Breve cenno della eruzione vesuviana del maggio 1855

Giacomo Castrucci

1855 Indice:Breve cenno della eruzione vesuviana del maggio 1855.djvu Storia/Vesuvio Testi scientifici Breve cenno della eruzione vesuviana del maggio 1855 Intestazione 23 gennaio 2011 100% Storia

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A S.M. Ferdinando II. Prevvidentissimo Re del Regno delle Due Sicilie

Tito novello, che visita e soccorre i sudditi nella Eruzione Vesuviana del maggio 1855.

L’Arcip.te Giacomo Castrucci Lettore della R.le Officina de’ Papiri Ercolanesi D.D.D.
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BREVE CENNO


DELLA


ERUZIONE VESUVIANA


DEL MAGGIO 1855


PER L’ARCIPRETE GIACOMO CASTRUCCI


LETTORE DELLA REALE OFFICINA DE’ PAPIRI ERCOLANESI


componente della giunta della reale biblioteca borbonica


prima dignità infulata dell’alvitana collegiale e matrice chiesa di s. simeone profeta, professore di dritto, ispettore di pubblica istruzione, regio revisore, membro della società economica di terra di lavoro, socio delle reali accademie ercolanese di archeologia, e di belle arti in napoli, della tiberina, dei virtuosi del panteon, dell’arcadia, dell’imperiale istituto del brasile, ec.






NAPOLI

STAMPERIA E CARTIERE DEL FIBRENO

1855



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Hic est pampineis viridis modo Vesvius umbris:
Presserat hic madidos nobilis uva lacus.

Mart. IV. 44.

....Nec dum lethale minari
Cessat apex.

Stat. Lib. IV. syl. 4.

Non cessa ancor di minacciar ruine il Vesuvio, che quanto è di spavento nelle eruzioni; tanto sarà sempre mai studiato dai dotti, che ora per la prima volta poterono dal Reale Osservatorio Meteorologico, coll’avvedutezza del nostro Augusto Sovrano fatto costruire, contemplarne gli ammirevoli effetti.

Dopo aver taciuto per oltre a cinque anni, e sol nel decembre ultimo sprofondata una parte interna de’ suoi crateri a piè della così detta Punta del palo, al I.° maggio alle 4 del mattino, premesso un forte e cupo mugito, cominciò un nuovo terribile incendio, vomitando da quattro bocche, apertesi a’ suoi fianchi, lava, e sassi infocati, con impeto grande, e boati spaventosi spingendo in alto densi globi di fumo. Queste bocche, o crateri non furono le sole, che avesse aperte; ma l’una appresso [p. 4 modifica]all’altre succedendosi, alle 8 della sera di quel giorno ne furono contate sette; e quindi giunsero fino ad 11, onde sembrava il Vesuvio come melogranato aperto. Cotali bocche erano messe quasi in una linea di basso in alto dalla parte del Settentrione, indicando, che il Cono del Vesuvio erasi squarciato di fianco per una fenditura dalla cima alla base. Le superiori non vomitavano che poco fuoco, che quasi impetrivasi giunto alla base del monte; ma le inferiori vomitavano sì abbondante materia, e congiungeansi per modo da formare un’ampia lava di fuoco, la quale cadendo a piombo dall’alto in una rupe verticale di tufo formava una cascata meravigliosa di fuoco, che gettavasi nel fosso della Vetrana, così nominato dalla Chiesetta di S. Maria della Vetrana o Veterana, investita dall’Eruzione del 1786; e dopo aver quasi riempito tale fosso della lunghezza di circa un miglio, ed essersi elevata ad un’altezza di 100, ed anche 300 palmi, occupava anco il fosso detto di Faraone alquanto sottoposto al primo, formando ancora un’altra splendidissima cascata.

