Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Gaspare Finali

Gaspare Finali

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Marco Boncompagni Ludovisi Ottoboni Luigi Gabet

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FINALI COMMEND. GASPARE


Consigliere Municipale





II
talia e Roma! — Son due nomi che fanno palpitare di palpito eterno il cuore, e dinanzi al pensiero presentano una lunga di stesa di secoli sparsa di gloriosi ricordi, e di storie di sangue, per entro cui risuonano i singulti dei popoli e gli urli dei tiranni, i rombi delle guerre, e gl’inni delle vittorie. — Italia e Roma! — qual v’ha petto italiano, cui non s’apprenda al suon di quei nomi la fiamma delle antiche virtù, che a grandi cose è sprone? — Italia! la culla del genio, il terreno più gentile di quanti scalda il sole, la patria degli eroi, il suolo più hello che mai allegrasse il sorriso di Dio, fu l’anelito più ardente degli stranieri, fu pomo d’invidia tra potentati, e lungamente si contesero questa divina bellezza e le squarciarono il seno con lunghe ferite, e tutta la cinsero di triboli e di catene. — Roma! — è la eterna città che racchiude le immortali memorie dei vincitori del mondo, è la terra dei grandi destini, è la capitale d’Italia, d’onde alle libere genti deve discendere sempre più splendido il raggio della civiltà e del progresso, il verbo della scienza, lo insegnamento alla patria della via, che conduce alla felicità del popolo; — da Roma soltanto deve dispandersi lo spirito, che faccia sempre più sana e forte la vita della nazione. — È all’amore d’Italia, è alla grandezza quindi di Roma, che debbono ispirarsi gli nomini di Stato per operare unicamente il bene del proprio paese. — E a noi è satisfazione gratissima in questa biografica esposizione discorrere oggi di un cittadino, che alle più alte cariche venne per i distinti suoi meriti, vogliam dire del Commend. Gaspare Finali attuale Ministro [p. 102 modifica]di Agricoltura, Industria e Commercio, e che all’ufficio di Consigliere comunale in Campidoglio fu puranco degnamente eletto. —

In Cesena ebbe egli i natali nel 20 maggio dell’anno 1829 da Giovanni Finali e Maria Zamboni. — Suo padre fu uomo avuto in grande estimazione e l’ufficio di notajo archivista sostenne nella sua terra nativa; — Maria Zamboni è una virtuosissima donna di sensi miti e gentili, cui, vedovata del consorte, è rimasta la gioia dolcissima di vivere al fianco del suo amatissimo figlio. —

Gaspare Finali insino dalla prima giovinezza si mostrò amantissimo dello studio, e il proprio genitore lo volle quindi educato nelle più elette discipline, e nei forti e severi studi istruito. — Di aperta intelligenza, d’ingegno robusto, di leggieri nella istruzione progredì, e alle belle lettere ebbe sempre inclinazione grandissima, cbè nel suo petto pur ferve nobilissima anima di poeta. — Se non che mandato nell’anno 1846 agli studi nell’Università, romana, si diede alle scienze legali, nelle quali poscia all’Università di Bologna laureavasi nell’anno 1850, non avendolo potuto nell’Università di Roma nel precedente anno 1849 per gli avvenimenti politici che vi si svolsero. — E poichè il Finali, tuttochè giovanissimo degli anni, forte sentì l’anima sua ardere di patrio amore, tanta fu l’alta fiducia che in altrui di se medesimo in sui primordi della sua carriera politica di già esprimeva, che nel 1848 era eletto Presidente del Comitato Universitario, e poscia nel 1849 venia prescelto Segretario del Circolo popolare in Cesena — Sperò egli, come tutti gli altri patrioti, che gli avvenimenti del 1848-49 conducessero al compimento dell’unità e indipendenza d’Italia, che era il sospiro di lunghissimi secoli, l’ideale vagheggiato da tanti martiri, da tanti uomini illustri, da tanti geni italiani, che la mano inesorabile’ del destino aveva fatti scomparire dal mondo mentre era desiderata immortale la di loro esistenza. — Ahi! fu visto in un abisso di sangue tramontare il breve sole di libertà, che era spuntato nel cielo d’Italia, e i tiranni tornar di nuovo a lacerare la patria nostra, e a dividersi le vestiraenta e le carni. — Ma i liberali nella coscienza del santo diritto di liberare un giorno il proprio paese dalla straniera dominazione, e dalla cancrenosa piaga del papato temporale, non cessavano dal cospirare per giungere al conseguimento di quell’altissimo fine. — E tra quei liberali era Gaspare Finali. — Volgeva l’anno 1855. — Il bicipite degli Asburgo svolazzava per le terre venete e lombarde e dell’Emilia, e tentava stringere nei suoi artigli tutti i più distinti patrioti, e farne suo pasto miserando. — Il Finali quindi per involarsi ad una sorte funesta emigrò in Piemonte, perocchè gli austriaci avevano già contro di lui aperto un processo politico, e con giudizio stata[p. 103 modifica]anche Amilcare Finali fratello di Gaspare, giovane carissimo, che i pregi più belli della mente e del cuore facevano distinto, che possedeva anima d’eroe, fosse pur condannato per il medesimo titolo e con la sentenza medesima all’estremo supplizio, e come negli anni successivi, mentre sui campi delle patrie battaglie valorosamente combattendo sfuggiva alla morte, questa poscia incontrava in Magliano in Sabina, nell’autunno dell’anno 1867, essendo capitano nell’8.° Reggimento Granatieri. —

