Atlante Astronomico/VI. Le Stelle e le Nebulose

VI. Le Stelle e le Nebulose

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V. Le Meteore luminose
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VI. - LE STELLE E LE NEBULOSE



1. Il Sole, la Terra e la Luna, gli altri pianeti e i loro satelliti, le comete e le meteore occupano una regione relativamente angusta dello spazio, nella quale il Sole domina e regge e che potrebbe chiamarsi la regione del Sole. Al di là del più lontano pianeta conosciuto, Nettuno, al di là dell’estremo limite a cui la più eccentrica delle orbite possa portare una cometa, ma molto e molto al di là, altre regioni si svolgono, le regioni delle stelle, astri che, come il Sole, splendono di luce propria. Dalla Terra noi vediamo queste regioni lontane e sconfinate in iscorcio, prospetticamente, e le vediamo raccolte su un’unica superficie, firmamento, cielo stellato. Il firmamento è quindi la più grande delle sintesi, la sintesi dell’universo, epperciò è altamente poetico; come un abisso, attrae chi lo guarda; scuote, agita, eccita anche la mente più inerte; pare il vincolo destinato a collegare il presente al futuro; pare il segno ultimo della vita attuale, il primo dell’avvenire ignoto. Guardandolo, uno si sente sprofondare nell’universo, nè in nessun’altra direzione la mente sa spiccare volo più alto per di sopra agli orizzonti miseri della vita.

2. Come orientarsi nel labirinto delle stelle che splendono in cielo? Nominarle ad una ad una, ritenerle a memoria sarebbe impossibile; è più pratico riunirle in gruppi, costellazioni, dare a queste un nome speciale, e distinguere le stelle dal posto che occupano nel rispettivo gruppo. Così fecero i popoli più remoti dell’oriente, così i Cinesi, così i Greci. Gli aggruppamenti delle stelle non possono essere che arbitrarii, poichè sono rari i gruppi veramente caratteristici, e che da sè stessi si indicano all’occhio. Le costellazioni dei Cinesi e dei Greci sono affatto diverse, ma ciò non ostante esse servirono mirabilmente agli uni e agli altri nelle loro descrizioni del cielo.

Io non saprei dire, nè lessi mai che altri abbia dimostrato essere le costellazioni greche d’origine interamente greca. Intima è la loro connessione coll’insieme della Mitologia greca, ma se questo permetta di far discendere fino ai Greci la formazione loro non fu ancora deciso. Forse avvenne in questo quello che nella storia del pensiero in generale. I Greci presero dagli altri popoli dell’antichità in tutto o in parte le costellazioni, ma la loro potenza di assimilazione le trasformò, e ad esse diede un’impronta greca caratteristica. Le costellazioni fenicie e caldaiche trasportate in Grecia perdettero il nome e il significato antico, assunsero fisionomia nuova, nè conservarono pur traccia della loro origine. Graecia stellis numera et nomina fecit; il genio greco dava vita a quanto toccava; in cielo ideò figure d’uomini e di bruti, disegnò eroi, mostri e fiumi guidato dall’immaginazione, di rado sorretto dalla disposizione naturale delle stelle; potente, audace scrisse i fasti delle proprie credenze in un libro immortale ed intangibile, il cielo.

Devesi al fascino che il genio greco esercitò sempre, se le costellazioni loro ancor oggi esistono, e sfidarono tanti secoli, tanto movimento di idee, tanta rabbia di distruzione. Invano in sul principiare del secolo decimosettimo lo zelo sacro della Mitologia biblica tentò di sostituire alla greca una terminologia nuova con Davide, Sansone, Golia, i Re magi, l’Arca di Noè e via; invano verso la fine del secolo stesso alcuni appassionati dell’Araldica tentarono portare in cielo le armi dei grandi e delle corporazioni della Terra. Le descrizioni greche delle costellazioni accettate dai Romani e dagli Arabi, da questi trasmesse all’occidente, sopravvissero interamente.

In cielo noi contiamo ora 48 costellazioni antiche e delle quali Tolomeo parla nel suo Almagesto. Di [p. 42 modifica] esse 21 sono boreali, 12 appartengono allo Zodiaco, 15 sono australi. Le boreali sono: Orsa maggiore, Orsa minore, Boote, Dragone, Cefeo, Cassiopea, Perseo, Andromeda, Triangolo, Cocchiere, Pegaso, Puledro (Equuleo), Corona boreale, Ercole, Ofioco, Serpente, Lira, Cigno, Aquila, Freccia (Saetta), Delfino. Le zodiacali sono: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Libra, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci. Le australi sono: Balena (Ceto), Eridano, Orione, Lepre, Cane maggiore, Cane minore, Argo (Nave), Idra, Coppa, Corvo, Centauro, Lupo, Altare, Corona australe, Pesce australe.

Gli interstizi fra queste costellazioni sono pieni di stelline, amorfotoi, dai Greci non attribuite alle costellazioni attigue; attorno al polo australe sono numerose le stelle ignote ai Greci. Colle amorfotoi furono in tempi a noi prossimi formate le costellazioni boreali Volpe, Lucertola, Giraffa, Lince, Cani da caccia, Chioma di Berenice, Leone minore, le costellazioni australi Liocorno, Scudo di Sobieski, Sestante. Dalle rimanenti amorfotoi australi e dalle stelle australi ignote agli antichi furono tratte le costellazioni Ottante, Mensa, Idro, Camaleonte, Apode (Apus), Pavone, Indo, Tucano, Pesce volante, Mosca, Compasso, Triangolo australe, Dorado, Orologio, Reticolo, Pittore, Croce del Sud, Norma, Fenice, Telescopio, Grù, Cielo, Microscopio, Colomba, Scultore, Forno, Macchina pneumatica, Bussola, costellazioni che, unite alle australi antiche, coprono con ordine, dopo i lavori di Halley (1676-78), di La Caille (1751-52), di Gould (1879), tutto l’emisfero sud del cielo.

Tutte le enumerate costellazioni, antiche e più o meno recenti, sono riprodotte nelle tavole XXVIII e XXIX, XXXVIII e XXXIX; in queste ultime furono dimenticate solo la Macchina pneumatica e la Bussola.

