Brani di vita/Libro secondo/Di Ser Pietro Giardini

Di Ser Pietro Giardini

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DI SER PIETRO GIARDINI

Scusino i lettori se comincio parlando in prima persona del singolare; chi è in causa è proprio quella prima persona ed io sono troppo indulgente per vietarle di parlare.

L”antefatto è questo. Vittorio Imbriani, polemista tanto ingegnoso quanto nervoso, tolse a dimostrare in un suo opuscolo che Dante non nacque nel 1265, secondo la comune opinione, ma più probabilmente nel 1268. In questo non c’entro. Altro è gustare la musica, altro è eseguirla. L’ascoltatore può esser bene infarinato di crome e di biscrome, ma l’esecutore deve avere maggior bagaglio di studi; ed io, non mi sentendo sufficiente la voce e la preparazione, mi astengo dal cantare in questo difficile concerto. Ripeto dunque che non c’entro.

L’Imbriani, a provare la sua tesi, intentava un processo di falso al Boccaccio, che scrisse la vita [p. 470 modifica]di Dante. La data della nascita del Poeta sarebbe fissata dalla testimonianza del notaio ravennate Ser Pietro Giardini, raccolta dal Boccaccio; ma non avendo l’Imbriani trovato nessun documento di questo notaio negli archivi romagnoli, concluse esser Pietro Giardini una invenzione del novelliere certaldese, ed espresse anche alcune sue ipotesi, anzi convinzioni, intorno alla genesi del nome Pietro Giardini nel fertile cervello dell’inventore. Ora l’amico mio Corrado Ricci, che appunto studia gli amici di Dante nell’esilio ravennate, mi fornì la fotografia di alcuni documenti che sono nell’archivio arcivescovile di Ravenna. Sono rogiti notarili scritti o dallo stesso Giardini o da altri che parlano di lui. Queste notizie pubblicai dichiarando bene che volevo soltanto stabilire l’esistenza del Giardini e non giudicare della veridicità sua o di quella del Boccaccio.

L’Imbriani mi rispose in un nuovo opuscolo intitolato “Che Dante probabilissimamente nacque nel 1268”, ed io risposi subito.

Dice l’Imbriani — ch’io gli venni a far lezione e che il trovar documenti è spesso effetto del caso. Che non ho nessun merito nel ritrovamento, ma il caso mi fece imbattere nel Ricci il quale, a caso anch’egli, aveva trovato quegli atti. — Io rispondo che non mi attribuii alcun merito; che anzi, se c’era merito, lo lasciai tutto all’amico mio citandolo. Egli si sarà imbattuto per caso in quei documenti che riguardano il Giardini, ma però cercava nell’archivio suddetto documenti appunto sul Giardini. Così, mettiamo, s’io cercassi documenti intorno al Boc[p. 471 modifica]caccio, per lo stesso caso potrei trovarne negli archivi fiorentini. Quanto al far lezione, se l’Imbriani mi conoscesse, saprebbe ch’io non ho di queste superbie ed ho già detto che di quel che non so bene mi guardo di parlare. Egli protesta di cercare la verità; lo stesso e niente altro faccio io. Del resto se, per comune disgrazia, uno di noi dovesse andare a scuola dall’altro, nervosi come siamo, i calamai volerebbero in scuola fitti come le mosche in luglio. È meglio quindi discutere tranquillamente da Bologna a Napoli, senza che nessuno dei due pretenda di far lezione e tornerà il conto a quella verità che cerchiamo tutti e due.

Segue l’Imbriani dicendo — che in opere a stampa non trovò testimonianza sul conto del Giardini e quindi dovette stare all’altrui fede. Ma che, parlando dei documenti, se disse non trovarsene, non disse con questo che non ce ne potessero essere. — Veramente la distinzione è un po’ fina, vista la soppressione assoluta del Giardini che l’Imbriani aveva fatta nel suo primo opuscolo. Ma ecco che io ho cercato e trovato testimonianza del Giardini a stampa. Non mi rimbrotti l’Imbriani se provo gusto nel trovar queste cose. Egli che studia, sa bene che il trovare il bandolo di una matassa arruffata, il poter chiarire un fatto controverso, è una delle poche soddisfazioni dei poveri letterati. Anche questa volta egli dice che testimonianze a stampa non ne trovò, ma anche questa volta invero non negò che ce ne potessero essere. Le ho trovate per lo stesso caso del Ricci, vale a dire cercandole dove m’imaginavo che [p. 472 modifica]fossero, nella più nota raccolta di documenti ravennati, nei Monumenti ravennati del medio evo del Fantuzzi; opera citata e ricitata da tutti coloro che si occupano della storia e delle cose di Ravenna. Ivi, nel vol. II, pag. 395, anno 1291, si trova il Zardinus de Zardinis padre di Piero. Ivi, nel vol. V, pag. 192, anno 1336, è un atto notarile di Piero Giardini. Ivi, nel vol. III, pag. 401, troviamo Piero ascritto alla Scuola de’ Pescatori. E quest’ultimo documento si trova anche in un altro libro, per verità meno conosciuto fuori di Romagna, nelle Notizie spettanti all’antichissima Scuola de’ Pescatori o Casa Matha, di Camillo Spreti, vol. II, pag. 99. Nei volumi del Fantuzzi abbondano poi i Giardini come Michilinus, Ser Tura zio di Pietro ecc. Testimonianze di Ser Piero Giardini se ne trovano dunque a stampa.