Il morbo colerico spietatamente, recise quella preziosa e giovane vita, e fu trafittura crudelissima al seno della madre e al cuore di Gaspare fratello amorosissimo, cui era riserbato più tardi un novello dolore, perciocché in Cesena nello scorso anno 1873 anche l’altro fratello Francesco cadeva per malattia sotto la falce di morte, ed era giovane ornato di ogni più. rara virtù, che nel 1866 come capitano nel corpo dei volontari comandato dal Generale Garibaldi combattè da prode per la causa d’Italia e quel grado s’ebbe dappresso una splendida attestazione del Generale Cialdini, che ne dimostrava i meriti avendolo avuto sotto i suoi ordini siccome capitano in un Corpo di guardia nazionale mobilizzata. — In tanta angoscia, che gli affannava il petto, restò al Gaspare una madre, che egli ama di amore santissimo, la quale in lui unico figlio superstite rivede i figliuoli perduti e si sente felice nell’affetto di lui. —

E giova qui pur ricordare come la morte di Amilcare anco fosse amaramente lamentata dal Generale Nino Bizio, da quel cittadino illustre, del quale gl’italiani non ha guari piansero dolorosamente la perdita. — Egli scriveva a Gaspare Finali queste parole «ho appreso la vostra disgrazia, che è anche una disgrazia della patria. Vostro fratello era un Bagordo, ma un Bajardo della libertà; gli è mancato solo la vita per esser glorioso»

Dopo gli avvenimenti del 1849 l’atmosfera politico d’Italia si era fatto grave, pesante, tetramente nebuloso, e nell’esilio andavano penosamente vagando i patrioti italiani, e con essi quindi anche Gaspare Finali. — Però nell’anno 1854 con feste solenni inaugurandosi in Pesaro l’innalzamento delle statue al Rossini e al Perticari, e con pubblica letteraria accademia pur porgendosi onore a quei grandi, il Finali con nobile e giovanile ardimento, con la ispirazione della italiana sua musa v’accorreva, e nonostantechè dinanzi al suo sguardo s’offerisse una triade in quei tempi paurosa cioè — l’austriaca prepotenza rappresentata da un Colonnello austriaco, la truculenta inquisizione del S. Uffizio personificata in un reverendo domenicano, e la polizia papale rappresentata dal Delegato apostolico Monsignor Badia, nulladimeno con lo slancio d’un cuore ardente di patrio amore, e con franca e sicura voce declamò una [p. 104 modifica]patriottica poesia, che alle letterarie bellezze congiungeva lo splendore di nobili ed altissimi sensi. — Onde fa che mentre apportavagli onoranza e gli animi entusiasmò, per guisa che di subito corse manoscritta per le terre d’Italia, d’altra parte gli fruttò la persecuzione del papale governo e del partito oscurantista, cui però seppe isfuggire. — E a saggio della bellissima poesia e a rivelare l’anima gentile e squisitamente italiana del Finali basti riferirne la prima ed ultima strofa, che noi ricordiamo sempre con emozione dolcissima. —


