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Ezio Levi 1914 Indice:AA. VV. – Fiore di leggende, Cantari antichi, 1914 – BEIC 1818672.djvu cantari Bruto di Bretagna Intestazione 1 luglio 2020 25% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Fiore di leggende, Cantari antichi

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VIII

BRUTO DI BRETTAGNA

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I’priego Cristo padre onnipotente,
che per li pecator volé morire,
che mi conceda grazia ne la mente
ch’i’ possa chiara mia volontá dire.
E’ priego voi, signori e bona gente,
che con efetto mi deggiate udire,
ch’io vi dirò d’una canzon novella,
che forse mai non l’odiste si bella.
2
Leggendo un giorno del tempo passato
un libro che mi par degli altri il fiore,
trovai eli’un cavalier inamorato
fe’ molte belle cose per amore,
ond’io, a ciò che sia amaestrato
de la prodezza sua ogni amadore,
dirò di quel baron senza magagna,
che fu chiamato Bruto di Brettagna.
3
Questo barone essendo d’amor preso
piú ch’altro mai d’una donna valente,
ardeali il core come fuoco acceso,
perché celava a lei tal convenente,
e, non possendo piú sofrir tal peso,
rechiesela d’amor celatamente,
dicendo: — 1’ son per far vostro disio
in ogni caso, se voi fate ’l mio. —

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4
Ed ella li rispose: — Po’ch’io sento
il tuo volere, or vo’ che ’l mio tu saccia.
Se tu vói del mio amore esser contento,
d’una cosa ch’i’ ho voglia mi procaccia. —
Disse ’l donzel: — Dite ’l vostro talento,
ché’l non fia cosa, ch’io per voi non faccia,,
e’ sia ad acquistar, quanto vuol, forte,
ch’i’ no’ mi metta per aver la morte. —
5
Disse la donna: — Or vedi, cavaliere,
lá dove fa lo re Artú dimoro,
ha nella sala un nobile sparviere
che sta legato ad una stanga d’oro.
Appresso quell’uccel, eli’è si maniere,
due bracchi stan che vaglion un tesoro,
la carta de le regole d’amore,
dove son scritte ’n dorato colore.
6
E, stu puoi far ch’i’abia quel c’ho detto,
pognam che te sia greve ad acquistare,
infino ad ora ti giuro e prometto
ch’altri che te giammai non voglio amare.
Ed el rispose: —Questo m’è diletto.
Addio, madonna, ch’i’ ’l vo a procacciare! —
E tanto cavalcò dopo ’l connato,
che ’n la selva reai si fu trovato.
7
E, cavalcando per la selva scura,
pervenne a luoghi molt’aspri e crudeli
e poi, pensando sopra sua ventura,
ed una damigella senza veli
l’apparve e disse: — Non aver paura,
ch’i’so dove tu vai, benché tu ’l celi;
ma tu seristi a troppo gran periglio,
se tu da me non avessi consiglio. —

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Vili - BRUTO DI BRETTAGNA
8
Ed egli, udendo ciò, guardava fiso
la biondissima e vaga damigella:
a li capelli ch’avea dietro al viso
portava d’òr legata una cordella,
dicendo: — Dama, angel di paradiso,
che luci piu che la Diana stella,
deh, dimmi perch’io vo, se tu lo sai,
e poi ti crederò ciò che dirai ! —
9
Ed ella, rispondendo al suo dimando,
a motto a motto tutto gli contòne
com’e perché n’andava, e come e quando
e’ s’era mosso per cotal cagione.
E Bruto disse: — I’ mi ti raccomando
che m’aiuti fornire mia ’menzione.
Oh, dimmi il modo che ti par ch’io pigli,
ch’io no’ mi partirò di tuo’ consigli! —
10
Ed ella disse: — Ben t’aterò alquanto,
se per mio senno portar ti vorrai.
Sappi che quel che tu brami cotanto
in nulla guisa acquistar non potrai,
se primamente tu non ti dá’ vanto
d’avere amor di bella donna, s’hai,
piú ch’alcun altro cavalier che truovi,
e per battaglia poi convien che ’l pruovi.
11
Ma nel palazzo non potrá’ entrare,
se ’l guanto de l’uccel non hai primieri,
e tu quel guanto non potrá’ ’cquistare,
se non combatti con duo cavalieri,
i quali son posti ’l guanto guardare,
e son gioganti molti arditi e fieri
Se tu gli vinci, non toccar da loro,
ma spicca tu da la colonna d’oro. —

