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Matti e mattoidi

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MATTI E MATTOIDI


La scienza è una bella cosa, ma è peccato che diventi una chiesa. L’uomo è un animale di abitudini e molti, seccati dalla religione vecchia ma abituati ad averne una ad ogni modo, hanno fatto della scienza una religione. Oramai c’è la sua brava gerarchia, coi cardinali celebranti nel tempio massimo de’ Lincei, i canonici nelle cattedrali accademiche delle città minori, i sacerdoti che officiano nelle Università, gli scagnozzi che tribolano nei licei, i concilii ecumenici, i sinodi nazionali e provinciali, i riti esterni che cominciano con discorsi per inaugurazioni di statue e finiscono con agapi spesso fraterne, ma più spesso pagate dai municipi, e finalmente i fedeli, la turba minuta dei fedeli che a bocca spalancata guarda ed applaude ai nuovi miracoli. Ci sono purtroppo anche gli scismi e le scomuniche, ma ad ogni modo la nuova chiesa prospera, lo spirito di casta e di [p. 452 modifica]classe è vivo tra i suoi sacerdoti ed il culto rende abbastanza. — Protesto però che non voglio dir male della scienza. Prima di tutto, benchè sia un po’ scismatico, specialmente per quel che riguarda la gerarchia, in fondo ci credo anch’io. Poi ci vorrebbe poco giudizio a prendersela con un ordine di persone così potente ed organizzato che a toccarne uno si toccano tutti. I membri del sodalizio si trattano spesso e volontieri di asini e di ciarlatani tra di loro, ma se l’assalto viene da chi non è ascritto al sacerdozio, si trovano subito uniti tutti come un sacerdote solo per punire l’impertinente. Rispettiamo dunque la scienza.

Anzi ammiriamone i risultati. L’antropologia criminale, una scienza quasi nuova, è arrivata a dedurre che gran parte, se non tutti, i birbanti sono tocchi nel cervello e che quindi sono in tutto o in parte irresponsabili. I psichiatri, che in lingua povera sono i medici dei matti, trovano ora che il genio e la follìa si danno la mano, che il poeta quando compone soggiace ad una iperemia del cervello, che Dante, Ariosto, Byron, Goethe e il resto erano mattoidi. La scienza ha dunque oramai trovato e provato che i soli veramente savi sono gli imbecilli. E a questa scoperta, che a dir vero era stata presentita da molti, mi sottoscrivo senza difficoltà.

La scienza, si sa, è diventata sperimentale. Osservati certi fenomeni naturali, li riproduce, quando può, coll’esperimento, li classifica e ne deduce leggi fisse. E questo va benissimo; ma nel lungo processo che passa tra l’osservazione del fenomeno e [p. 453 modifica]la deduzione della legge, quante mai non sono le cause d’errore? E quante mai non debbono essere le ripetizioni dell’osservazione prima di esser certi che la sintesi non sia errata? Non basta, perchè un matto, o venti, o cento matti, hanno un dato tic nervoso, dedurre che tutti quelli che hanno lo stesso tic sono tutti matti. Perchè il Coccapieller ripeteva tre o quattro volte una parola in una frase, non mi par giusto il concludere che la figura retorica della ripetizione sia un indizio di pazzia. Dante dice pure:

     Per me si va nella città dolente,
     Per me si va nell’eterno dolore,
     Per me si va tra la perduta gente.


Virgilio ha pure i suoi quattro Sic vos non vobis. Tutti gli scrittori usano di quella figura che è efficacissima e nel parlare comune, dai letterati ai ciabattini, tutti ne fanno uso grande. O che son tutti matti? Capisco che i psichiatri risponderanno di sì, e sia benedetta la psichiatria!

Un altro carattere delle scritture pazzesche sarebbe quello di scrivere le parole ora maiuscole, ora minuscole, ora corsive o sottolineate, ecc. Noto che gli avvocati nelle loro memorie fanno appunto così, volendo richiamare l’attenzione de’ giudici sopra un testo, una frase, un brano di documento che importa assai alla loro argomentazione. Ci sono certe memorie in cui tutti i più diversi caratteri tipografici sono rappresentati. O che gli avvocati son matti? Io per me credo che i matti siano i clienti. [p. 454 modifica]