Lo splendido azzurro — le notti stellate.
Le verdi campagne — di fiori ingemmate,
I laghi d‘argento — le apriche colline.
La neve dell'alpi — la luce del sol
Fan bella l’Italia — soggiorno ridente
Di grazie, d'amori — di fervida gente.
Cui vita è la gloria — dal tempo scolpita
Negli archi e le mura — dell’italo suol.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
In fin che ne’ spazi — se curi del vero
Si librano l'ale — del nostro pensiero;
Infin che la face — del genio s’innova
Che al mondo tre volte — diè norma di se;
In fin che nei cieli — sta provvido Iddio
E splende la luce — del sole natio;
Finché stanno l'alpi — finché rugge l’onda
La speme d'Italia — perduta non è.


La Poesia passeggia coi secoli e colle vicende, la poesia è vita, moto, foco d’azione, stella, che illumina il cammino dell’avvenire. — La Poesia è immortale: immortale come la memoria e il desiderio, due facoltà inseparabili dell’umana natura, ed elementi eterni di poesia. — Oh! riponete in trono la Poesia! Adorate l’entusiasmo! Spandetelo su tutte le cose! riconciliate il mondo poetico col terrestre! Non brilla su tutte cose il raggio del Sole?

Queste erano le parole che pochi anni or sono uscivano dal petto di un sommo italiano, e per fermo noi troviamo nella storia dei secoli che la divina arte della poesia fu quella che preparò l’èra della civiltà e nell’animo degli uomini suscitò lo slancio a grandi cose, e si fè strada anche nel cuore [p. 105 modifica]del popolo e lo commosse, e lo trasse ad azioni magnanimo, e lo incitò sai campi delle battaglie a combattere per un santo principio — la libertà della patria — e per la patria il petto s’accese di amore, e per essa pronto fu sempre a consumare sacrifici snpremi. — E noi vorremmo che anco in mezzo a tanta luce di secolo, in mezzo al freddo positivismo, che minaccia di assiderare le membra sociali, e di far signore del mondo lo sterile egoismo, il sole della poesia venisse a dispandere la celeste sua fiamma e alle grandi virtù gli uomini eccitando, l’umanità tutta sorgesse e si affratellasse in un’armonia serena d’amore.

Il Finali rivolse suoi studi anche sopra materie scientifiche, economiche, industriali e commerciali, quasi presago che un giorno sarebbe all’alto ufficio di Stato venuto, in cui era necessario portare ampio corredo di cognizioni siffatte, e nel 1855 pubblicava una lodata memoria sulla strada che doveva congiungere le Romagne alla Toscana. —

Fu desso segretario contabile di una società commerciale, e nell’anno 1856 recatosi in Sardegna diè seraprepiù ad istruirsi nelle amministrative discipline; ma soffrendo nella salute faceva ritorno nel 1858 in Torino, non cessando dal darsi agli studi ed a vita attivissima e laboriosissima, chè egli senti stare la soddisfazione più bella e più grande del vivere umano negli studi e nel lavoro, donde la social convivenza ne ritrae prosperamento e felicità. —

