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finali commend. gaspare

anche Amilcare Finali fratello di Gaspare, giovane carissimo, che i pregi più belli della mente e del cuore facevano distinto, che possedeva anima d’eroe, fosse pur condannato per il medesimo titolo e con la sentenza medesima all’estremo supplizio, e come negli anni successivi, mentre sui campi delle patrie battaglie valorosamente combattendo sfuggiva alla morte, questa poscia incontrava in Magliano in Sabina, nell’autunno dell’anno 1867, essendo capitano nell’8.° Reggimento Granatieri. —

Il morbo colerico spietatamente, recise quella preziosa e giovane vita, e fu trafittura crudelissima al seno della madre e al cuore di Gaspare fratello amorosissimo, cui era riserbato più tardi un novello dolore, perciocché in Cesena nello scorso anno 1873 anche l’altro fratello Francesco cadeva per malattia sotto la falce di morte, ed era giovane ornato di ogni più. rara virtù, che nel 1866 come capitano nel corpo dei volontari comandato dal Generale Garibaldi combattè da prode per la causa d’Italia e quel grado s’ebbe dappresso una splendida attestazione del Generale Cialdini, che ne dimostrava i meriti avendolo avuto sotto i suoi ordini siccome capitano in un Corpo di guardia nazionale mobilizzata. — In tanta angoscia, che gli affannava il petto, restò al Gaspare una madre, che egli ama di amore santissimo, la quale in lui unico figlio superstite rivede i figliuoli perduti e si sente felice nell’affetto di lui. —

E giova qui pur ricordare come la morte di Amilcare anco fosse amaramente lamentata dal Generale Nino Bizio, da quel cittadino illustre, del quale gl’italiani non ha guari piansero dolorosamente la perdita. — Egli scriveva a Gaspare Finali queste parole «ho appreso la vostra disgrazia, che è anche una disgrazia della patria. Vostro fratello era un Bagordo, ma un Bajardo della libertà; gli è mancato solo la vita per esser glorioso»

Dopo gli avvenimenti del 1849 l’atmosfera politico d’Italia si era fatto grave, pesante, tetramente nebuloso, e nell’esilio andavano penosamente vagando i patrioti italiani, e con essi quindi anche Gaspare Finali. — Però nell’anno 1854 con feste solenni inaugurandosi in Pesaro l’innalzamento delle statue al Rossini e al Perticari, e con pubblica letteraria accademia pur porgendosi onore a quei grandi, il Finali con nobile e giovanile ardimento, con la ispirazione della italiana sua musa v’accorreva, e nonostantechè dinanzi al suo sguardo s’offerisse una triade in quei tempi paurosa cioè — l’austriaca prepotenza rappresentata da un Colonnello austriaco, la truculenta inquisizione del S. Uffizio personificata in un reverendo domenicano, e la polizia papale rappresentata dal Delegato apostolico Monsignor Badia, nulladimeno con lo slancio d’un cuore ardente di patrio amore, e con franca e sicura voce declamò una