Autobiografia (Monaldo Leopardi)/Capitolo XLII
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XLII.
Digressione sulla moneta.
Uno dei mezzi con cui il governo francese scarnì più spietatamente lo Stato nostro, fu l’abuso della carta monetata, la quale mi chiama un poco sulle monete dello Stato pontificio in quel tempo, perchè di esse e delle vicende loro, nessuno probabilmente avrà scritto. Nell’infanzia mia, vale a dire nei primi anni del pontificato di Pio VI, lo Stato era ricco e però abbondava la moneta che è il rappresentante ordinario della ricchezza. La massa monetaria divisa in monete di ogni valore serviva ottimamente al commercio, e voglio qui ricordare tutte le qualità di monete pontificie che ebbero corso ai giorni miei.
Monete di rame
Quattrino. Cinque quattrini fanno un bajocco.
Mezzo bajocco.
Bajocco.
Moneta da due bajocchi.
Moneta da quattro bajocchi.
Quest’ultima moneta si coniò scarsamente, e solo al tempo di Pio VI. Le altre correvano di tutte le età e cento bajocchi pesavano quattro libre. Più anticamente pesavano cinque libre.
San Pietrini, valevano bajocchi due e mezzo.
Madonnine, valevano bajocchi cinque.
Queste due monete si coniarono solamente in tempo di Pio VI e in grandissima copia, ma di poco peso, e a poco a poco tanto degradanti che in ultimo uno scudo in rame pesava sette overo otto oncie.
Monete di mistura o siano erose
Bajocco, detto bajocchino.
Muragliole, dette anche bajocchelle, da due bajocchi.
Simili da quattro bajocchi.
Simili da otto bajocchi.
Simili da duodeci bajocchi.
Carlino. Valeva bajocchi sette e mezzo.
Carlino doppio, o mezzo testone. Valeva bajocchi quindici.
Pezza da venticinque bajocchi.
Pezza sessanta bajocchi.
Tutte queste monete avevano l’intrinseco corrispondente, sicchè venivano ricevute e cambiate come oro ed argento.
Monete di argento
Quarto di paolo, o mezzo grosso.
Grosso o mezzo paolo. Vale bajocchi cinque.
Madonnina, valeva bajocchi sei.
Paolo o Giulio. Vale bajocchi dieci.
Cavallotto, valeva bajocchi dodici.
Papetto, o lira. Vale bajocchi venti.
Testone. Vale bajocchi trenta.
Mezzo scudo.
Scudo o piastra. Vale bajocchi cento.
Monete d’oro
Fiorino, o Quartino era il quarto di uno zecchino.
Mezzo zecchino.
Zecchino. Vale paoli ventidue.
Zecchino doppio.
Moneta da quattro zecchini.
Moneta da otto zecchini.
Scudo d’oro o di camera, valeva paoli diciassette. Mezza doppia.
Doppia. Vale Paoli trentadue.
Moneta da due Doppie.
Moneta da quattro Doppie.
Oltre tutte queste monete correvano ancora le cedole le quali godevano un credito tanto antico e costante che nei pagamenti venivano accettate liberamente come la moneta più favorita, e attesa la comodità del trasporto si preferivano ancora all’oro e all’argento. In Roma vivono di rendita in denaro non solo tutti gli impiegati e la Curia, ma anche i proprietari delle terre perchè le affittano in grande alli così detti mercanti di campagna, sicchè eccettuati costoro, tutti quelli che hanno una entrata la hanno in contante effettivo. Molti dunque credendo mal custodita in casa quella somma che forse doveva supplire al sostentamento di tutto l’anno, pensarono di depositarla nel monte di Pietà che rilasciava loro una cedola o fede di deposito mediante la quale potevano sempre ricuperare il denaro depositato. Se i proprietarii dovevano effettuare qualche pagamento vistoso cedevano quelle fedi, attergandole col proprio nome, e queste istesse fedi girate e rigirate correvano nello Stato come moneta e tutti le accettavano perchè bastava presentarle al monte per vederle cambiate in contante. Queste erano le cedole, e finchè durarono così furono di utile e di comodo allo Stato e al suo commercio. Il Monte sicuramente non teneva morta tutta quella massa di metallo ma la investiva e ne percepiva un frutto, ma avendo sempre o danari o capitali equivalenti al nominale complessivo di tutte le cedole emesse, i proprietarii di queste vivevano tranquilli e non si curavano di realizzarle appunto perchè sapevano che erano sempre padroni di farlo.
