Autobiografia (Monaldo Leopardi)/Capitolo XLIII
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XLIII.
Rapacità e stravaganze del Governo repubblicano.
I Monti di pietà instituiti per sollievo dei poveri non isfuggirono alla rapacità republicana. Dal nostro si tolse tutta la moneta che vi esisteva, e dai Monti più ricchi si levarono anche i pegni preziosi. Da Roma poi, e da tutte le città dello Stato si presero senza pietà statue, pitture, bronzi, codici, e tutto quello che potè tentare l’avarizia o l’orgoglio degli invasori. Si venderono pure a qualunque prezzo i beni di quelle corporazioni ecclesiastiche che si andavano sopprimendo, ed anche questo prodotto impinguò gli erarii della gran nazione, e gli scrigni delli generali, e commissarii suoi.
Le contribuzioni o dative ordinarie furono smisurate, ma le contribuzioni straordinarie furono più terribili. Di queste mi toccarono in cedole duemila scudi. In assegnati alquante centinara; in moneta erosa 260 scudi per il vestiaario di una coorte; in moneta fina curta 600 scudi in una imposizione di trenta mila scudi ripartita fra le cinquanta famiglie più ricche del Dipartimento; altri 1100 scudi in un’altra imposizione levata con altre norme dai maggiori censiti; altri mille scudi nel giorno del saccheggio, ed altri in altre occasioni e con diversi pretesti. In natura, una carrozza, quattro cavalli, cento passi di legna, duecento metri di olio, e poi grano, fieno, paglia, letti, lenzuola, coperte, sacchi, scarpe, camicie, cappotti, fino gli stracci per gli ospedali, e i polli, e le uova, e tutto, chè tutto faceva a proposito per quei ladroni insigni. Fatto il conto moderatamente le imposizioni pagate da me nelli 17 mesi del governo republicano equivalettero a duodecimila scudi o piastre effettive di argento.
È inutile il parlare delle empietà di quel Governo, perchè ne parlano tutte le storie. In Recanati se ne commisero meno perchè il popolo nostro era buono e pio quanto i migliori, ma tuttavia soppresso il convento di s. Domenico quella chiesa venne ridotta a stalla, e quella di s. Vito a fienile. Il culto cristiano era quasi perseguitato, e non solamente non potevano farsi le processioni religiose nelle strade, ma il ssmo Sacramento dell’Eucaristia si portava dai sacerdoti agli infermi nascostamente. La requisizione generale degli abiti neri fu pure empietà piuttosto che ingordigia. I preti diedero il peggio che avevano, nascosero il resto, e vestirono di colore come potevano. Cogli stracci che produsse questa requisizione si vestirono le coorti della Republica.
La pazzia andava del pari con l’empietà. L’albero della libertà formava le delizie dei repubblicani, e si voleva che gli venisse prestato un culto quasi idolatrico. Nei paesi più riscaldati si eressero alberi sontuosi, e si fecero feste pazze nell’inalzarli. Qui se ne collocò uno di costruzione umile assai al fondo della piazze lunga, e nell’atto della erezione si gettò denaro all’intorno perchè il popolo facesse plauso. Il popolo pigliò i quattrini, e tacque. In seguito altri due alberi levati dalla campagna si collocarono nella piazza Colonna, e nella piazza Carradori, ma questi, come il primo, servirono ordinariamente di comodo a chi aveva bisogno di orinare. La coccarda tricolorata era un’altra pazzia di quel tempo. Tutti indistintamente dovevano portarla sotto pene gravissime, e si vedevano i Capuccini con la coccarda attaccata al mantello. Era bianca, rossa e turchina. Intento quel Governo a sradicare ogni idea religiosa dal cuore e dalle abitudini del popolo aveva formato quel suo calendario decadario ridicolissimo, in cui non si trovavano più i giorni della settimana, e alla Domenica era sostituito il giorno Decade. In questo giorno, che si voleva festivo per forza, dovevano chiudersi le botteghe, astenersi gli artieri dal lavoro, e in tutte quante le case doveva sventolare una bandiera tricolorata. Tutti risero di questi comandi, e le cose andarono come prima; bensì le persona più agiate per timore della multa, nella più alta finestra di casa collocavano una bandieruola lunga mezzo palmo. La guardia civica era un’altra follia, perchè ogni giorno una quantità di cittadini doveva stare sotto l’armi, e fare la santinella inutilmente alla gran guardia, al palazzo municipale, alle porte del paese, all’albero di libertà, alla casa del comandante, e altrove. Ognuno doveva prestarsi personalmente, e non si ammettevano i cambii, sicchè i frati vestiti della loro tonaca stavano in sentinella con lo schioppo in spalla, e gridavano Chi viva? Io fui di guardia due volte per una mezz’ora, e non più, perchè con le buone maniere mi andai liberando da questo, e da molti altri pesi. In conclusione il governo republicano riunì quanto poterono immaginare l’empietà, la rapacità, e la stoltezza.