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12
E Bruto disse: — Dama, i’ non potrei
donna nomar di tanta appariscenza.
Se non ti fosse grave, ben vorrei
che tu di te mi dessi la licenza. —
Ed ella disse: — Fa’ ciò che tu dèi,
ch’i’son contenta per tal convenenza. —
E con fermezza d’amore il baciòe,
e un destriero fornito gli donòe.
13
E disse: — E’ ti convien sanza pavento
cavalcare e combatter con ardire;
tu ha’ cavai che corre come vento
e meneratti dove tu vogl’ re. —
Ed e’ vi montò su con ardimento,
e ringraziolla molto in suo partire,
e tanto degli sproni el destrier punse,
-ch’a la riva d’un gran fiume giunse.
14
E, non possendo quel fiume passare
perch’era cupo e d’ogni Iato monte,
lungo la riva prese a cavalcare,
tanto che d’oro ebbe trovato un ponte,
ch’era si basso, che per l’ondeggiare
l’acqua sopr’esso ispesso facia fonte.
Dal primo capo un cavalier avea,
armato e fier quantunque si potea.
15
E Bruto, poscia che l’ebbe veduto,
il salutò co’ molta cortesia
e quello gli rispuose a suo saluto,
ma domandollo poi perché venia.
E Bruto gli rispuose: — I’ son venuto
per passar qui, se tolto no’ mi fia.
— Per passar no — rispuose quel guardiano,
ma per aver la morte di mia mano!

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16
Ma, perché se’ di giovanezza tale,
i’ ti vo’ perdonar — gli disse accorto, —
che ma’ non arrivò in queste contrade
picciol né grande, che non fosse morto;
ma, perch’io veggio per sempricitade
t’ha fatto pervenire a questo porto,
o lassa l’arme e tutti arnesi tuoi,
e vattene al piú presto che tu puoi. —
17
Rispose Bruto: — Ha’ tu tanta mattezza,
che credi per tuo dire i’ lasci l’arme?
Intendo di provar mia giovinezza
contro chi ’1 passo vorrá constrastarme ! —
Ed e’ si fo adirato e con fierezza
disse: — Se tu se’ stolto, come parme,
da po’eh’io veggio che vò’pur morire,
e tu morrai ! — E corselo a fedire.
18
E di molt’arme gli tagliava adosso,
ed in piú parte la carne gli afferra.
E Bruto allor, sentendosi percosso,
e ’l sangue suo cadere in su la terra,
e la sua donna gli tornò nel cosso,
ond’egli isprona il buon destrier di guerra,
e feri quel guardian si aspramente,
che per morto l’abatte di presente.
19
E quel giogante gli chiese mercede,
ed egli perdonò per cortesia,
e ’l suo cavallo degli sproni fiede
e per lo ponte subito si ’nvia.
Quando il guardian da l’altra parte vide
ch’ai suo compagno pur morte giungla,
di forte il ponte cominciò a corlare
che spesso sotto l’acqua il facia andare.

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20
E Bruto, per bontá del buon cavallo,
pur passò oltre per lo ponte ratto,
e giunse a quel fellone quale strale,
dove crollava il ponte al primo tratto,
che su la testa feri senza fallo
e, per vendetta di quel ch’avea fatto,
per forza il prese e nel fiume il gittòe,
onde il guardimi di subito affogòe.
21
E, quando egli ebbe valicato il passo
ed amendue le guardie abattute,
ed e’ si risposò, perch’era lasso
delle percosse, c’have ricevute;
e ’1 meglio che potè, seggendo a basso,
venne curando tutte suo’ ferite.
Po’ valorosamente, come saggio,
montò a cavallo ed usci di suo viaggio.
22
E, cavalcando il franco damigello
per un bel prato tutto pien di fiori,
vide un palazzo fortissimo e bello,
ma no’ parea ch’avesse abitatore,
però che porta, finestra o sportello
no’ si vedea da lato né di fuori.
Nel prato si v’avea mensa d’ariento,
piena di cibi e d’ogni guarnimento.
23
E poi appresso vide sotto un [lino
un gran vaso d’argento pien di biada,
ond’egli ismonta, di coraggio fino,
perché per suo destrier molto gli agrada.
Trassegli il freno e puosegli all’orino,
perché rodesse, poi d’intorno vada.
No’ veggendo persona, fra sé pensa:
— Sia ciò che puote! — e fussi posto a mensa.

