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la quale ignoro se o come potesse avere una influenza decisiva nella finanza dello Stato pontificio. Certo è che lo sbilancio della nostra economia publica cominciò allora e molti lo attribuirono alla generosità di Pio VI verso i suoi nepoti ed alle spese importate dal diseccamento delle paludi e da altre operazioni grandiose, ma queste non sembravano tali da rovinare uno Stato. Bensì poterono farlo congiunte a una grande malversazione, ed effettivamente all’epoca sunnominata l’erario pontificio incominciò ad emettere cedole spontaneamente, che allora non furono più fedi di credito per denaro depositato, ma carta monetata garantita dalla fede del Principe. In principio anche le nuove cedole corsero felicemente perchè erano poche, e si riteneva sempre di poterle realizzare a suo comodo, ma cresciutane la massa, a poco a poco cominciarono a decadere sicchè nell’anno 1794 si pagava il cinque o il sei per cento per cambiarle contro moneta effettiva. Nulladimeno il Governo o quelli che ne abusavano, gustata la facilità di ridurre pochi quinterni di carta in monti di oro e di argento proseguirono a stampare cedole senza misura e senza pietà, cosichè lo Stato ne rimase inondato, e le cedole rifiutate da tutti perdevano smisuratamente nel cambio. L’abbondanza delle cedole produsse necessariamente la scarsezza del monetario effettivo tanto per le speculazioni commerciali dell’estero, quanto perchè chiunque aveva moneta la nascondeva gelosamente per farne mercato migliore. Per un certo tempo l’oro e l’argento pure scomparvero affatto dalla circolazione, e mi ricordo che nel corso di alquanti mesi non vidi un solo mezzo paolo di argento.

Un disordine provoca l’altro. Per riparare a questa eccessiva mancanza che paralizzava anche il piccolo commercio si coniò una quantità immensa di monete di rame, e miste, le quali però si poterono chiamare cedole anch’esse,