L’Imbriani nota che in uno dei documenti da me prima citati trovasi Petrus filius Ser Zardini de Zardinis e dice "dunque non Ser Pietro di Messer Giardino notaio, figliuolo di dottore o cavaliere, come portano i testi del Boccaccio per colpa di menanti o per errore o amplificazioni del Certaldese, ma Ser Pietro di Ser Giardino notaio, figliuol di notaio!" Quando si dice il caso! Io trovo appunto che Giardino fu notaio, dottore in legge e cavaliere

Sarebbe ridicolo far colpa all’Imbriani del non aver potuto fare le ricerche che sono possibili soltanto a Bologna od a Ravenna; ma, per amore di quella verità che tutti cerchiamo, debbo provare che anche in questo il Boccaccio disse il vero. Nelle Memorie bolognesi del Ghiselli, manoscritte nella [p. 473 modifica]biblioteca dell’Università di Bologna, vol. II, pag. 52, si legge: “Azzo d’Este signor di Ferrara creò alquanti cavalieri bolognesi i quali furono.... Lambertino Galluzzi, Opizzino della Puella, Simone de’ Lambertini, Ugolino Garisendi, Giardino Giardini dottor di legge ecc.” Ho ommesso molti nomi per non tediare, ma la lunga lista è certo copiata da qualche atto o cronaca antica, come il Ghiselli fa sempre; e se fosse prezzo dell’opera si potrebbe facilmente trovare la fonte della notizia. Il Giardini è qui confuso in mezzo a cavalieri bolognesi, il che non nuoce quando si sappia che in quel tempo egli era in Bologna ambasciatore dei Polentani durante la guerra de’ piccoli tiranni romagnoli contro il Vicario della S. Sede. Per queste ambascierie si possono vedere le Storie del Ghirardacci e la creazione di questi cavalieri fu un tentativo di Azzo per ristabilire la pace. Dunque non errarono i menanti e non mentirono nè il Boccaccio, nè il notaio Pietro.

Una cosa che mi pare conosciuta da pochi è questa; che il Boccaccio ebbe parenti a Ravenna. Il Rossi nelle Storie Ravennati, lib. I nella pag. 8 ci dice: “Joannes Boccatius.... frequenter consueverat urbem hanc (Ravenna) ubi Boccatiorum familia Ravennas erat”. Ed, a conferma, nella matricola della scuola de’ pescatori, in quella stessa matricola dove è inscritto Pietro Giardini, troviamo un Bochaccius de Bochaciis. Mi sovviene, ma non con precisione, che il Petrarca in una epistola al Boccaccio gli ricorda i tuoi ravennati e che il Fracassetti traduce [p. 474 modifica]o annota nel senso generale di conoscenti od amici quei tuoi, invece, facilmente si riferisce a parenti. Ora, se il Giardini non mentì, come crede lo stesso Imbriani, avrebbe mentito il Boccaccio riferendo l’età di Dante. Il Boccaccio, che abbiamo visto veritiero nelle minime particolarità intorno al Giardini, avrebbe poi messo in bocca a costui un discorso da poter essere facilmente smentito sia dai figli e parenti del Giardini, sia dai propri parenti ravennati che coi Giardini erano in relazione. Provato prima che interesse potesse avere il Boccaccio a inventare quella fiaba, resta a provare come non temesse poi di vedersi ripreso. Non dico questo per entrare nella quistione, ma l’aver trovata vera la persona del Giardini e tutte le particolarità riferite intorno a lui ed al padre suo, mi fa, per lo meno, esser guardingo nell’accusare di mendacio le parole che gli son poste in bocca.

Ma ormai basta. L’Imbriani che si è rallegrato da buon capitano, quando gli ho ucciso sotto un cavallo, si rallegrerà certo vedendo che anche glielo seppellisco con tutti gli onori. Nè per questo mi ritengo un gran paladino. Al minimo coscritto può ben capitare di tirar giusto, una volta, per caso.