3. I Greci solevano dare un nome alle stelle più splendenti di ogni costellazione, e le rimanenti indicavano con descrizioni, dicendo la stella nell’impugnatura di Perseo, nella cintura di Orione, nella coda del Leone... In sul principio del secolo decimosettimo Bayer propose la nomenclatura ancora in uso. Si indicano in essa le diverse stelle di ogni costellazione colle lettere minuscole dell’alfabeto greco α, β, γ... ω, assegnando la α alla stella più splendente e via; esaurite le lettere greche, si ricorre alle minuscole a, b, c... dell’alfabeto latino. Pochi nomi o greci od introdotti più tardi sopravvivono, e fra essi i principali sono: Aldebaran od α del Toro, Algol o β di Perseo, Alioth od ε dell’Orsa maggiore, Antares od α dello Scorpione, Arturo od α di Boote, Atair od α dell’Aquila, Betelgeuse od α di Orione, Canopo od α di Argo, Capra od α del Cocchiere, Castore od α dei Gemelli, Cinosura od α dell’Orsa minore, Cuore di Carlo od α dei Cani da caccia, Deneb od α del Cigno, Denebola o β del Leone, Fomalhaut od α del Pesce australe, Gemma od α della Corona boreale, Mizar o ζ dell’Orsa maggiore, Polluce o β dei Gemelli, Procione od α del Cane minore, Regolo od α del Leone, Righel o β di Orione, Sirio od α del Cane maggiore, Spica od α della Vergine, Vega od α della Lira.

4. Anche la nomenclatura di Bayer sarebbe insufficiente a designare tutte le stelle del cielo. In Astronomia si usa individuare ogni stella per mezzo del tempo a cui essa passa pel meridiano (ascension retta) e per mezzo della sua distanza dall’equatore (declinazione). In ogni osservatorio si hanno orologi, i quali segnano l’ora zero, quando un punto speciale del cielo (equinozio di primavera) passa pel meridiano rispettivo, e sono poi regolati per modo che con essi, al ritorno successivo del punto stesso al meridiano, ritorno che avviene esattamente dopo un’intera rotazione della Terra sul suo asse, si contano 24 ore precise (ore siderali). Stabilita così l’origine dell’enumerazione, è evidente che quando si dice che una stella passa pel meridiano a tante ore, minuti primi, minuti secondi e frazione di secondo, che essa passa inoltre a tal distanza dall’equatore, distanza che ha una relazione immediata colla distanza dallo zenit, la si individua per modo, che non è più possibile, se pur non si commette uno sbaglio, scambiare la medesima con altra stella.

Così con due soli numeri (coordinate stellari) registrati in un libro (catalogo delle stelle) si riesce ad individuare e precisare chiarissimamente le migliaia di stelle del cielo. Una sola cosa turba questo sistema semplicissimo, ed è che l’origine dell’enumerazione, l’equinozio di primavera cioè, non è assolutamente fisso; esso ha nel cielo un piccolo movimento, che obbliga gli astronomi a porre, a lato dei due numeri or ora citati, l’epoca o l’anno al quale essi vogliono essere riferiti.

5. Il diverso splendore delle stelle le ha fatte dividere in classi, chiamate grandezze per ciò che le stelle più splendenti, mandando maggior massa di luce all’occhio, appaiono più grandi. Le stelle visibili ad occhio nudo formano le prime sei grandezze; le telescopiche vanno dalla grandezza 7 alla 16, e si ritengono di sedicesima le ultime stelle visibili soltanto coi più potenti cannocchiali d’oggi giorno.

Si ammette in generale che il numero 2,5119 rappresenta quanto una stella di grandezza determinata splende meno d’una stella di maggior splendore e di grandezza diversa d’una unità, quanto una di quarta splende meno che una di terza, una di sesta meno che una di quinta... Nel fatto però gli splendori stellari non si susseguono a gradi regolari e distinti così come questa ipotesi vorrebbe, nè dalle stelle di prima si salta a quelle di seconda, da queste a quelle di terza e via. Gli splendori stellari formano nel loro insieme una serie continua, passano gli uni negli altri per sfumature insensibili, sicchè diventa assai difficile lo stimarli e determinarli con precisione. Una traccia di indeterminazione nei loro valori sussiste pur oggi, malgrado si facciano dipendere da misure pazienti fatte con strumenti speciali, fotometri.

6. Nel cielo si sono contate 20 stelle di prima grandezza, 51 di seconda, 200 di terza, 595 di quarta, [p. XXVIII modifica] Cielo Boreale [p. XXIX modifica] [p. 43 modifica] 1213 di quinta, 3640 di sesta, in tutto 5719 stelle visibili ad occhio nudo. V’è qualche incertezza in questi numeri generalmente accettati, ma è un’incertezza che nulla toglie all’importanza delle conseguenze che se ne possono trarre. Evidentemente quanto minore è lo splendore delle stelle, tanto maggiore ne è il numero, e questo è confermato dalle revisioni del cielo fatte coi cannocchiali, attraverso ai quali l’occhio vede le stelle moltiplicarsi quasi come le arene del deserto.

Con un cannocchiale modesto di 70 millimetri di apertura, a cui sia applicato un oculare di piccolo ingrandimento (10), si vedono ancora senza fatica le stelle di nona grandezza, e con un tal cannocchiale si sono contate in cielo 656145 stelle. Guglielmo Herschel col suo telescopio di 18 pollici d’apertura, paragonabile ad uno dei nostri cannocchiali che abbia un obbiettivo di 25 centimetri di diametro, vide le stelle di decimasesta grandezza, le più piccole finora osservate. Egli, errando di plaga in plaga, enumerò qua e là le stelle comprese nel campo di visione del suo telescopio, e con facile calcolo dedusse il numero delle stelle, con esso telescopio visibili, uguale a 20374034. Si tratta di un numero il quale ha un valore solo relativo, perchè ottenuto estendendo a tutto il cielo risultati di enumerazioni fatte in piccola parte di esso, ma, fosse anche notevolmente errato, esso autorizza ad affermare che il numero delle stelle oggi visibili coi nostri cannocchiali sale a decine di milioni, ed autorizza a pensare che ben maggiore è il numero delle stelle esistenti, molte delle quali per insufficienza dei nostri mezzi ottici noi non riesciamo ancora a vedere.