Correva l’anno 1859, e la lunga speranza della patria compievasi, chè il popolo italiano sorgeva a rivendicare i propri diritti di unità, di libertà d’indipendenza nazionale, e stanno aperte ad eternità di glorioso ricordo le pagine della storia, che ci rivelano le combattute battaglie, e i miracoli delle forze italiane concordemente unite. — Ed il Finali essendo in Torino curò gli arruolamenti dei volontari, chè d’ogni parte, e più specialmente dalle Romagne a lui si rivolgevano — Fu desso uno dei membri della Costituente di Bologna, che proclamò la decadenza del papato temporale. — E poichè nel compiersi la liberazione delle Romagne costituivasi tosto la Giunta provvisoria di Governo, così veniva di subito il Finali in prova della bella reputazione, che s’aveva, sebbene giovane degli anni, di già acquistata, eletto Segretario presso la Giunta medesima, e quindi destinato alla Intendenza di Cesena, ma da tali uffici declinava perocchè successa immediatamente la fusione dei ducati di Parma e Modena con Bologna era dapprima prescelto capo del Gabinetto Cipriani Governatore delle Romagne, e poscia, sotto la dittatura del Farini, era egli nominato Capo del Gabinetto presso il Ministero dell'Interno — E perocchè i propri concittadini desideravano dargli pubblica attestazione di affetto e di stima, gli affidavano il mandato di rappresentarli siccome deputato al Parlamento [p. 106 modifica]nazionale. — Salito il Farini al Ministero dell’Interno, e conoscendo le belle virtù del Finali lo volle chiamare alla vita amministrativa e lo nominò Segretario al Consiglio di Stato, quindi Consigliere di Governo. — Svolgevasi la rivoluzione nelle Marche e nel mentre vi andava siccome Regio Commissario Lorenzo Valerio, nella qualità di Vice-Commissario generale era destinato il Finali. Fu poscia sino al 1862 capo divisione nel Ministero dell’Interno sostenuto dapprima dal Minghetti, che lo elesse anche Ispettore generale, e di poi dal Ricasoli, e alla caduta di questo passò nel Ministero delle finanze siccome Capo-Divisione essendo ministro il Sella, che poscia lo eleggeva Segretario generale — In tali cariche essendo, il Finali diè semprepih splendida prova della eletta sua intelligenza politica, civile, amministrativa. — E perocchè a tali uffici attendendo il mandato di Deputato al Parlamento aveva rassegnato, vollero i propri concittadini a più solenne dimostrazione di onore affidargli nell’anno 1865 di nuovo l’istesso mandato. Ed egli accettatolo fu allora che dinanzi al Parlamento fè udire la bella ed eloquente parola, e presentò anco due relazioni l’una sulla legge di conquaglio, e l’altra su quella di ricchezza mobile. — Ma nelle cariche dello stato proseguendo, dall’ufficio di Segretario generale presso il Ministero delle finanze, retto dallo Scialoja, era poscia nell’anno 1867 nominato Direttore generale del Demanio e Tasse, e in sul fine del medesimo anno venia nuovamente chiamato come Segretario generale al Ministero delle Finanze essendo ministro Cambray-Digny. —

Il Finali era ognora più così, salito in bella nominanza che anche il collegio di Belluno nell’anno 1868 lo volle eletto suo rappresentante al Parlamento.

Nell’anno 1869 era nominato Consigliere della Corte dei Conti. —

I fati di Roma si maturavano e l’anno 1870 doveva segnare il più glorioso avvenimento che in nota di secoli sia registrato sulla storia d’Italia. — Il 20 settembre sarà un’eterna data, che i presenti ed i posteri avranno cara siccome quella che fissò l’ultimo passaggio delle tenebre alla luce, della prepotenza al diritto. — Roma fu tolta all’oscuro reggimento temporale dei papi e cinse il diadema di capitale della nazione, e maestra esser debbe di civiltà e di progresso, di sapienza morale, civile e politica, e come dal seno di una madre da lei sola diffondersi il nutrimento di salute alla patria; — e come una madre debb’essere perciò riguardata ed aver trattamento dagli uomini che stanno al governo dello Stato, ai quali perciò incombe non solo avere affetto di figli, ma la mente ed il cuore d’ogni utile cognizione fornita, la loro età da lunghe prove e da esperienze d’ogni guisa visitata, intemerata la coscienza, / .- - ..[p. 107 modifica]e prevedimelo sagace ai bisogni del popolo, dal di cui benessere dipende la tranquillità e la felicità della nazione. — Non è nostro còmpito oggi dare giudizio degli uomini che sino ad ora governarono Italia, a noi è debito in scrivendo questa biografica memoria, del Finali parlare. — E di lui diremo come dopo la rivendicazione di Roma degnamente l’onore del seggio s’avesse in Senato, perocchè sebbene la verde sua età non fece ancora per canizie venerando il suo crine, pure la sua mente ha maturità di consiglio, profondità di studi, vastità d’esperienza, e splendido corredo di prattiche cognizioni. — Volgeva l’anno 1873, ed egli recatosi alla Esposizione di Vienna colà nelle sue dilettoso osservazioni intrattenevasi quando giungevagli partecipazione essere stato prescelto alla suprema carica di Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, e dalla cittadinanza di Roma eletto Consigliere Comunale. — E siffatti onori tanto maggiormente lo fanno risplendere quanto meno li ricercò pur meritandoli, chè si guardò sempre dal farsi sgabello di mestatori e d’intriganti. — E quantunque taluni barbassori si piaccian ripetere le vecchie frasi che dopo la morte si debbon scrivere le biografie e le lodi, mentre durante la vita hanno suono d’incensamenti e d’adulazioni, noi crediamo invece esser ciò dettato da rodimento d’invidia, perocchè gli uomini debbono essere anzi posti a giudizio viventi e la lode deve coronare i loro ineriti siano grandi o piccoli, perchè li conforti a sempre più grandemente operare, e stiano esempio alla generazione crescente.