Così durarono le cose fino alla rivoluzione di Francia, la quale ignoro se o come potesse avere una influenza decisiva nella finanza dello Stato pontificio. Certo è che lo sbilancio della nostra economia publica cominciò allora e molti lo attribuirono alla generosità di Pio VI verso i suoi nepoti ed alle spese importate dal diseccamento delle paludi e da altre operazioni grandiose, ma queste non sembravano tali da rovinare uno Stato. Bensì poterono farlo congiunte a una grande malversazione, ed effettivamente all’epoca sunnominata l’erario pontificio incominciò ad emettere cedole spontaneamente, che allora non furono più fedi di credito per denaro depositato, ma carta monetata garantita dalla fede del Principe. In principio anche le nuove cedole corsero felicemente perchè erano poche, e si riteneva sempre di poterle realizzare a suo comodo, ma cresciutane la massa, a poco a poco cominciarono a decadere sicchè nell’anno 1794 si pagava il cinque o il sei per cento per cambiarle contro moneta effettiva. Nulladimeno il Governo o quelli che ne abusavano, gustata la facilità di ridurre pochi quinterni di carta in monti di oro e di argento proseguirono a stampare cedole senza misura e senza pietà, cosichè lo Stato ne rimase inondato, e le cedole rifiutate da tutti perdevano smisuratamente nel cambio. L’abbondanza delle cedole produsse necessariamente la scarsezza del monetario effettivo tanto per le speculazioni commerciali dell’estero, quanto perchè chiunque aveva moneta la nascondeva gelosamente per farne mercato migliore. Per un certo tempo l’oro e l’argento pure scomparvero affatto dalla circolazione, e mi ricordo che nel corso di alquanti mesi non vidi un solo mezzo paolo di argento.
Un disordine provoca l’altro. Per riparare a questa eccessiva mancanza che paralizzava anche il piccolo commercio si coniò una quantità immensa di monete di rame, e miste, le quali però si poterono chiamare cedole anch’esse, perchè non avevano di intrinseco il quinto del valore nominale. Allora incominciarono le distinzioni fra la moneta erosa e la moneta fina, e il valore di questa venne poi aumentato legalmente di un trenta per cento. La moneta fina così aumentata si chiamava moneta lunga, e considerata nel suo stato naturale si chiamava moneta curta, sicchè 100 piastre effettive valevano cento scudi curti, overo 130 scudi lunghi. Ben presto la moneta di rame e la moneta mista soffrirono tanto discredito che si dovè minorarne il valore legalmente, ma questa minorazione non essendo equivalente alla loro mancanza di intrinseco, aveva luogo un assurdo che forse era nuovo nella storia economica delle nazioni. Una moneta mista di sei paoli aveva scritto sopra di sè Bajocchi sessanta; legalmente valeva bajocchi quaranta, ma effettivamente si cambiava contro 18, o venti bajocchi fini curti di argento, più o meno, secondo le giornate, e secondo l’apparente intrinseco che aveva la pezza. Una madonna di rame aveva scritto sopra di sè Bajocchi cinque, valeva legalmente tre bajocchi di moneta mista, e si cambiava contro due bajocchi e mezzo di moneta mista, e contro un bajocco e mezzo di moneta fina curta. Così accadeva di tutte le altre monete, e ci vorrebbe un volume per narrare tutte le variazioni che accaddero in quei tempi nel sistema monetario.
I Francesi arrivarono allorchè le cose nostre stavano in questo guazzabuglio e non lasciarono di approfittarne. Stamparono cedole finchè trovarono il modo di metterle in commercio direttamente o indirettamente cambiandole a qualunque prezzo, e negli ultimi momenti il valore legale delle cedole fu di 96 scudi contro uno scudo fino. Quando le cedole non si trovarono più ad esitare neppure a peso di carta il Governo francese le dichiarò abolite affatto, e chi le aveva suo danno. Si disse che le cedole emesse sotto il Governo pontificio ascendessero a diecisette milioni di scudi, e che i Francesi ne stampassero per altri dieci milioni. Le cedole più piccole erano di tre scudi, e le maggiori, credo di diecimila.
Chiusasi questa miniera i Francesi ne aprirono un’altra emettendo una nuova carta monetata col nome di assegnati e di resti. I minori furono di un bajocco e i maggiori di uno scudo. Furono screditati nel nascere, e dopo pochi mesi vennegli tolto ogni corso. Si credè che se ne stampassero tre milioni di scudi, ma i Francesi ne trassero profitto immenso, come lo trassero coniando monete miste, e di rame, e riducendo a sanpietri e madonne una gran parte delle campane dello Stato nostro.