Proseguendo lento, ma minaccioso il suo corso accennava, che avrebbe recato incalcolabili danni a’ coltivati terreni e paesi, che giacciono presso quelle falde; ma la Dio grazia fervidamente invocato dalle lagrime dei minacciati paesi, l’infocato torrente la mattina del 9 maggio, dopo esser disceso nel fosso di Faraone, piegò a sinistra sulle terre di Apicella; e dopo avere con incredibile celerità distrutto selve, alberi, e campestri abituri precipitossi nel fosso di Turricchio, dal quale sembrava accennare di volere distruggere S. Giorgio a Cremano. Ma il Comune di Cremano diretto dal pio suo parroco, e fidato nella protezione [p. 5 modifica]del titolare S. Giorgio, cui invocava supplichevole, la sua Reliquia trasportava nel luogo, e mostrava all’igneo torrente, che sosta: ivi si fissa ad un palo la veneranda effigie, ed il fuoco non osa passare il palo conficcato, e distruggerlo. Incessanti preghiere similmente facevano il Comune di S. Sebastiano, e Massa coi divotissimi loro parrochi; mentre nell’intera Diocesi pregava il Clero tutto ad esempio dell’Em.o e Rev.mo Cardinale Arcivescovo D. Sisto Riario-Sforza, che coll’Apostolico zelo grandemente si distingue.

L’incendio vesuviano durò 28 giorni continui, cioè dal 1-28 maggio. Raffreddata è già la lava, rimangono i terreni abbruciati dal tremendo passaggio.

Agli orribili incendi che abbiamo veduto non può venire paragonata altra eruzione de’ nostri tempi. Il Cav. Francesco del Giudice, Direttore del Corpo degli Artigiani Pompieri in una sua Memoria, letta nel Reale Istituto d’Incoraggiamento nella tornata de’ 14 giugno p. p. dicea, che le materie vomitate dal vulcano per calcoli, che non possono essere molto lontani dal vero, formano 1711 milioni di palmi cubici, quantità tre volte maggiore di quella emessa nell’eruzione dell’anno 1737 descritta dal Serao, e nell’altra dell’anno 1794 secondo i calcoli di Breislak, che disse essere stata di circa 600 milioni di palmi cubici. Vuolsi questa insomma considerare, come una delle principali per l’immensa quantità di lava eruttata; che se non si fosse in due grandi valloni precipitata, e non avesse seguita la traccia della lava piovana, avrebbe recato immenso danno ai colti campi, ed alle vicine città.

[p. 6 modifica]Ma è anche principalmente a considerarsi, (come dicea il ch.mo Professore Luigi Palmieri, Direttore del Reale Osservatorio Meteorologico) che cotesto maraviglioso incendio vesuviano parve mostrarsi con una cert’aria di tranquillità da non arrecare spavento; ma da invitare i curiosi, ed i dotti a contemplare i fenomeni, ed investigarne le leggi. E veramente i coni numerosi, piccoli e facilmente accessibili, i boati, ed altri rumori diversi, non di quella forza da assordare gli orecchi, ed incutere terrore, nessuno scuotimento del suolo, la cenere poca, ed il fumo stesso moderato, parea che non si avesse a temere di alcuna sventura; e però la gente in folla con gaudio traeva a contemplare i maravigliosi fenomeni di una eruzione da molti desiderata; perchè creduta volgarmente rimedio acconcio a fare sparire, almeno nelle contrade vesuviane, la malattia della vite. Chi poi fosse vago leggere i fenomeni, che precedettero, ed ebbero luogo durante tale vesuviana conflagrazione, legga il distinto ragguaglio dell’anzidetto erudito Professore nel Giornale uffiziale del Regno delle Due Sicilie del 26 p. p. maggio, non osando noi mettere la falce nella messe altrui.

Non poche ancora furono le osservazioni, e relazioni date alla luce in questo rincontro dai ch.mi cultori delle scienze naturali Capocci, Guarini, Scacchi ed altri. Esse sono preziose, e fra queste non sarà discaro leggere, quanto ha osservato l’illustre Professore Ab.te Giordano. E mentre molti si fecero ammiratori della formidabile potenza della natura, o del tristo avvenimento, traendone occasione di studiar le forze, e gli effetti; il ch.mo zoologo Achille Costa, fra i nostrali ha presentato un [p. 7 modifica]suo non ultimo lavoro, relativo alla influenza della eruzione vulcanica sulla vita degli animali.