Non istaremo ad enumerare le molte decorazioni, di cui va fregiato il Finali, e che s’ebbe anche da regnanti stranieri, diremo soltanto che ‘se fosser conferite a tutti coloro che le meritano, siccome lui, noi plaudiremmo assai di buon grado a siffatte onorificenze. —

Non istaremo neppure a dire quanta modestia alberghi nell’animo, perocchè sia noto non avere egli mai ambito cariche ed onori, e ben sappiamo come egli persino sia schivo dal pubblicare alcuni pregiati suoi scritti scientifici e letterari; — non accenneremo neppure a quella cortesia e gentilezza, che tanto squisitamente l’adorna, e che induce di subito a benevolenza chiunque per la prima volta il conosca. —

A noi basta avere in brevi tratti presentata la illustre e schietta figura di lui, siccome quella di un italiano insigne per le virtù dell’ingegno, come per le doti del cuore, di un cittadino che onora la patria degnamente sostenendo cariche supreme, e che all’unico fine intende di essere utile alla nazione, di un uomo che alla integrità di carattere congiunge bellezza e nobiltà di animo. —

[p. 108 modifica]E innanzi di chiudere questa biografica memoria, aggiungeremo come nel proseguire nostre pubblicazioni, quasi in brevissimo quadro la vita consegnando di tutti coloro, che dopo la risurrezione dell’Italia nostra, dopo la redenzione dell’eterna Roma agli alti uffici furon chiamati, e il distinto seggio occuparono in Campidoglio, dove un giorno i nostri padri, attendendo al governo della cosa comunale, facevano felice il popolo, non altro fine ci proponemmo che di scrivere, giusta i dettati dell’illustre Palmieri, per utilità di chi desidera vivere seconda le virtù, e sopra gli altri uomini farsi degna. — E per vero le greche, le latine, ed anche le barbare istorie son piene di memorie, in cui sono celebrati quei cittadini che viventi si distinguevano nella grandezza delle opere, e al bene della patria supremamente anelavano, e affanni, e disagi, e fatiche sofferendo, cosicché al dire di un chiarissimo istorico: — ogni loro gloria era posta in più eccellentemente fare, e sopra gli altri apparire in virtù, non altra meta eglino avendo, che il bene comune. E questo noi diciamo perchè s’abbiano i benemeriti cittadini in reverenza, e taluni, cui forse preme l’oblio, non isdegnino essere iscritti nelle biografiche memorie, le quali noi proseguiremo con lena paziente, imperciocché ci conforta la coscienza di compiere un’opera che la luce gloriosa di Roma, la storia del Campidoglio richiede, e il pensiero ci consiglia di lasciare così un ricordo dei tempi che furono, e degli uomini che s’ebber l’onore di trattare gl’interessi del popolo nelle capitoline assemblee. —






Tip. Tiberina Piazza Borghese. Riccardo Fait — Editore.