7. In cielo vi sono stelle che passano successivamente per diversi gradi di intensità luminosa (variabili), e che, quando già non hanno un nome od un’indicazione speciale, si convenne designare colle ultime lettere maiuscole dell’alfabeto latino, cominciando da R, e col nome della costellazione a cui appartengono. Le variabili, a seconda delle oscillazioni della loro luce, possono dividersi in parecchie classi.

La prima è quella delle stelle temporarie o nuove, le quali appaiono subitamente, ed in pochi mesi scompaiono a gradi a gradi. Celebri sono le nuove del 1572 e del 1604, recenti sono le apparse nel 1848, nel 1866, nel 1876, nel 1885.

La seconda, la più numerosa, abbraccia le stelle che passano da uno splendore massimo ad uno minimo in un periodo oscillante fra 6 mesi e 2 anni; presentano differenze di splendore grandi; non tutti i massimi e i minimi di luce pei quali passano sono uguali fra loro; non sempre la durata del loro periodo è costante. Sono caratteristiche in questa classe le stelle ο della Balena (Mira Ceti) e χ del Cigno.

Nella terza stanno le stelle il cui splendore è soggetto a lievi mutazioni in apparenza irregolari; esempi di questa classe si hanno nelle α di Orione ed α di Cassiopea.

Vi sono stelle, quali ad esempio β della Lira e δ di Cefeo, che cambiano continuamente; nel corso di pochi giorni passano per una serie non interrotta di splendori diversi, serie che ripetesi poi esattamente e regolarmente. Queste stelle formano una quarta classe di variabili.

La quinta classe infine comprende alcune stelle le quali mantengono, durante la più gran parte del tempo, invariato il loro splendore, ma ad intervalli regolari perdono poi in poche ore quasi intieramente la loro luce, e con uguale rapidità la riacquistano. Passano per queste rapide variazioni di splendore a periodi così determinati, che in parecchi casi se ne può fissare l’istante entro una frazione di secondo. La più caratteristica fra le stelle di questa classe è Algol o β di Perseo; ad essa appartengono pure δ del Cancro e δ della Libra.

A spiegare sì grande varietà di fenomeni, teorie diverse furono immaginate, ma forse non è una sola la causa che li produce, forse è più logico pensare che ad ogni classe di variabili corrispondono una o più cause speciali di perturbazione dello splendore.

Ammettono alcuni che l’eruzione e l’incendio di una potente massa di idrogeno portino rapidamente la stella, in cui avvengono, ad un altissimo grado di calore e splendore, cui essa, raffreddando, perde in seguito a poco a poco. Se vera, questa ipotesi spiegherebbe solo le stelle temporarie.

È certo che stelle costituite come il Sole, e nelle quali le macchie si svolgessero in più vaste proporzioni, dovrebbero presentare notevoli cambiamenti di splendore. Non sarebbe facile dare in questo modo ragione delle variabili della seconda e dell’altre classi, ma quelle della terza ne vanno naturalissimamente spiegate.

È assai diffusa l’ipotesi la quale spiega le variabili, supponendo che le parti diverse della loro superficie sieno diversamente splendenti, e rivolgansi successivamente alla Terra portate dalla rotazione delle stelle intorno al proprio asse. Anche di questa ipotesi può dirsi che, se vera, spiegherebbe solo le variabili della classe quarta.

Rimangono le variabili della quinta classe. Le si spiegano per mezzo di un corpo oscuro o satellite della stella, il quale, portato dal proprio movimento intorno alla stella, passa a periodi determinati fra la stella e la Terra (paragrafo 12).

8. Vi sono in cielo stelle rosseggianti come Aldebaran, Antares, Arturo, Polluce; ve ne sono di biancheggianti, Sirio e Vega ad esempio, di gialle, di aranciate, di azzurre, di verdi. La tavola XXX e il disegno in basso a destra della tavola XXXI dànno di queste stelle colorate alcuni esemplari pieni di gaiezza e leggiadria. Il color verde, l’azzurro sono però eccezioni; la più gran parte delle stelle hanno colori che si lasciano classificare per mezzo di una scala cromatica, la quale comincia dal bianco puro, passa per tutte le gradazioni del giallo e finisce nel rosso. Non pare che esistano stelle di color bianco [p. 44 modifica] puro o di color rosso puro; nelle ritenute bianche v’è una traccia di giallo; le rosseggianti sono d’un color giallo intenso tendente più o meno al rosso: il vero rosso del carminio, il rosso della riga C dello spettro disegnato nella tavola III non s’incontra in alcuna stella. Se nella scala dei colori più su accennata si pone il bianco puro uguale a zero, si indica col numero 4 il giallo puro, col 6 il giallo intenso proprio dell’oro, col 10 il rosso spoglio da ogni miscela di giallo, tutte le stelle rosse vengono rappresentate da numeri compresi fra 6,5 e 9.

Fu da alcuni osservato che in qualche stella, γ del Centauro ad esempio, il colore varia, ma questo fatto, che sarebbe importantissimo, non è ancora ben certo. Sventuratamente nell’argomento dei colori stellari c’è una parte che dipende dalle attitudini fisiologiche dell’osservatore, e qualche differenza si riscontra inoltre nelle classificazioni fatte da uno stesso osservatore con cannocchiali di diversa potenza. È un argomento che da poco tempo si studia, e nel quale non si procede ancora col rigore e colla sicurezza propria delle osservazioni astronomiche.

9. Chiamansi doppie due stelle lontane pochi secondi d’arco, che confondono i loro raggi luminosi in quelli d’una stella unica, cui solo cannocchiali forti con oculari di ingrandimento opportuno riescono a scindere, a sdoppiare. Non sono due stelle proiettate dall’occhio dell’osservatore in punti vicinissimi del fondo del cielo, nel qual caso la loro multiplicità non sarebbe che relativa ed apparente, ma sono un vero sistema di due stelle che si aggirano l’una intorno all’altra, o, ciò che torna lo stesso, intorno al loro centro di gravità comune. Castore, Cuore di Carlo, Righel, ε di Boote, η e σ di Cassiopea, β del Cigno sono altrettante doppie, riprodotte, così come appaiono in un cannocchiale, nella tavola XXX.