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24
Mangiando francamente, come quello
ch’avea grande bisogno di mangiare,
una porta s’aperse del castello,
che facea si grandissimo sonare,
che maravigliar face quel donzello;
sicché ristette e volsisi a guardare,
ed e’ vide venire un gra’ giogante
verso di sé con un baston pesante.
E da seder non si mosse costui,
ma piú che mai mangiava alia sicura.
Disse il giogante, quando giunse a lui:
— Che ne fa’ tu costá senza paura?
Queste mense son messe per altrui,
cioè per gente di miglior natura.
E Bruto mangia prima quanto volle
poi gli rispuose: — Deh, quanto se’ folle! —
26
Se queste mense son per gentil gente,
ed io mi tengo ben d’esser gentile,
ché ’l padre mio fu molto soficiente,
e suo paese molto signorile.
A la corte del re, eli’è si possente,
per ch’io vi mangi, no’ manca’ su’ stile.
E son venuto per portarne meco
uno isparviere che ’l re Artu ha seco. —
27
Disse il giogante: — Oh! t’inganna il pensiero,
ché gran semplicitá nel cor t’abonda;
ché sarebbe impossibile ad avere
al piú prod’uom, che è ’n Tavola rotonda;
eh’è per guardia del guanto piú vedere
che quel palazzo intorno non cerconda,
e, se compagni avessi un centinaio,
ti veterebbe il passo il portinaio.

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28
Però, deh, parti, e torna in tuo paese
po’che ancora non t’è la vita tolta;
lassa Parme e ’l cavai, cli’a le tue spese
vo’ ch’abbi manicato a questa volta. —
Rispuose allora quel donzel cortese:
— Per cosa molto grande ora m’ascolta,
ch’io, prima che per te i’ torni adrieto,
teco saprò se Parme mia han divieto! —
29
Disse il giocante: — Con questo bastone
io n’ho giá morti piú di cinquecento;
ma, perché tu mi par troppo garzone,
si perdonava al tuo gran falimento.
Ora ti dico ch’i’ho intenzione
di raddoppiarti la pena e’l tormento.
Ora va’, monta a cavai, ché’l ti bisogna,
ch’io non ti voglio a piè, per piú vergogna.
30
Rispuos’allora il valoroso Bruto:
— Non piacci a Dio che io monti in arcione,,
ched e’ sarebbe troppo gran partito
combattere a cavai con un pedone !
Or come cavalier prod’ ed ardito
— disse al giogante — fa’ tua difcnsione! —
E colla ispada fiede arditamente,
ma no’ che sangue gli uscisse niente.
31
Disse il giogante, di niquizia pregno:
— Io te ne pagherò, se Dio mi vaglia! —
col baston del metallo e non di legno,
che Io menava come fil di paglia,
e fedia Bruto con un tal disdegno,
che di molt’arme addosso si gli taglia,
e feciolo per forza inginocchiare,
sicché di morte e’ cominciò a dottare.

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32
E poi gli disse: — Po’ che tanta noia
t’ha fatto il primo, che fará il secondo?
Tu ci venisti per acquistar gioia,
i’ ti farò portar di morte pondo,
ché veramente convien che tu muoia,
sicché mal ci venisti a questo mondo. —
E la mazza levò co’ gra’ tempesta,
volendo dare a Bruto in su la testa.
33
E, quando Bruto vidde la colonna,
cioè ’l baston che ’l giogame bave ’n alto,
ed e’ si ricordò della sua donna,
e’ feri lui sopra ’l lucente smalto,
sicché, per che di ferro avesse gonna,
poco gli valse allo secondo assalto:
e’ diedcgli tal colpo in su la spalla
che col bastone il braccio a terra ’valla.
34
— Deh ! no’ mi uccider, per Io tuo migliore
— disse il giogante, sentendo tal pena, —
ch’io ti recherò il guanto del signore,
e tu potrai intanto prender lena.
— Tu mi vogli ingannare, o traditore! —
rispose Bruto, e dettegli una mena.
Ed e’ per téma della morte volse,
e menol seco dov’ il guanto tolse.
35
E, come Bruto il guanto eli’ha spiccato,
e grande istrida dentro si leváro,
e non vi si vedeva in nessun lato
chi si facesse il pianto cosi amaro.
Ed egli vettorioso torna al prato,
e montò al destriero allegro e gaio,
e cosi cavalcò parecchi giorni
pur per pratelli di bei fiori adorni.