Finalmente nel suddetto Osservatorio e sue vicinanze videsi compiuto il voto da lungo tempo fatto, per cui il fisico ha potuto esplorare, e calcolare l’emanazioni termometriche, elettriche, e magnetiche, e quant’altro ne dipende, e si associa: nella quale circostanza venne ammirata la penetrazione del ch.mo Giulio Schmidt, astronomo dell’Osservatorio di Olmutz, giustamente stimato dal dotto Pubblico, e coltivato con tutte le gentili maniere dal nostro Professore, e Direttore Palmieri. Solerti fitologi neppure mancarono per altre osservazioni, e le piante erbacee offerirono pure dei fatti da meritare l’attenzione dei naturalisti. Dal sapiente della Reale Accademia di Berlino, Barone Humboldt1, ornamento della Corona del dotto Guglielmo IV Re di Prussia, aspettiamo ora, quanto sarà per pronunziare di questa scientifica vesuviana eruzione nel bel mezzo degl’istruiti, ed addottrinati, che alacremente attendono a dilucidare, e [p. 8 modifica]spiegare i fenomeni della Natura, i cui sudori abbellano, e rendono grato il vivere civile colla Scienza e la Fede, le sole fiaccole inestinguibili, guide sicure di questo umano pellegrinaggio.

Ma mentre e nazionali, e forestieri traevano per curiosità alle falde del Vesuvio ardente, la pietà dell’Augusto Sovrano delle Due Sicilie Ferdinando II (D. G.) accorrea quasi ogni giorno, e molte volte coll’Augusta Consorte, e Real Famiglia, o per dare opportuni ripari, o per confortare le avvilite popolazioni, o per soccorrere con vistose somme gl’indigenti, che erano cacciati dalle loro piccole tenute, e minacciati dall’indomito elemento. Videro queste regioni una volta accorrere da Roma l’Imperadore Tito a confortare gli avviliti popoli, giacenti alle vicinanze del Vesuvio nella eruzione improvisa del LXXIX dell’Era Volgare: ma se un principio solo di umanità traea l’Imperadore Tito; un doppio e Cristiano, e Civile trasse non una volta, ma ogni giorno il Magnanimo Cuore di Ferdinando II, il cui glorioso nome ricorderanno con gratitudine anche le più tarde generazioni.

Intanto a rendere sott’occhio non meno ai presenti, che ai posteri nazionali e forestieri le anzidette eruzioni, fu nostra premura incidere, e pubblicare l’annessa tavola. Chi poi amasse conoscere quante, e quali eruzioni vi siano state del nostro Vulcano, e gli autori che ne parlarono; potrà osservare la nostra Cronologia delle eruzioni vesuviane.


Li 15 ottobre 1855.     


Note

  1. Siami concesso con gratitudine ricordare la graziosa accoglienza fattami nella Reale Biblioteca Borbonica nel 1822, quando da Monsignore Scotti (di s. m.) venni presentato a questo Genio Scientifico del nostro secolo. Egli in quell’epoca accompagnando il suo Re in Napoli, volle ripetere la misura del Vesuvio, fatta 13 anni prima con Gay-Lussac, e Leopoldo di Buch. Anche il prelodato suo Sovrano ai 25 novembre 1822 cogli Augusti Figli vi si condussero, e saliti sino alla sommità del vulcano ne contemplarono l’ampiezza, ed esaminarono diligentemente le materie da esso eruttate. Senza poi parlare delle interessanti visite fatte al Reale Museo Borbonico, a Pompei, a Pozzuoli, ec. rammentare qui dobbiamo l’elegante, e dottissima Memoria sulle Eruzioni del Vesuvio dai Tempi di Tito sino al 1822, che con premura sentimmo pronunziare dal Ch.mo Com.re Poli (di o. m.) nel Reale Istituto d’Incoraggiamento, dove Humboldt giunse in sul finire della lettura, la quale venne replicata ad onore del Plinio di Prussia.