Qualche volta sono tre le stelle (triple) che si aggirano intorno al comun centro di gravità; triple nella tavola XXX sono π del Liocorno, ψ e ι di Cassiopea, γ di Andromeda, ζ del Cancro per isbaglio nella tavola detta σ. Non di rado due stelle doppie stanno tanto vicine che appaiono insieme nel campo di visione del cannocchiale, con in mezzo parecchie stelline; tali sono ε1 ed ε2 della Lira (tavola XXX). Qualche volta s’incontrano stelle che un cannocchiale potente risolve in diverse stelline così prossime e così aggruppate, che difficilmente si può immaginare non abbiano una connessione fisica e non formino un sistema. Sono le così dette multiple, e tali sono le sei stelle (tav. XXX) nelle quali si risolve il trapezio che vedesi (tav. XXXIV) nella parte più lucida della nebulosa di Orione. Interessante, sotto questo punto di vista, è la stella Mizar o ζ dell’Orsa maggiore (tav. XXVIII-XXIX): vicino ad essa già ad occhio nudo vedesi una stella di quinta grandezza, Alcor (tav. XXVIII-XXIX), ma in un cannocchiale, Mizar stessa si sdoppia (tavola XXX) e fra essa ed Alcor appaiono parecchie stelline.

Le colorazioni più rimarchevoli ed i contrasti più curiosi di colore vengono in cielo mostrati dalle stelle multiple (tav. XXX). Se le componenti hanno grandezze uguali o poco diverse, hanno in generale lo stesso colore, o bianco o giallo; se le grandezze loro sono notevolmente diverse, la componente maggiore, poche eccezioni fatte, ha colore meno rifrangibile che va dal giallo al rosso, le componenti minori hanno colori più rifrangibili che vanno dall’azzurro al violetto.

Nella storia dell’Astronomia le stelle multiple segnano uno splendido progresso; per esse fu dimostrato che la legge dell’attrazione delle masse, alla quale tutto obbedisce nel Sistema del Sole, regge ancora i corpi disseminati nelle profondità dello spazio universo, e per esse fu possibile pensare con sicuro fondamento a più stelle, le quali si aggirano intorno ad un centro comune, così come in uno spazio più ristretto fanno i pianeti ed il Sole.

Quanti scrissero popolarmente di scienza, si arrestarono con singolare compiacimento a questo argomento delle stelle multiple. Se ogni stella è un sole, se ogni sole è centro di un sistema di pianeti, le doppie ci rivelano mondi, che alla fantasia appaiono incantevoli. Se esiste un pianeta che si rivolge intorno ad una doppia, il giorno e la notte, i fenomeni tutti, che presso noi si succedono senza posa a periodi determinati, devono su di esso avvenire in modo diversissimo, quale appena possiamo immaginare. Tramontato uno dei soli, potrebbe l’altro essere ancora vicino al meridiano; uno dei soli potrebbe essere già alto sull’orizzonte ed il secondo sorgere appena; potrebbe il giorno di quel pianeta essere la luce di due soli riuniti, la notte essere la luce di uno solo di essi; potrebbe alla luce dei due soli succedere prima quella di uno solo poi le tenebre; che se il pianeta, invece che intorno ad una stella doppia, si rivolgesse intorno ad una tripla o ad una multipla, giorno e notte, aurore e vesperi, luce e tenebre, tutto assumerebbe forme nuove e diverse, aspetti strani e infinitamente varii. Le multiple inoltre sono in generale colorate. Ora chi può dire gli effetti di questi soli colorati, i contrasti di luce che essi possono produrre su un pianeta che intorno ad essi si aggiri? Fig. 7.Vi è da immaginare in proposito spettacoli imponenti, vi è da inventare narrazioni piene di incanto e di seduzione, vi è di che pascere la fantasia di un romanziere e quella di un pittore insieme riunite.

10. La distanza di un punto inaccessibile C (fig. 7) da un punto A oppure da un punto B si può ottenere facendo stazione in A e misurando l’angolo CAB, facendo stazione in B e misurandovi l’angolo CBA. Sarà l’angolo in C uguale alla differenza fra 180 gradi [p. XXX modifica] Castore. Cuore di Carlo. Righel. σ del Cancro. π del Liocorno. ψ di Cassiopea. ε di Boote. η di Cassiopea. β del Cigno. σ di Cassiopea. ι di Cassiopea. γ di Andromeda. Stelle doppie ε ed ε della Lira. Trapezio nella nebulosa di Orione. Mizar ed Alcor.
 
[p. 45 modifica] e la somma degli angoli misurati in A e in B, e, posto che si conosca la lunghezza di AB, si avrà nel triangolo ABC quanto basta per dedurre col calcolo la distanza CA oppure la CB. Quanto più queste distanze CA, CB sono grandi rispetto alla AB tanto più piccolo riesce l’angolo in C, e l’angolo AC'B è difatti più piccolo dell’angolo ACB. Se il punto C' si immagina trasportato a distanza infinitamente grande rispetto ad AB, i lati AC', BC' diventano paralleli, l’angolo in C' diventa nullo e le distanze C'A, C'B impossibili a determinare; in tal caso a determinare le distanze di C' bisogna poter aumentare la lunghezza AB di quanto è necessario, portando il punto B in un altro B'.

Ciò posto, supponga il lettore che in C vi sia una stella e in C' un’altra, supponga che in A si trovi in un dato istante la Terra, e che AB giaccia nel piano dell’eclittica e coincida con un diametro dell’orbita terrestre. Sarà possibile, stando in A, misurare gli angoli CAB, C'AB. Trascorsi sei mesi, la Terra, portata dal suo moto proprio, si troverà in B, punto diametralmente opposto ad A, e la distanza AB, diametro dell’orbita terrestre, sarà nota ed uguale a 298 milioni di chilometri circa. Sarà possibile, stando in B, misurare gli angoli CBA e C'BA, e sarà del pari possibile, risolvendo i due triangoli ABC e ABC', dedurre le distanze delle due stelle in C ed in C' dai punti A e B ossia dalla Terra.