Non basta l’osservazione di un centinaio di casi per dedurne una legge. Se le osservazioni poi sono fatte collo stesso scrupolo con cui sono accettati gli aneddoti biografici più soggetti a cauzione, c’è da perdere la dovuta venerazione alla psichiatria. Prima d’ammettere come fatti scientificamente provati che il Buffon un giorno, immerso ne’ suoi pensieri, si arrampicò sopra un campanile e ne discese per le corde sempre inconscio di sè e senza accorgersene, o che il pittore Francia morì di piacere alla vista di un quadro di Raffaello, o che l’Alfieri non poteva mangiare quando il suo cavallo non aveva nitrito, ed altre amene frottole, mi pare che ci si debba pensare. O come, il Buffon non sentì le campane suonare nel suo curioso viaggio su per le corde? L’Alfieri a buon conto era appena di malumore quando il cavallo non aveva nitrito ed anche questa poi fu una chiacchiera della contessa d’Albany che potè esser detta benissimo per celia. Queste storielle si trovano senza dubbio stampate in qualche libro, ma per uno scienziato, l’essere una notizia stampata non è prova della sua autenticità. È una fiaba che l’Ariosto incoronato desse in clamori pazzeschi. La fiaba è a stampa, ma sono a stampa anche le confutazioni.

In un grosso volume destinato a provare che i delinquenti sono matti o mattoidi, tra le altre dubbie storie ce n’è una che a me consta non vera affatto. Il psichiatra vuol provare che i delinquenti, perchè appunto mattoidi, si tradiscono spesso e qualche volta prima anche di commettere il delitto. Ed a prova [p. 455 modifica]si porta una fotografia dove certi assassini si fecero ritrarre in atto di ferire la vittima. I pretesi assassini e la pretesa vittima sono bravi giovani che io conosco e tutta la storiella è falsa. Certo lo scienziato fu ingannato e la sua buona fede non può esser sospettata: ma intanto che cosa prova questo fatto?

Prova che questa pretesa scienza ha ancora molto da fare per potersi dire veramente tale, poichè le osservazioni sue sono imperfette, il numero dei fatti osservati insufficiente e i metodi usati per stabilire le leggi generali soggetti per lo meno a cauzione. Se la canizie e la calvizie sono frequenti così negli alienati che nei pensatori, non si può ancora concludere che i calvi siano pensatori o i canuti siano matti. Se il pallore fu detto il colore dei grandi uomini, non si può concludere altro per ora che i pallidi sono per lo più anemici. Non è la grandezza dell’intelligenza che fa così pallide molte ragazze nubili: ah, no!

Le conclusioni troppo precipitate confinano colle affermazioni gratuite, tanto più che questa nuova scienza, essendo tuttora discussa e controversa, trascina i suoi sacerdoti alle esagerazioni troppo facili nella polemica. Si sa che gli scienziati veggono tutto attraverso gli occhiali della loro scienza e i medici sono facili a trovar malattie dappertutto, gli avvocati a trovar quistioni di diritto, ecc. Anzi i medici trovano un bel caso quello che è più complicato, più grave, e gli avvocati trovano che è una bella questione quella che è più imbrogliata. Così i psichiatri sono proclivi a trovar casi di pazzia dappertutto e [p. 456 modifica]nel caldo delle polemiche trovano specialmente che gli avversari non sono altro che matti. Nel libro che dà occasione a queste parole si sentenzia addirittura che i fautori della cremazione dei cadaveri sono mattoidi o almeno discepoli di un mattoide. Tante grazie! Ma siccome in questo caso sono mattoide anch’io, mi permetto di chiedere quali sono i fatti che giustificano questa sentenza curiosa? Quali sono i fatti provati, che la vostra scienza sperimentale dichiara pur necessari per giungere a conclusioni di verità, che mi condannino al manicomio perchè trovo che i romani non erano tutti matti quando bruciavano i cadaveri? Sta a vedere che non si potrà essere di una opinione contraria a quella di un medico di matti senza essere dichiarato matto senza difesa e senza prove?

Ma non temono forse gli egregi scienziati che le loro sentenze si ritorcano? L’accusa di pazzia può essere un’arma a doppio taglio e ferire chi primo la vibra. O che direbbero gli insigni psichiatri, così facili a dispensare la patente di matto o di mattoide, se qualcuno affermasse invece che i mattoidi sono loro? E notino che, se mancassero gli argomenti sui quali essi fondano le loro sentenze, la grafomania, la calvizie, le deformazioni del cranio, si potrebbe invocare la sapienza delle nazioni, i proverbi, e colla scorta del notissimo “chi va col zoppo impara a zoppicare” si verrebbe a concludere che i veri matti sono i psichiatri.

Certo non voglio proferir io la sentenza. Voglio solo notare come le esagerazioni (che, dopo tutto, [p. 457 modifica]secondo gli stessi psichiatri, sono un altro carattere della pazzia) non conducono a deduzioni esatte e incontrovertibili. Io ho la testa assimetrica come il conte Faella, ma, per quanto i preti non siano la più viva delle mie simpatie, protesto che non ne ho ammazzato nessuno e non sento nessun istinto che mi spinga ad ammazzarne.

