cervice, e liberò dalle catene
Del più duro servaggio il mondo tutto.
Gloria perciò ed a Maria, e dopo
150Di Lei alle distinte del bel sesso.
Tanto premesso, se per tali doti
La donna all’uom primeggi, qual primeggia
Per sua vaga bellezza, e l’incantanti
Maniere illecebrose e seducenti,
155Ond’anche il fier e apatico subbilla,
Perchè si nega ad essa star in scranne,
Delli Consigli patrii e nazionali?
Perchè dagli anfizionici convegni
S’esclude dappertutto, e non si pruova
160Qual effetto daria la sua saggezza?
L’Elisabette, l’Anne, e Caterine
’An dimostrato che la donna è diva
Anche sul soglio! E per qual causa poi
Al prò d’ogni nazion non è chiamata?
Se Camera donnil controrollasse
165Dell’ominil le sviste, e le delesse
Quando n’avvengon da brutal capriccio,
Qual sempre li Senati àn praticato,
Al culto verso del gran padre Iddio
L’ateo non mai àvrebbe posto guerra,
170Con dispiacenza unanime di tutti.
Non mai contro il Pastor del magno gregge
Il famelico lupo àvria gridato
Per saturar il natural bulimo
Li Pentei non mai àvrien deriso
175Le sagre liturgie, che sono i segni
Della riconoscenza verso il Nume,
Ch’ama cotanto i popoli suoi figli.
Gl’invasati da Satana non mai
’Avrian diffuso libri avvelenanti
180La mente el cuore della pura gente.
Non mai la malafede e l’empio inganno
’Avrien àvuto imper, avrien spogliato
Chi si guadagna il pan col suo sudore.
Non mai uditi si sarian clamori
185Unisoni di tutti, che frementi
S’innalzan, qual dal mar in ululato.
Non mai scempiagin si sarebbe vista
Spaziar, qual gasse che micido sorge
Dall’imo della Terra, e l’aer guasta.
190Non mai insomma si sarìa veduto
Risorto un caos del primier peggiore.
La Camera donnil le prime cure
’Avria rivolto al culto verso Dio,
Dal qual felicità qualunque elice;
195Dal qual vien la moral, ch’addolce il fiero;
Da cui li Sacramenti ed ogni freno,
Ch’arrestano l’istinto del malvaggio;
E donde il bene eterno e temporale
Deriva, come il fior dalla sua pianta.
200’Avrebbe dessa con saviezza imposto
Li contributi al popolo che geme
Sott’oneri pesanti, che perduti
Senza vantaggio della patria vanno
Spesso nel gorgo di voragin ceca.
205Con fina economia, in equo modo
L’esiti vani regolato àvrebbe,
Onde non far cader in fallimenti
E in debiti crescenti le nazioni.
Qual fece Alfredo, d’Inghilterra il nume
210Fugandoli, l’orgoglio àvria fiaccato
Dei lupi della patria; e nel santo
Timor di Dio la gioventude àvrebbe
Fatta educar nelle cristiane scuole,
Ch’ànno civilizzato in tutto il mondo
215Anche i selvaggi più brutali e fieri.
’Avrebbe dessa col consiglio oprato,
Come pel bene del romano impero
Sant’Elena operò; come pel bene
Di Granbrettagna Berta, d’Etelberto
220La bella e virtuosissima figliuola;
Come Olga l’eroina; qual Clotilde,
Come la celeberrima Matilde
Antenata del principe Gonzaga,
Alessandro primier di Mantua duca;
225Come di Micislao la buona moglie;
E qual la suora del secondo Enrico,
Tutte de’ loro popoli le madri.
La Camera donnil àvria di Giano
Nel delubro con ceppi incatenata
230La dira Guerra, ed un fastoso tempio
Edificato ad onorar la Pace.
Fiorir àvrebbe fatto con ogn’arte
L’agricoltura el nazional commercio,
Non opprimendo con balzelli i civi,
235E non paralizzando con imposte
E stravaganti e dure il trafficante.
’Avrebbe posto infin in ogni stato
Quel bel ordine publico, che mette
La donna nella sua propria famiglia.
240Ciò posto, plaudo all’eloquente Ortensia,
El suo consiglio ad attuar propongo.
Le donne sono cittadine anch’esse,
Ed ànno dritto dar il voto loro.
Dann’esse alle lor patrie i valorosi,
245Che le difendon dai diversi insulti.
Esse son madri degl’ingegni sommi,
Che figurar le fanno in mille modi.
Esse producon di qualunque ceto
Li cittadini a tutte l’arti addetti,
250Esse d’ogni nazion l’anima sono.....
Dunque, qual fè Natura il cervelletto
Per migliorar del cerebro i pensieri,
Formin anch’esse, ed in tutti i siti,
Di quanto inomogeneo sia surto
255Depurator moderator Senato.