Determinare la distanza di una stella dalla Terra non è quindi problema intrinsecamente e matematicamente difficile. La difficoltà sua dipende da ciò, che, essendo le distanze delle stelle molto grandi rispetto al diametro dell’orbita terrestre, l’angolo in C od in C' diventa piccolissimo e molto difficile a determinare con precisione per mezzo delle misure fatte in A ed in B. L’angolo in C, ossia l’angolo sotto cui dalla stella si vedrebbe il diametro dell’orbita terrestre, è doppio dell’angolo che chiamasi parallasse annua della stella, e poichè questo è intimamente collegato colla distanza della stella dalla Terra, lo si prende talora per sinonimo della distanza stessa. È un angolo che per la sua piccolezza sfuggì alle ricerche più insistenti degli astronomi del decimottavo secolo ancora, che solo a partire dal 1836 si riuscì a determinare per mezzo di misure micrometriche dirette, e che da qualche anno si determina con successo per mezzo dell’ispezione microscopica delle fotografie di uno stesso gruppo di stelle ottenute a sei mesi di intervallo.

La parallasse annua delle stelle è sempre minore di un secondo d’arco; per una sola stella sale a 0'',9; per pochissime oscilla intorno al mezzo secondo, e per la più gran parte riesce o inferiore o di poco superiore al decimo di secondo, o nulla. Nel seguente quadro numerico son raccolti i risultati finora ottenuti intorno alle parallassi stellari, degni di qualche fiducia; in esso, a fianco d’ogni stella, è scritto prima il valore della sua parallasse annua, poi in una seconda e in una terza colonna la distanza della stella dalla Terra espressa rispettivamente in raggi medii dell’orbita terrestre, e nel numero d’anni che la luce impiega a venire dalla stella a noi.

'' r a
α del Centauro 0,928 222300 3,5
61 del Cigno 0,553 373300 5,9
21185 di Lalande 0,501 411700 6,5
β del Centauro 0,470 439100 6,9
34 di Groombridge 0,307 671900 10,6
Capra 0,305 676300 10,7
σ del Dragone 0,246 838500 13,2
Sirio 0,193 1069000 16,9
α della Lira 0,180 1146000 18,0
70 di Ofioco 0,162 1273000 20,1
η di Cassiopea 0,154 1339000 21,1
Procione 0,123 1677000 26,5
1830 di Groombridge 0,118 1748000 27,6
α dell’Orsa minore 0,091 2267000 35,7

Dei numeri nella terza colonna la nostra mente non può formarsi concetto concreto; meglio è fermarsi un momento su quelli della colonna quarta. La luce impiega 3 anni e mezzo per venire a noi dalla stella più vicina, nè arriva alla Terra dalla ben nota Polare, α dell’Orsa minore, in meno di 35 anni. Eppure la luce in un minuto secondo di tempo medio percorre 300400 chilometri, in 8 minuti e 17,78 secondi attraversa la media distanza che separa la Terra dal Sole, in 4 ore e 10 minuti ci arriva dal pianeta Nettuno, in meno di 8 ore e mezza attraversa lo spazio planetario ora conosciuto. Sono numeri, che dànno delle distanze stellari e delle dimensioni dell’Universo un concetto sbalorditivo.

Noi vediamo un oggetto quando la luce, che da esso emana, arriva al nostro occhio. I nostri concetti quindi sulle stelle e sugli astri in generale si riferiscono al presente solo in apparenza. Noi vediamo il firmamento quale fu, non quale è. Il raggio di luce che annunzia al nostro occhio una stella si riferisce ad un momento, ad uno stato dell’astro ben anteriore all’istante in cui noi ne riceviamo l’impressione. Tutti i fenomeni celesti da noi in un dato istante osservati non sono simultanei che in apparenza; in realtà appartengono ad epoche diverse ed anteriori a quelle in cui i fenomeni luminosi a noi li annunziano; sono quasi voci del passato il cui eco dalle plaghe più profonde dello spazio arriva fino alla Terra.

11. Ogni stella è determinata dalla sua ascension retta e dalla sua declinazione (paragrafo 4). Il punto da cui si parte per contare le coordinate delle stelle (origine delle coordinate od equinozio di primavera) si muove in cielo, e questo suo moto (precessione) si sa calcolare. Data quindi una stella fissa nello spazio, se si paragonano le coordinate sue osservate in due epoche lontane, si deve trovare fra esse solo quella differenza, che è prodotta dallo spostamento del punto di origine avvenuto fra l’una e l’altra epoca. Nel fatto per molte stelle questo non [p. 46 modifica] succede; per molte stelle avviene anzi che lo spostamento dell’equinozio non basta a spiegare tutta la differenza, che si riscontra nelle rispettive ascensioni rette e declinazioni osservate a lunghi intervalli di tempo. Forza è conchiudere che negli stessi intervalli di tempo le stelle in questione hanno cambiato il loro posto nello spazio, e ritenere che la parte della accennata differenza, la quale rimane inesplicata dallo spostamento dell’equinozio, misura appunto di quanto le stelle stesse si sono realmente mosse. La differenza delle ascensioni rette, che rimane inesplicata, rappresenta il moto proprio della stella in ascension retta; la differenza inesplicata delle declinazioni rappresenta il moto proprio della stella in declinazione, e questi due moti, insieme composti, dànno il moto proprio della stella nella direzione della perpendicolare alla visuale, secondo cui la vediamo.

I moti proprii delle stelle sono in apparenza molto piccoli, e a ciò produrre contribuisce certo la grande distanza che separa le stelle dalla Terra. Due o tre stelle soltanto, fra le conosciute, hanno un moto proprio relativamente grande, e ciò non ostante esse impiegano 300 anni a spostarsi in cielo d’un tratto uguale al diametro apparente della Luna. Sono poche le stelle il cui moto proprio superi in un secolo 10 secondi d’arco; la più gran parte o hanno un moto proprio minore, o ne hanno uno finora non avvertito; stelle che in un secolo si muovono apparentemente in cielo di 10 secondi, impiegano 18000 anni a spostarsi di un mezzo grado, quanto all’incirca è appunto il diametro apparente lunare. Si capisce che, con moti proprii apparenti di tal natura, le stelle in migliaia d’anni non debbano mutar sensibilmente le loro posizioni reciproche, nè le configurazioni loro apparentemente modificarsi; si capisce che moti tanto piccoli, a scoprire i quali si riuscì solo tardi e con perfezionati metodi d’osservazione, abbiano sempre permesso di dare alle stelle il nome di fisse.

