Brani di vita/Libro secondo/Ad un giornale
Questo testo è completo. |
◄ | Libro secondo - Di Ser Pietro Giardini | Libro secondo - Commiato | ► |
AD UN GIORNALE
- Signor direttore,
Un amico mi domandò un libretto d’opera e glielo feci. Lo feci male per cento ragioni, metà delle quali indipendenti da me, ma ad ogni modo lo feci male, anzi malissimo. Nel fabbricarlo m’accorgevo bene che razza di roba m’usciva di corpo, ma in quel tempo non dovevo alcun riguardo ad un pseudonimo sconosciuto, nè pensavo ad una possibile pubblicazione. I nodi però vennero al pettine e l’amico, sulla soglia del palcoscenico, suppose che la notorietà del pseudonimo potesse aiutarlo. Accadde precisamente il contrario, ma intanto cedetti all’amicizia e firmai una Cloe che non avrei firmato nemmeno per scherzo.
Nel Crepuscolo di Genova, Anno II, N. 39, un signor Arnaldo mi pettina a dovere a proposito della Cloe e mi canzona con una certa ironica superiorità che mi fa sospettare in lui un collega in Apollo, beato e contento di farsi vedere più in alto degli altri: Canzonare non è criticare e certe canzonature potrei rimettergliele in tasca. Ma siamo intesi che l’autore, come l’attore, deve ascoltare tacendo gli sbadigli de’ zerbinotti ne’ palchi e le risa degli ubriachi in piccionaia.
Ma il signor Arnaldo comincia così: “Rellini sul Preludio, U. B. sulla Patria, Arminio sul Teatro italiano, Mistrali sulla Stella d’Italia ed anche un poco Piccolet sul Piccolo Faust hanno trovato di che lodare, ecc.” E finisce così: “Ma quando si dice... la società di mutuo incensamento!”
Ma, quando si dice.... la volgarità delle frasi fatte! L’aggettivo mutuo suppone che incensi anch’io. Ora, signor Arnaldo, mi dica quale di quei signori io abbia mai incensato. Non cerchi altri discorsi: risponda chiaro e categoricamente come è dover suo di onest’uomo; chi ho incensato io?
E questa domanda non la farei nemmeno, se tra i nomi citati non ci fosse anche quello del Mistrali. Spero bene che il signor Arnaldo, cedendo alle lusinghe di una frase che faceva da scappata finale al suo articolo, non si sia accorto che dove voleva mettere una innocente malignità, ha messo invece una accusa grave e sanguinosa. Spero che non si sia accorto come dal suo articolo si possa dedurre che io incensi il Mistrali per esserne incensato. E mi rispetto troppo per scendere a discutere questa supposizione; solo voglio dire che non sarebbe male pensare a quel che si scrive, anche quando si fa della critica.
E non sarebbe ora di smetterla con queste accuse di scuole, di consorterie letterarie che non sono e non possono essere se non Accademie organizzate e pagate a posta, come la Crusca? Voi altri, v’immaginate una scuola bolognese, disciplinata come un reggimento, costituita come una loggia massonica. Sognate un Carducci Venerabile, Panzacchi e Stecchetti Gran Luci e via via. Credete in una chiesuola feroce nella sua ortodossìa e pronta a scomunicare quello che vien di fuori. Non cerchiamo chi abbia dato a bere simili panzane agli ingenui, ma il bello è che i pretesi adepti della scuola bolognese non hanno di comune fra loro che l’editore per la sufficiente ragione che ce n’è uno solo. E, tuttavia essendo amici, è molto se c’incontriamo una volta al mese, e l’ultima volta che alcuni di noi si trovarono insieme, fu a tavola, per festeggiare il vostro Fernando Fontana. Non sapete dunque che quando Paolo Ferrari, ma che dico! quando il Marenco assistevano alla rappresentazione d’una loro commedia, qui c’era un pubblico che li chiamava al proscenio quando volevano? Dove li pescate dunque questi esclusivismi, queste consorterie, questi mutui incensamenti? Pur troppo è così. Basta che a Precotto uno stampi un lunario e un altro lo compri perchè la critica strilli come un’oca spennata contro la scuola di Precotto e tiri fuori i soliti luoghi comuni di consorteria, di mutui incensamenti e di chiesuole. Ma dove era questa feroce, questa esclusiva chiesa bolognese, quando Arrigo Boito, già crocifisso a Milano, resuscitava a Bologna?
E dichiarando che, quanto a me, ho in tasca tutte le scuole e tutte le chiese, le levo l’incomodo, signor Direttore, e la ringrazio.