Azioni egregie operate in guerra/1641

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1641.

L
’Imperatore Ferdinando, bramoso di pace, aveva raccolta in Ratisbona una Dieta, affine di rilevare i mezzi proprj, per istabilirla. Egli godeva l’aura degli Elettori o Collegati, o favorevoli. Quindi si maneggiava per intendere i loro consigli, e provvedimenti. Non istavano però addormentati i di lui nemici, gli Svezzesi, e gli altri Alleati, i quali tenuta un’assemblea in Hildeshein, determinarono di sortire in campo nel più crudo del verno, per isturbare la radunanza degli Stati Alemanni fedeli a Cesare; e lo potevano fare, perché nati, e vissuti Essi sotto clima più aspro, non pativano tanto da’ rigori del freddo. In più anni della guerra presente campeggiarono nelle stagioni assai inclementi, senza soffrir molto. Con la loro uscita obbligavano gl’Imperiali, a perder il riposo de’ quartieri, e a consumarsi tra le nevi, e i giacci, per i quali nell’estate riuscivano poi deboli, e fiacchi; quando essi conservavano in tutto l’anno il vigore, e franca la loro robustezza. Ora fortificati da grosse somme di denaro, somministrate loro dalla Francia, meditarono d’assalire Cesare nella Città, ov’era congregata la Dieta. Il Banner sul principio di Gennajo con dieci mila Fanti, e dieci mila Cavalli, trascorse tra la Franconia, e il Voitland. Entrò nel Palatinato superiore, obbligò gli abitanti a somministrar viveri. S’impadronì di Camb, e di Neumarch. Quivi lasciò lo Slang con grosso corpo di Cavalleria, che assicurasse la ritirata, e i convogli delle vettovaglie. Allargò le corse delle sue genti, a depredare, e ad arricchire con pinguissimi bottini per tutto il Palatinato. Spinse quattro mila Cavalli verso Ratisbona, per portare spavento, e disciorre senza conclusione alcuna quella Dieta, composta de Deputati de’ Principi, e degli Stati dell’Imperio, Uomini togati, facili a concepir terrore, e a procacciarsi la sicurezza in altra parte. Si fece vedere più volte presso le mura di quella Città, piena di Eretici, e conseguentemente di fede sospetta alla Corte Austriaca, che poteva apprendere segrete intelligenze, coltivate da que’ Cittadini co’ Protestanti. Alla comparsa, e allo spavento dell’Esercito avversario, tanto prossimo, vacillavano tutti. Solo l’Imperatore, ripieno di costanza, e di coraggio, assuefatto a vedere la fronte del nemico, e sovente ancora a combatterlo, non si turbò punto; anzi confortò i Ministri de’ Principi a restar presso di lui, e a condurre a termine i negoziati. Con intrepidezza veramente da Cesare inanimò ciascuno col proprio esempio alla difesa, e restituì loro lo smarrito vigore. Promise sopra la sua fede, di fermarsi appresso di loro in caso d’attacco, o di [p. 85 modifica]correre il comune pericolo. Ma non allarmassero l’Imperio, e non iscreditassero la riputazione delle proprie armi col fuggire. Indi, per assicurare la timidità degli abitanti, fece entrare per guardia della Città alcuni reggimenti, ed altri accostarvisi per la sicurezza delle provvisioni. Con tali cautele proseguì il congresso, nel quale si attese a’ maneggi di pace, e di guerra.