12. Il moto proprio in ascension retta e in declinazione, in quanto rappresenta il moto che si compie in una direzione perpendicolare alla visuale che va dalla Terra alla stella, non rappresenta tutto il moto di questa. Evidentemente la stella può muoversi ancora nel verso della visuale secondo cui la si vede, e questo moto, che non cambia il punto del cielo nel quale la stella vien proiettata, si indaga ora per mezzo di osservazioni spettroscopiche.

L’altezza di un suono cambia, se il corpo sonoro rapidamente si avvicina o si allontana dall’orecchio. Per ragioni analoghe, le righe dello spettro di un corpo luminoso si spostano verso l’uno o verso l’altro lato, se il corpo luminoso si allontana o si avvicina rapidamente allo spettroscopio. Si tratta di spostamenti piccolissimi, uguali a frazioni minime di millimetro, difficili a misurare direttamente con sicurezza, e che ora meglio si determinano sulle fotografie che degli spettri luminosi si sanno ottenere.

Studiando gli spettri delle stelle, e in essi indagando gli spostamenti verso destra o verso sinistra, rispetto ad una posizione media determinata, di alcune delle righe più distinte, si riescì a risultati molto importanti. Si riuscì a dimostrare che alcune stelle, come Sirio, Righel, Procione, Aldebaran, si allontanano dalla Terra, che altre, come Arturo, Polluce, Vega, si avvicinano, e che per ogni stella, i moti nel verso della visuale sono diversamente veloci. Si riuscì a dimostrare che la variabile Algol (paragrafo 7), mentre sta perdendo la propria luce, si allontana da noi, e a noi tosto dopo prende ad avvicinarsi; si riuscì a determinare la velocità di questo moto, ed a provare che la stella si rivolge intorno ad un corpo oscuro, o meglio che essa e questo corpo si rivolgono intorno al loro centro di gravità, dando così origine alle strane e regolari variazioni di luce da tempo osservate in Algol.

13. Le stelle non sono fisse, ma hanno moti proprii in ascension retta, in declinazione e nel verso della visuale secondo cui le vediamo. Questi moti proprii e reali delle stelle non vanno confusi con un altro moto che è sistematico, e a cui, sebbene in grado diverso, tutte le stelle indistintamente obbediscono. Vi è una regione del cielo nella quale tutte le stelle, in essa esistenti, apparentemente si vanno allontanando fra loro; nella regione ad essa opposta tutte le stelle paiono andare avvicinandosi; per gradi insensibili si passa dall’una all’altra delle due regioni, si passa cioè prima attraverso a stelle che apparentemente si vanno allontanando sempre meno e meno fra loro, poi attraverso ad altre che apparentemente nè si allontanano nè si avvicinano, infine attraverso a stelle che più e più si vanno avvicinando.

Un tal insieme di moti sistematici si spiega subito, se si ammette che il Sole e, con esso, la Terra e tutti i pianeti si muovano, di conserva e d’un identico moto di traslazione, attraverso allo spazio. Nulla si oppone ad ammettere questo moto di traslazione: esso non turba i movimenti orbitali del Sistema solare; esso non è che un moto proprio della stella Sole, analogo a quelli notati in tante altre stelle; esso è appunto quel moto, a cui si accennò in uno dei capitoli precedenti (cap. IV, par. 12). Ammesso questo moto di traslazione del Sole e de’ suoi pianeti, è chiaro che le stelle nella plaga del cielo, verso cui il Sole è diretto, devono, per semplice ragione di prospettiva, apparentemente andare allontanandosi fra loro, che devono invece parer più e più avvicinarsi le stelle nella plaga opposta, dalla quale il Sole si allontana, ed è chiaro ancora che da questo apparente allontanarsi ed avvicinarsi delle stelle si deve poter dedurre la direzione del moto, che ne è la causa. Il Sole si muove infatti verso un punto del cielo boreale situato nella costellazione di Ercole.

14. Quando si studiano i moti proprii delle stelle, si spogliano anzitutto della parte, la quale è solo apparente, e dipende dal moto proprio del Sole. I moti residui e veramente proprii delle stelle non sono tutti uniformi. Alcune stelle, Sirio e Procione fra le altre, mutano da tempo a tempo il loro moto [p. XXXI modifica] Pleiadi. Presepe del Cancro. Gemma, cumulo intorno a κ della Croce. [p. XXXII modifica] Cumulo di stelle in Ercole visto con un debole e con un fortissimo cannocchiale NebulosaNebulose stellari. Gruppo di nebulose. Nebulosa planetaria. Nebulosa a ventaglio. Nebulose fusiformi. [p. 47 modifica] in intensità ed in direzione, mostrando così un moto proprio variabile. Questa mutabilità del moto proprio di una stella, quando non è prodotta da un’altra stella che gravita intorno ad essa, lo è da un corpo oscuro, la cui esistenza l’osservazione e il calcolo insieme uniti riescono a dimostrare. Non solo esistono stelle doppie e multiple, ma esistono stelle intorno a cui corpi oscuri si aggirano, così come avviene intorno al Sole. Procione, Algol sono fra esse.

Se il Sole è una stella, se le stelle sono altrettanti soli (paragrafo 16), non v’è ragione per negare che ogni stella possa essere il centro di un Sistema analogo al solare, e che attorno ad ogni stella si muovano dei pianeti. Così a poco a poco, con procedimenti in apparenza pedestri, colla sola scorta dei fatti rigorosamente osservati, la mente sale a concetti sempre più vasti dell’Universo, e quali la fantasia appena oserebbe concepire.

Si è creduto che, eliminata dai moti proprii delle stelle la componente dovuta al moto di traslazione del Sistema solare, non rimanesse nei medesimi e nelle loro direzioni legge alcuna determinata. Ciò non è. Nei movimenti proprii delle stelle del Toro v’è una comunanza di direzione sorprendente; le stelle dei Gemelli e del Cancro hanno tutte un moto proprio comune verso sud-est; le stelle del Leone mostrano una tendenza marcata a muoversi verso il Cancro; delle sette stelle dell’Orsa maggiore, cinque, β-γ-δ-ε-ζ, si muovono in una stessa direzione, due, α-η, nella direzione opposta; le stelle β e γ di Ariete hanno moti proprii di identica direzione.

