Busto Arsizio - Notizie storico statistiche/Parte I/XV

Cap. XV

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XV.


Contesa tra i principali estimati e certo Rotondi — Pellagra (1784 e successivi)
— Torbidi negli anni 1797 e 1813 — Sommossa del 1814
— Ricomparsa della petecchiale (1815) — Cholera morbus (1836).


Naque una grave contesa nel 1722 tra i primi estimati del borgo e certo Giovanni Rotondi, imputato d'aver spinto il popolo ad insorgere per li eccessivi aggravj e [p. 107 modifica]per la cattiva amministrazione dei Deputati. Il Rotondi, altro di questi, in un convocato generale era stato eletto a pieni voti dal popolo a suo procuratore, come quegli che aveva preso a favorire la causa de'poveri. A rimediare ai disordini di questa contesa, si fece la revisione dei conti, e si tolsero alcuni abusi.

Nel 1784 era già difusa nel ducato di Milano e segnatamente nelle pievi di Appiano, Castel Seprio, Gallarate, Dairago, Parabiago, Nerviano e Seveso la pellagra detta anche mal rosso e insolato di primavera. Essa, giusta le opinioni de'medici d'allora, attaccava di preferenza li adulti e li abitanti delle campagne asciutte e che più si avvicinano ai colli. Intorno a questa malatia si possono vedere le Observationes del dott. Gaetano Strambio, che fu direttore dello spedale dei pellagrosi in Legnano dal 1784 al 1788. “Nel Milanese (così il Cherubini in un articolo Su le cause rimote probabili della Pellagra, inserito nella Rivista Europea del 1846) è cosa certa che la pellagra ha il suo trono nei distretti di Saronno e di Carate, giacchè ivi i pellagrosi stanno nella proporzione di sette ad uno con li altri distretti della provincia.„ Ecco a compimento di queste sommarie notizie uno specchietto de'casi di pellagra nel già distretto di Busto Arsizio, che contava circa 27 mila persone dagli anni 1830 al 1838, desunto dalla Guida, Milano e il suo territorio:

Anno 1830 Pellagrosi N.º 173
1831 166
1832 164
1833 180
1834 150
1835 152
1836 153
1837 151
1838 154
[p. 108 modifica]Cessato il lungo e duro governo spagnuolo ed all'imperatore Carlo VI successi Maria Teresa, e di poi Giuseppe II, i quali con un governo mite e illuminato si conciliarono l'amore e la gratitudine del nostro paese, Busto crebbe in prosperità fino a che il turbine rivoluzionario venuto di Francia tutto sconvolse, ed importò fra noi nuove idee. Incalzati li Austriaci dalle truppe republicane nel 1796 dovettero abbandonare il Milanese. Ma, cangiatasi la fortuna delle armi, i Francesi furono costretti nel 1799 a dar le spalle al nostro paese. Allora cominciò la seconda occupazione austriaca di cui ognuno ricorda la breve durata, e a cui pose fine la celebre battaglia di Marengo. In tale periodo, e durante la Republica Italiana e il primo Regno d'Italia, non ho altro a ricordare che alcune turbolenze.

“In Busto1 a 29 di genajo una moltitudine di popolo sedotta, o delusa, strappò verso le ore nove di detto giorno cinque prigionieri austriaci da otto uomini d'arme, che li scortavano, e verso mezz'ora dopo il mezzo giorno tolse pure a forza altri 14 prigionieri austriaci scortati da 22 nomini d'arme, che parimenti li conducevano. Il pretore, le autorità costituite, alcuni altri che avevano influenza nel paese trascurarono tutti i mezzi per cui si avrebbe potuto prevenire, impedire, dissipare il grave attentato. Perchè però la colpa non si rovesci sopra il pretore o sopra alcuni altri, si studia di farla dimenticare col disprezzo e di farla piombare su de'ragazzi e delle donzelle, su quella classe insomma o [p. 109 modifica]innocente o sedutta dalle antiche radunanze contro i Francesi e dall'affettata indolenza de'maggiori. Il pretore in seguito fraternizza con alcuni ricchi del paese e spaventa li altri a segno, che da 400 famiglie infelici emigrano dalla patria. Il gen. Kilmaine commandante della Lombardia ha quindi spedito in Busto una commissione, la quale, rilevata la natura, i principj e le conseguenze del fatto, proclama un perdono generale a tutto quel Commune e procede contro i rei o correi, obligandoli ad una multa equivalente al cambio di 19 prigionieri francesi, da destinarsi all'ospedale de'feriti esistente nella Certosa di Pavia. Questa multa non ha oltrepassato la somma di 8,500 lire che è stata ripartita persino su'l pretore medesimo con la massima imparzialità. Il metodo di questa operazione ha talmente sorpreso il popolo, che si è visto come rigenerare da'suoi pregiudizj nell'amore di libertà e nel patriotismo. Tutti hanno applaudito ai principj della Republica francese, cui prima non conoscevano o disprezzavano per la perfidia o negligenza di molti, e nella sera del giudizio pronunziato, il popolo, fra i suoni degli istrumenti e fra i sentimenti di gioja, gridò: “Viva la giustizia, viva l’uguaglianza„.