Il Banner, trovato rappreso dal giaccio il Danubio, lo fece valicare da alcune truppe, che scorsero il distretto di Ratisbona, predando Cavalli, e bestiami, Poco dopo al favore di folta nebbia lo tragittò coll’Esercito, e si presentò alle mura della Città, dalle quali fu salutato con molti tiri d’Artiglieria. Contento, d’aver fatto questa bravata a’ Cesarei, scorse devastando, ed abbruciando il Paese. Trasportò le sue genti all’opposta riva. Ivi divise l’Armata in varj corpi, per sussistere più agiatamente, ed impinguarsi meglio colle scorrerie. Egli fissò il quartiere capitale in Camb. L’Imperatore, vedendo gli Svezzesi, distribuiti in remoti alloggiamenti, ordinò al Piccolomini, di raccogliere con tutta segretezza l’Esercito, e tentare qualche percossa sopra di loro. Attento, vigilante, e sagace il Piccolomini ripartì gli ordini a’ Generali minori, senza che l’uno sapesse dell’altro, e il quando, e per quai luoghi, o sin dove avevano a marciare colle truppe di loro comando; e perchè faceva d’uopo congregar barche, da fabbricar ponti, co’ quali tragittar il fiume, affine di occultare il vero disegno, sparse voce, che quella provvisione era destinata, a condurre il bagaglio della Corte, prossima al ritorno in Vienna. Radunate le Navi, sufficienti a distendere più ponti, furono nascosti in esse gli ordigni, e materiali, acconcj per congiungerle, e corredarle. A rendere più credibile la voce del viaggio, Cesare ordinò a molti Cortigiani, che spedissero le robe sulle sponde del fiume per caricarle. Alla metà di Marzo allestito il barchereccio, pervennero le truppe Austriache nel luogo destinato al tragitto; trovarono i ponti allestiti.

Il Piccolomini, avendo assistito in persona al lavoro, operò, che in poche ore della notte fossero ultimati. Prima dell’Alba passò il Danubio, e alla testa della Cavalleria marciò rapidamente notte, e giorno per sorprendere lo Slang in Suandorf1. Ma questi al primo avviso sulla mezza notte, buttata sella, frettolosamente volò verso Camb, per unirsi al Banner. Lasciò indietro il bagaglio con isperanza, che arrestasse i Cesarei, avidi di predare. Ma il Piccolomini fatto animo a’ suoi, acciocchè non curassero quel primo guadagno, continuò il viaggio, e raggiunse lo Slang a Neoburg su un fiumicello poco lungi da Camb. Quello era luogo debole di muro. E però circondata la terra, in poche ore col Cannone si aprì larga breccia, e si continuò ne’ [p. 86 modifica]giorni seguenti, a dilatarla di peggio. Gli Svezzesi si difesero bravissimamente, finchè mancata la polvere, per non essere tagliati a pezzi, chiesero di rendersi. Ma l’Arciduca Leopoldo venuto al Campo, e sdegnato perchè le di lui prime istanze fussero state rifiutate dallo Slang, non volle riceverli, se non a discrezione. Circondati per tanto da Milizie armate, gli mandò a Ratisbona, dov’entrarono, e diedero gran mostra della preda fatta. Precedeva una Compagnia di Corazze Cesaree, portando inalberati ventisei Stendardi Nemici. Venivano dietro i Colonnelli, Capitani, ed altri Ufficiali prigioni a piedi. I soli quattro Generali maggiori camminavano a Cavallo, seguendo i Soldati gregarj, chi gli disse tre mila, e chi quattro, spogliati de’ loro abiti migliori, e attorniati da mille e ottocento Imperiali benissimo all’ordine. In ultimo le Carrozze delle Dame, ed altre Gentildonne del seguito degli Svezzesi.