Non è improbabile che queste stelle, le quali presentano un moto proprio comune quale fu descritto, formino un Sistema speciale, fisicamente connesso. Sarebbero sistemi analoghi a quelli delle multiple, ma ben più vasti e più complessi. Non si sono ancora abbastanza osservati i moti proprii delle stelle, perchè sia possibile fare sopra di essi indagini che abbiano probabilità di successo sicuro, irresistibile; certo è però, che in questi moti proprii sistematici di alcune stelle, e che nei grandi moti proprii di altre stelle, le quali si muovono attraverso allo spazio con velocità assolute enormi e senza visibile corpo attraente vicino, c’è per l’Astronomia un grande campo di scoperte avvenire.

15. La Terra ruota intorno al proprio asse, e questo moto suo produce il moto sincrono apparente della volta celeste intorno ad un asse, che è sul prolungamento dell’asse di rotazione terrestre, e che ferisce il cielo in due punti diametralmente opposti (poli celesti). Vicino al polo boreale c’è una stella notevole, Cinosura od α dell’Orsa minore, di seconda grandezza, detta per antonomasia la Polare.

La Terra, mentre ruota intorno a sè, rivolgesi attorno al Sole, e, trasportandosi essa nello spazio, il suo asse di rotazione si mantiene costantemente parallelo a sè medesimo. Questo fatto, unito all’altro che le stelle sono ad una distanza infinitamente grande rispetto al diametro dell’orbita terrestre, fa sì che, durante un anno, il punto, in cui il prolungamento dell’asse di rotazione terrestre va a ferire il cielo, non ha moto apparente sensibile fra le stelle.

La meccanica insegna però, e la scienza popolare non lo può, che l’asse di rotazione della Terra ha un lento moto conico intorno ad una retta perpendicolare al piano dell’eclittica, moto lentissimo e che si compie in 26000 anni. Ne segue che il punto, in cui l’asse di rotazione della Terra prolungato ferisce il cielo, lentamente si muove pur esso intorno ad un punto (polo dell’eclittica) come intorno a centro, e lentamente cambia di posizione fra le stelle. È un fatto verificato dall’osservazione, e nelle tav. XXVIII-XXIX, XXXVIII-XXXIX si è appunto con un punteggiato circolo, eccentrico ai rimanenti, segnata la via che il polo celeste percorre fra le stelle. La Polare d’oggigiorno, distante dal polo celeste boreale meno di un grado e mezzo, ai tempi di Ipparco e di Tolomeo (quasi 2000 anni fa) era molto lontana dal polo, e tornerà ad esserne lontana nei tempi avvenire. Col tempo diventeranno polari, l’una dopo l’altra, le stelle più splendenti di Cefeo, lo diventerà più tardi Deneb od α del Cigno, e in capo a 13000 anni Vega od α della Lira.

Cambiando la posizione del polo in cielo, cambia naturalmente anche la distanza delle stelle dal polo, e poichè da questa distanza (cap. III par. 1) dipende che una data stella sorga o non sopra un orizzonte dato, ne segue che alcune stelle invisibili per un luogo della Terra vi diventano col tempo visibili, e viceversa. La Croce del Sud, ai tempi dei Greci e dei Romani, era visibile per gli orizzonti dell’Europa meridionale; ora vi è invisibile; fra 11000 anni ridiventerà visibile.

................e posi mente
all’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’alla prima gente.

16. Le stelle dànno, come il Sole, uno spettro luminoso solcato da righe oscure. Nella loro costituzione essenzialmente non differiscono quindi dal Sole; le stelle sono altrettanti soli.

Già nel capitolo I (parag. 3) furono abbozzati i principii precipui della Spettroscopia. Là si disse che i vapori incandescenti di un metallo producono uno spettro oscuro solcato da righe lucide e colorate, e che lo spettro del Sole è invece luminoso e solcato da righe oscure. Qui giova aggiungere questi due fatti.

Qualche volta le righe lucide e colorate dello spettro dei metalli, invece che sottili, appaiono sensibilmente larghe, ed in tal caso non hanno una tinta uniforme in tutta la loro larghezza, ma, intensamente colorate sopra uno dei lati, van via via sfumando e prendendo una tinta sempre meno intensa, fino ad apparire sul lato opposto debolissimamente colorate; si dice in questo caso che lo spettro è solcato da scanalature lucide.

In alcuni spettri stellari le righe oscure appaiono [p. 48 modifica] non più sottili, ma sensibilmente larghe, non più uniformemente oscure in tutta la loro ampiezza, ma oscure su un fianco, sfumate sul fianco opposto; prendono allora il nome di scanalature oscure o d’assorbimento, nome suggerito ai primi osservatori dal loro aspetto stesso.

Negli spettri delle diverse sorgenti di luce si hanno, a seconda dei casi, righe o scanalature lucide e colorate, righe o scanalature oscure e d’assorbimento.

Ciò posto, tutti gli spettri stellari, pochissime eccezioni fatte, possono ridursi a quattro tipi principali.

Il primo tipo è uno spettro formato dalla successione quasi continua dei sette colori ordinarii dell’iride, e solcato da poche righe oscure, alcune delle quali più forti ed intense (tav. XXXVII fig. 1). Le stelle che producono questo tipo di spettro, sono o bianche o azzurrognole.

Il secondo tipo è uno spettro del primo non meno luminoso, ma solcato trasversalmente da righe oscure, numerose, sottili e occupanti le stesse posizioni che quelle dello spettro solare. È uno spettro perfettamente simile a quello del Sole (tav. XXXVII, fig. 2), ed è prodotto dalle stelle gialle.

Il terzo tipo è prodotto dalle stelle ranciate e rosseggianti. È uno spettro nel quale le diverse bande colorate sono solcate, in alcuni punti da righe nere sottili, in altri da righe larghe, o scanalature, oscure dalla parte verso il violetto, sfumate da quella verso il rosso. Nel suo insieme questo spettro si presenta come una colonna scanalata veduta di prospetto (tavola XXXVII, fig. 3).

Il quarto tipo è il più bizzarro e vario: è formato da bande luminose interpolate da bande oscure, e nel suo insieme presenta esso pure, come il terzo, l’aspetto di colonna scanalata, ma in ciò si distingue nettamente dal terzo, che in esso mancano righe sottili nere, e le scanalature sono oscure dalla parte verso il rosso, sfumate da quella verso il violetto (tav. XXXVII, fig. 4). Questo quarto tipo raccoglie alcune stelle di piccola grandezza, e per lo più di colore quasi rosso.