Come facilmente succede ad ogni mutar di signoria, altro simigliante disordine ebbe luogo il 7 di dicembre del 1813 che fu una domenica.

Alle sei pomeridiane di quest'infausto giorno due incauti provenienti da Milano annunciano lo spavento ch'erasi colà sparso per il temuto imminente arrivo delle truppe tedesche. All'annuncio di questa notizia alcuni individui suggetti alla sorveglianza della polizia, ebri pe'l vino tracannato in quel giorno, mal calcolando le conseguenze di un'invasione nemica, osano manifestarne [p. 110 modifica]tripodio. Quindi vanno pe'l borgo cantando e schiamazzando, finché, aumentatasi la turba in numero di 10 a 12, combinano fra loro una festa da ballo quale si conviene a persone rozze e brille. Passano adunque all'osteria di Giuseppe Bianchi, indi a quella di Ambrogio Radice, poscia ad altre per dar principio alla festa, ma da per tutto ricevono una ripulsa. Finalmente hanno ricetto presso l'oste Ganavesi, che ignorando i motivi del tripudio permette loro di ballare sino al segno della ritirata, al battere della quale intima loro di partirsi. Usciti di là, altri si recano alle proprie case, altri continuano lo schiamazzo, sinchè alcuni zelanti del buon ordine disperdono quella turma insolente. La seguente matina fu istituito un corpo scelto di Guardia Communale.

Checchè siasi divulgato in odio degli abitanti di Busto e rappresentato alla sovranità, questo e non altro fu il fatto pe'l quale furono imputati nove borghigiani d'avere perturbata la publica tranquillità, e costretti a scolparsi dinanzi ad una commissione militare2. Difesi dalla robusta e splendida parola dell'avvocato Cesare Turati, furono tutti assolti, e nella riportata favorevole sentenza i rappresentanti del borgo poterono esibire al publico, inalzare al trono, e tramandare alla posterità un solenne documento della loro irreprensibile condutta3. Cosi fu avviata la conciliazione del Commune di Busto co'l Governo, e preparata la via ad ottenere dalla clemenza sovrana la revoca del decreto del 18 di novembre, co’l quale il vicerè Eugenio Napoleone aveva ordinato si spedisse in Busto un distaccamento di [p. 111 modifica]forza armata, e vi si pagasse, durante un anno, doppia contribuzione. Infatti ad istanza dei Bustesi, e per interposizione del ministro dell'Interno, queste severe misure furono su'l finir del dicembre levate.

Volgevano solo pochi mesi, allorchè scoppiata in Milano la nota rivoluzione che segnò la caduta del primo Regno Italico e il principio del dominio austriaco, Andrea Crespi Bosinetti detto Bilì, carrettiere, approfittò in Busto di quel tempo di turbolenze per farsi capo della plebe che lo disse suo re. In mezzo ai timori ed all'ebrezza di un popolo che sperava un più lieto avvenire, commandava il Bilì; ma l'usurpato potere non durò in lui che solo tre giorni. I primi ordini che diede a'suoi seguaci volsero a suo prò li elementi della rivolta per sbandarsi nelle case dei proprietarj di Busto a far bottino di vittovaglie, le quali furono poste su la piazza per uso commune. Nè di ciò stette paga quella plebe furibonda; le scritture che erano in deposito presso l'archivio e li altri officj, furono trasportate su la piazza di S. Maria, ove i tumultuanti, che non ne sospettavano nè meno l'importanza, ne diedero una parte alle fiamme. Siffatto errore però apparteneva a un tempo e a un luogo, che apparentemente giustificava tutto, giacchè coloro non sapevano distinguere la vera libertà dalla licenza. A ristabilir l'ordine nel paese contribuì l'energia di alcuni de'migliori, tra cui mi è caro di ricordare Giovanni Azimonti Gallora, Carlo Cesare Bossi e Paolo Tosi.