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36
E, riguardando, vede dalla lunge
il palazzo reai dello re Artú,
e forte degli sproni il destrier punge,
tanto ch’a quella porta giunto fu;
e, siccome alla porta mastra giunge,
mostrò il guanto e fu lasciato ire su
da dodici guardian, che disson: — Passa,
ché la tua vita sará molto bassa! —
37
Signor, sappiate che secento braccia
aveva di lunghezza quel palazzo,
e d’ariento avea ’l tetto e la faccia
e dentro d’oro le mura e lo spazzo,
iscala c panca v’ha, che ciascun saccia,
ch’eran d’avorio, intagliate a sollazzo
e sonvi d’oro altri sette iscaglioni.
Sedevi re Artú con suo’ baroni.
38
E Bruto arditamente per la scala
montò, pensando di tal novitade;
e, quando giunse in su la mastra sala
e vide il re con tanta nobiltade,
con riverenza inginocchiando cala
e salutollo con benignitade.
E re Artú gli rendè suo saluto,
benché ma’ piú no’ lo avesse veduto.
39
— Perché venisti a meco, in questa corte?
disse un di que’ baroni in corte. Piano
rispuose Bruto con parole accorte:
— Venuto son per Io sparvier sovrano. —
Disse ’l baron: — Per cosi fatta sorte,
credo che tu snra’ venuto invano !
Onde ti move ardir di cheder dono,
che piú di miile giá morti ne sono? —

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40
Bruto, pensando di quella ch’egli ama,
rispuose lietamente a quel barone,
dicendo: — Lo sparvier di si gran fama
i’ non dimando senza gran cagione,
ch’i’ho l’amor della piú bella dama
che niun altro di questa magione.
E, se alcun ci è che voglia contastare,
per forza d’arme glicl tolgo a provare! —
41
Rispose quel baron: —Siene a la pruova!
Però ch’io vo’difendere la mia’manza,
ch’a petto a lei la tua non vai tre uova,
però che di beltade ogn’altra avanza.
E veramente, anzi clic tu ti muova,
confessar ti farò co’ mia possanza. —
E ’n un pratello si furono armati
dentro al palazzo, e furonsi isfidati.
42
E ferirsc l’un l’altro co’ la lancia
si forte, che le rupper negli scudi,
e, poi che dato s’ebbcn cotal mancia,
miser mano a le spade i baron drudi;
e l’uno e l’altro non pareva ciancia,
quando si riscontrar co’ ferri ignudi;
e ’l baron per tal forza Bruto offese,
che de l’elmo tagliò quanto ne prese.
43
E Bruto si ricorda su quell’ora
di quella donna per cui amor fa questo,
di che el rinvigorisse e risan’ora;
e con la spada in mano, ardito e presto,
ferie ’l baron, si che senza dimora
in su la terra cadde manifesto.
V’olendosi levare a questo tratto,
e Bruto smonta ed ucisclo affatto.

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44
E poscia se n’andò ritto a la stanga
e tolse lo sparvier, la carta e’ cani
e partendosi disse: — A Dio rimanga
lo re Artú con i suoi baron sovrani! —
E tutta quella corte par che pianga
ch’un uom cosi gaiardo s’allontani.
Lecenziato dal re, che se ne vada,
vettorioso tornò a sua contrada.
45
E giorno e notte tanto ha cavalcato,
ched egli giunse a la donna selvaggia,
quella che prima gli aveva insignato
come salir si voleva tal piaggia,
e, poi che ’l suo saluto gli ha donato,
ed ella gli responde come saggia:
— Ben sia venuto, per le mille volte,
si fatto amante, che no’l’hanno molte!
46
E poi con baci e con abbracciamenti
gran pezza il tenne, senz’altro fallace,
e poi li disse: — Mò che t’argomenti
di ritornare a tua donna verace? —
Ed e’ le disse: — Se tu te contenti,
i’ farò volentier ciò che ti piace. —
E ringraziolla di coraggio fino,
poi si parti e tornò a suo cammino-