Al favore del buon incontro, il Piccolomini persuase a non perder tempo, e a camminare indefesso per sopragiungere il Banner. Ma questi, avvisato della percossa ricevuta dallo Slang, erasi partito a passi ben ordinati verso la Sassonia. Giorno, e notte viaggiò dando scarsa quiete a’ Soldati. In poca distanza da Sveny trovò un sito vantaggioso, che aveva a due fianchi alcune paludi, e di dietro un bosco. Quivi posto in qualche sicurezza ebbe agio di fermarsi per ristoro delle milizie. In tanto mandò Guastatori, che con tagliate d’alberi attraversassero, e formassero sulla strada varie barricate, l’una più lontana dall’altra. Dietro a queste dispose maniche di Moschettieri scelti, i quali trattenessero colle scariche i Cesarei per qualche tempo. Poi gli uni, lasciando i primi posti, si ricoverassero alla difesa col favore de’ secondi, pronti a riceverli, e così di mano in mano. Fece abbruciare alquanti carri, che gl’imbarazzavano il viaggio. La notte poi passò la Selva, e si ridusse con ordine militare a Zuicau, dove fece alto come in luogo forte, che gli assicurava le spalle. Quivi trovò più Capitani Svezzesi, ed Alemanni con ajuti freschi in copia, che lo ingrossarono, e misero in istato di più non temere. Il Piccolomini erasi affaticato, per raggiungerlo, anco col prendere la strada più corta d’Egra. Obbligò la Cavalleria Svezzese, per non esser colta, a valicare, nuotando un grosso fiume. Sola una mezz’ora d’anticipato viaggio impedì, che il Generale Cesareo non gli arrivasse addosso, e non lo disfacesse. Ebbe bensì D. Ottavio a dolersi del Generale Gheleen, che dirigeva parte dell’Esercito, aggravandolo d’aver errato; perchè se questi fosse camminato diritto a Camb, allora il Banner non gli sarebbe sfuggito dalle mani. Le querele si acquietarono dall’autorità dell’Imperatore per non offendere il Bavaro, di cui quello era Generale.

Allora gl’Imperiali attesero a ricuperare colla forza alquante Piazze, e a guadagnare altre colle promesse. Sparsero un Editto Cesareo, pieno di benignità, e di clemenza, nel quale Cesare assicurava del per[p. 87 modifica]dono generale2, e della restituzione de’ beni tutti a quelli, che abbandonassero le insegne di Svezia, e ritornassero all’antica ubbidienza. A questi maneggi cooperò molto il Piccolomini colla soavità del trattare. Usò ogni cortesia alle Città, e terre, che volevano conservare buona corrispondenza co’ suoi. Impedì che non fosse fatto loro verun male. Incapace di dimorar in ozio, il Piccolomini proseguì le conquiste. Giunto sul fiume Sala a Neoburg, lo tragittò con due mila Moschettieri, secondati da molte Truppe di Cavalleria. Fece impressione non preveduta ne’ Borghi di Morsburg, e dopo forte resistenza se ne impossessò coll’acquisto di molte ricchezze, e prigionia di parecchi nemici. In quella Città giaceva infermo il Banner, d’onde volle esser trasportato in Alberstad. Dopo giunto colà, sorpreso da nuovo parosismo terminò i giorni suoi. I gran patimenti, e le continue vigilie, sofferte nell’ultima sua ritirata, gli abbreviarono la vita nel più florido della virile sua età. La natura lo formò similissimo nel sembiante, nella statura, nel portamento al Re suo Signore; onde più volte fu preso sbaglio, e creduto quello che non era. Coll’uguaglianza del corpo congiunse l’uniformità de’ gran pregi, e delle abilità, segnalate di spirito, colle quali governò eccellentemente le armate, ed operò quelle grandi azioni, che vengono descritte dagl’Istorici, toccate compendiosamente nelle presenti memorie.