E qui comincia la terza dominazione austriaca che pareva volesse gettare su'l nostro suolo profonde radici, e nei primordj della quale la nostra provincia fu travagliata anche da fisici malori. Infatti mentre nel febrajo del 1815 il tifo petecchiale andava in Milano cessando, si sviluppò tra li abitanti di Busto. Allora oltre [p. 112 modifica]le consuete pratiche, segnatamente del sequestro degli infetti, fu scelto l'oratorio di S. Gregorio per trasportarvi li tifosi e si assegnò pei meramente sospetti l'ospitaletto della Madonna in Prato.

Ricomparve nell'anno successivo, e in allora i malati, che non potevano essere curati nelle proprie famiglie senza pericolo di difundere il miasma, si trasportavano a mano a mano all'Ospitale Maggiore di Milano: li altri erano assuggettati a rigoroso sequestro nelle case rispettive. A malgrado di questi provedimenti il male continuava a propagarsi, e nel mese di ottobre del 1816 li attaccati ammontarono a 25. Per altro il carattere di tal febre si mantenne benigno; giacchè perdette la vita un solo individuo e questi per gravissima complicazione di mali.

Il medico Giuseppe De Filippi4, recatosi in luogo per incarico governativo, riferì alla Delegazione Provinciale il 29 di novembre del 1816 che il malore si limitava tra i più miserabili tessitori e contadini. Perlochè, afferma egli, “si può stabilire che il contagio non ha forza di superare la reazione vitale negli individui ben nutriti e robusti e che vi si richiede una speciale predisposizione per contrarlo. È pure degno di riflesso che il contagio ha finora rispettato tutta la porzione della borgata che giace al nord ed all'est e che di preferenza si è manifestato nella contrada posta verso il mezzogiorno, non molto lungi dalla chiesa che nell'anno scorso servì di ospedale durante la stessa malatia contagiosa. Per altro è sommamente difficile di determinare la vera provenienza di questo tifo, giacchè varj altri Communi non [p. 113 modifica]molto distanti da Busto, come Cástano ed Olgiate erano precedentemente contaminati.„

Nel 1821 i Piemontesi e i Lombardi liberali progettarono di unire la Lombardia al Piemonte, ma i tempi non erano ancora maturi per assicurare alle Provincie sorelle l'indipendenza.

Busto e i dintorni quasi ogni anno appresso ne'mesi di agosto e settembre erano occupati da numerose truppe che vi stanziavano per manovrare nella vicina brughiera di Gallarate. Perciò il nostro borgo ebbe a sostenere nel 1835 una spesa notabile per uno straordinario acquartieramento di truppe dal 25 di luglio al 5 di settembre.

Il Cholera-Morbus del 1836 afflisse anche Busto, e fu assai mite e di breve durata, non contandosi che solo 48 vittime. Credo possa bastare questo semplice tocco a farne ricordanza storica.

Note

  1. Riferisco il fatto con le parole del Termometro politico della Lombardia (vedi il N. 73, 25 ventoso, anno V repub.) che corrisponde al mercoledì 15 di marzo del 1797. Questo periodico, oggidì sì difficile a rinvenirsi, mi fu graziosamente communicato dal cav. Cesare Cantù.
  2. Tenuta in una sala della casa ora di proprietà del dott. fisico Carlo Tosi.
  3. Questa Difesa fu allora stampata in Milano presso il Pulini, ma li esemplari di essa sono oggidì rarissimi.
  4. Fu chirurgo in capo dell'esercito italiano e cavaliere della Corona Ferrea.