Preferirei la cremazione all’inumazione, ma non credo che questa sia prova di debolezza cerebrale. È vero che ho fatto dei versi e i versi sono un grave sintomo di pazzia, ma non ne faccio da tanto tempo che posso esser considerato come guarito. Domando dunque, nell’interesse anche di tutti i miei colleghi nelle aspirazioni crematorie e nelle abitudini di scarabocchiar la carta, che la scienza ci pensi un poco prima di dichiararci matti con tanta facilità e che non precipiti troppo le sue deduzioni poichè il numero dei fatti dietro ai quali pretende di stabilir le sue leggi è troppo piccolo e poco sicuro. Domando che i fatti storici biografici siano prima bollati veri da una critica saggia e non accettati senza discussione da tutti gli Ana e le raccolte di aneddoti che vengono fuori. Non nego che l’antropologia criminale e la psichiatria abbiano fatto importantissime scoperte, ma domando che si ammetta come i sacerdoti di queste due venerabili scienze hanno spesso e volontieri errato o esagerato. Non si domanda ai sacerdoti della scienza se non la rinuncia alla prerogativa dell’infallibilità che si arrogano i sacerdoti cattolici. E non si dimanda molto, mi pare.

Che il Coccapieller sia un mattoide e forse peggio, [p. 458 modifica]si vede troppo bene anche senza usare i lumi della psichiatria. Il fenomeno merita davvero d’essere studiato, non tanto come tale, quanto per gli effetti che ha avuto: ma il farne un parallelo con Cola di Rienzo mi pare una di quelle audacie in cui la psichiatria ora è maestra. Ma che sappiamo noi del tribuno del medio evo di così preciso, di così sicuro, di così intimo da poter osare uno studio intorno alle sue facoltà intellettuali? Le cronache del tempo sono sobrie in fatto di particolarità personali e resta poi sempre a stabilire se il racconto loro sia conforme alla verità. La biografia che l’egregio alienista dei Due tribuni chiama la Vita di Cola di Zeffirino Re, è di autore incognito e si è disputato assai se fosse contemporaneo. Certo è scritta con quella evidenza delle cose popolari d’allora, ma i particolari sono accettabili in tutto? Mentre vediamo esitare il Muratori, vediamo l’alienista accettare non solo ad occhi chiusi, ma attribuire al Re, morto da non molti anni, una scrittura del secolo XIV. Come possiamo dunque accettare per indiscusse le deduzioni che trae lo scienziato da una biografia letta così volando? Come possiamo accettare i termini del confronto che egli vuole istituire tra il Coccapieller e Cola di Rienzo? Via, la psichiatria corre un po’ troppo.

Non bisogna giudicare della storia antica coi criteri appropriati ai fatti presenti, Atti che allora erano comuni e giustificati ora sarebbero strani e pazzeschi: ma ciò non vuol dire che fossero pazzeschi allora. La liberazione de’ prigionieri potenti non è un caso isolato e nel secolo dopo ne abbiamo un famoso esem[p. 459 modifica]pio riuscito bene. La fiducia in un avvento dello Spirito Santo era allora in moltissimi, e da Giovacchino abate calabrese in giù, popolazioni intere aspettarono il nuovo Vangelo. L’esagerazione della potenza del nome di Roma era allora in tutti e la stessa istoria del Rienzi ci mostra che non era del tutto infondata. Molti statuti municipali di quel secolo e anche più avanti, proibiscono alle vedove di piangere i mariti morti. Insomma non c’è un atto del famoso tribuno che, giudicato alla stregua del suo tempo, si mostri anormale o stravagante. Non dico che il Rienzi non potesse esser tocco anch’egli nel nomine patris, ma mi pare che i documenti per affermarlo non siano sufficienti. Le allegorie, i giuochi di cifre allora erano comunissimi e non potevano essere segno di pazzia. Cesare vestiva la toga. Nel Bosisio il vestir la toga è segno di pazzia. Vogliamo noi giudicare il passato coi criteri applicabili al solo presente e dire che Cesare era matto perchè vestiva la toga?

Lasciamo andare. Io rispetto più che tutti l’ingegno e le convinzioni dell’illustre alienista, ma protesto che molte delle affermazioni sue non mi persuadono. Sarà ch’io son profano alla psichiatria; sarà, se vogliono, che sono un mattoide anch’io; sarà che la scienza mi trova diffidente e qualche volta scettico dal momento che si è eretta in chiesa; sarà quel che volete, ma il fatto è che troppo spesso, e non solo a me, vien sulle labbra il vecchio adagio: medice, cura te ipsum.