Nel mentre, che gli Svezzesi stavano involti nel lutto per la perdita del loro Generale, e aspettavano la venuta del nuovo Capitano Supremo Leonardo Tosterdon, l’Arciduca Leopoldo deliberò di passare nel Ducato di Bransuic al soccorso della Città di Volfembutel. Stavano al blocco di quella Piazza Svezzesi, Luneburghesi, Hassiani, i quali per ostare agli assalimenti Cesarei allargarono le trincee, e fortificarono il Campo con forti ridotti, e tenaglie, affine di renderlo inespugnabile ad ogni ostile attacco. Inalzarono nello stesso tempo i sostegni, co’ quali facevano rigurgitare le acque del fiume Oker dentro la Città sino all’altezza in alcuni siti di otto piedi, per sommergere gli abitanti, e la guarnigione, sicchè fossero ridotti a necessità di capitolare. Arrivato l’Arciduca in quelle vicinanze, fece ritirare il bagaglio, risoluto d’azzardar la battaglia, se ve n’era bisogno3. Concertò, che il Piccolomini con parte dell’Esercito attaccasse lungo gli argini, che tengono in collo il fiume Oker; mentr’Egli assalirebbe altro quartiero. Andò il Piccolomini, e passati alcuni pantani, aggredì, e respinse tra l’acqua, e la collina alcuni squadroni del Conte di Nassau, e del Tubaldel Svezzese sotto il Cannone de’ loro Forti. In questo conflitto si segnalarono D. Camillo Gonzaga, e il Mercì. Allora tutto l’Esercito Cesareo s’avanzò all’attacco delle trincee. Gli assalimenti tanto [p. 88 modifica]della Cavalleria, quanto della Fanteria succedevano con mirabile valore; e già gl’Imperiali avevano scacciati gli Svezzesi da un Forte reale, e guadagnati dodici Cannoni. Anche il Ghelen Bavaro aveva battuti sedici Squadroni nemici, con riportarne nove Stendardi; quando i Pedoni Cesarei si diedero a bottinare; lo che osservato dal Conte di Nassau, Capo della Cavalleria Hassiana, si rivolse contro di loro, e cominciò a farne strage. In questo mentre il Piccolomini, e D. Annibale Gonzaga, benchè bersagliati dal Cannone nemico, si sostenevano con altra Cavalleria senza vacillare, nè retrocedere un minimo passo. Avvisati poi della confusione, nata nella propria Fanteria, il Piccolomini, e il Pompei rapidamente, si mossero per riordinare i suoi, come gli riuscì, con l’ajuto della Cavalleria riamassandoli in un baleno4. Dopo di che il Piccolomini obbligò i nemici a riabbandonare un Forte. In questo lasciò alcuni reggimenti, che lo guadassero. Col possesso del Forte ottenne l’accesso nella piazza, ov’entrò per consultare col Governatore il modo di conservarla. V’introdusse nuovo presidio: la rinfrescò di tutto il necessario. La provvide di novecento sacchi di grano. Non ottenne già, di sciogliere affatto l’assedio coll’impossessarsi di altro gran quartiere fortificato, con cui gli Svezzesi, e i loro Alleati dominavano i ritegni dell’acque del fiume Oker. Bensì insegnò a’ Cittadini, lo scavare un fosso in altro sito, per cui la corrente dell’acque scolava altrove. Affine di divertire gli Svezzesi, ed obbligarli all’abbandono di quell’assedio, l’Arciduca, e il Piccolomini si rivolsero all’acquisto di varie Piazze circonvicine. Presero Lavemburg, Voldemberg, Etendau ed altre. Allora i nemici, veduto inutile il loro soggiorno sotto Volfembutel, per essere stata provigionata la Città, e divertite altrove le acque, abbandonarono l’impresa, e si ritirarono verso Bransuic. Sopraggiunta poi la vernata si ritirarono tutti a’ quartieri.

Non convengono gl’Istorici circa la perdita delle Soldatesche nel conflitto sotto Volfembutel. Chi la vuole eguale, e chi maggiore negl’Imperiali. Essi però conseguirono il fine da loro preteso, cioè lo sforzare un quartiero nemico, e per esso ottenere l’accesso libero, con cui vettovagliare la Città. Indi colla diversione costringere gli assedianti a lasciarla libera.

  1. Co. Gualdo Vite di Personaggi ec. V. Piccolomini; Istoria della guerra pag. 22 della terza parte.
  2. Bisaccioni pag. 450.
  3. Istoria del Gualdo dal 1640 sino al 1646 pag. 62, 63.
  4. Mercurio Istorico del Siri tomo 2 pag. 410, 411; Co. Gualdo Istoria suddetta pag. 63.