Poche stelle producono spettri diversi dai quattro tipi descritti: sono spettri che hanno righe semplici isolate, che, al posto di alcune righe oscure degli spettri ordinarii, portano delle righe lucide, e che, volendo, potrebbero radunarsi in un quinto tipo a righe lucide.

17. Nella spettroscopia in generale i fatti seguenti paiono abbastanza dimostrati ed indubitabili.

I corpi semplici ad altissime temperature dànno uno spettro a righe strette, distinte, sottili; se ad altissime temperature, e inoltre sottoposti a forti pressioni, dànno nello spettro righe meno bene limitate e definite da amendue le parti.

I composti chimici dànno spettri di tutt’altra natura; gli ossidi, i cloruri, le differenti specie di idrogeno carbonato mostrano allo spettroscopio bande oscure, non uniformemente tali in tutta la loro superficie, ma sfumate, fosche cioè da uno dei lati e più chiare dall’altro.

Gli spettri delle stelle offrono appunto questi diversi caratteri, ed è spontaneo il pensare, che la diversa temperatura e la conseguente diversa composizione chimica sieno le cause, che producono i diversi tipi di spettri stellari.

Esistono probabilmente stelle a temperatura elevatissima; i gas metallici esistenti nelle loro atmosfere esercitano sulla luce delle loro fotosfere un assorbimento minimo, e le righe oscure sono per conseguenza nei loro spettri o tenuissime, o affatto invisibili, o rovesciate qualche volta in lucide. Sono le stelle che dànno spettri del primo e del quinto tipo.

Esistono stelle a temperatura più bassa, ma ancora assai elevata; nelle loro atmosfere, così come in quella del Sole, possono esistere vapori metallici capaci di assorbire la luce della fotosfera, e la di cui facoltà assorbente è resa manifesta appunto dalle numerose righe oscure dello spettro. Sono le stelle che producono spettri del secondo tipo.

Esistono stelle a temperatura molto bassa, e bassa al punto che composti chimici possono generarsi e mantenersi nelle loro atmosfere, producendo un assorbimento forte e reso manifesto dalle scanalature oscure, passanti per sfumature da uno ad un altro grado di oscurità. Sono le stelle che producono gli spettri del terzo e del quarto tipo.

Alcuni, dai fatti e dai principii esposti, trassero la conseguenza, che le stelle passano per diverse fasi di svolgimento, contrassegnate ciascuna da un diverso grado di temperatura, e che esse sono astri i quali vanno successivamente perdendo di calore, predestinati tutti a spegnersi col tempo. È questo un ordine di idee, che ha per ora piccolo fondamento. Se esso fosse vero, gli spettri delle stelle dovrebbero incessantemente mutare e trasformarsi gli uni negli altri; dovrebbero fra essi esistere spettri di transizione, prodotti da stelle che stanno fra quelle di altissima e quelle di alta temperatura, fra queste e quelle di temperatura molto bassa. Nulla di tutto ciò si osserva, nè che il Sole e le stelle debbano necessariamente spegnersi è principio finora abbastanza dimostrato (cap. I, par. 12). Alcune recenti ricerche tendono anzi a far pensare, che tutti i corpi dell’universo sono o sono stati sciami di meteoriti; che le differenze presenti fra loro dipendono da differenze di temperatura, o da differenze di distanze reciproche dei meteoriti costituenti; che fra le stelle, alcune vanno crescendo di temperatura, altre diminuendo. Si tratta però di indagini ancora incomplete, di concetti che stanno ora appunto svolgendosi, e che qui basta avere accennati, poichè da nuovi e prolungati studi potrebbero venire profondamente modificati.

18. In ogni tempo la Via lattea attrasse l’attenzione degli uomini. Come una gran fascia si estende per tutto il firmamento; è press’a poco circolare; pel suo pallido color bianco-latteo-diffuso si distacca [p. XXXIII modifica]Nebulosa annulare nella Lira. Nebulosa a forma di spirale nei Cani da caccia. [p. XXXIV modifica]Nebulosa di Orione. [p. 49 modifica] dal fondo oscuro del cielo, e dalle stelle lucide o attigue o attraverso ad essa disseminate.

.....distinta da minori e maggi
lumi biancheggia fra i poli del mondo
Galassia sì che fa dubbiar ben saggi.

Il corso di questa Galassia o Via lattea attraverso alle costellazioni è abbastanza indicato dalle tavole XXVIII-XXIX e dalle XXXVIII-XXXIX. Da esse chiaro appare quanto l’occhio nudo nella Via lattea osserva: la non uniforme sua struttura apparente, il diverso splendore delle sue varie regioni, le ramificazioni sue, le regioni oscure che essa, quali isole, chiude qua e là all’ingiro.

Attraverso ad un cannocchiale mediocre, la Via lattea par formata da numerose stelle piccole, che si proiettano su un fondo bianco, pallido, diffuso, analogo a quello che vedesi ad occhio nudo.

Attraverso ad un secondo cannocchiale, più forte di quello appena usato, alcune regioni della Via lattea si risolvono interamente in moltissime stelline, altre, le più numerose, continuano ad apparire così come prima.

Attraverso ad un terzo cannocchiale, più forte del secondo, cresce il numero delle regioni che si risolvono in istelle, diminuisce quello delle regioni che presentano stelle proiettate su fondo bianco latteo.

Attraverso ad un ultimo cannocchiale potentissimo, anche alcune delle più ribelli regioni lattee si risolvono interamente in istelle, sicchè nasce la convinzione, che la risolubilità della Via lattea tutta in istelle non è che questione di forza di cannocchiale, e che la Via lattea deve il suo aspetto al gran numero di stelle disseminate nello spazio, che l’occhio proietta sulla zona del cielo da essa occupata.

Dalla Via lattea alle regioni affini vi è nel numero delle stelle visibili un salto brusco, non un passaggio lento e graduale. Guglielmo Herschel, errando di plaga in plaga coll’occhio armato di telescopio potente, ed enumerando le stelle comprese nel proprio campo di visione, trovò regioni del cielo con appena 3 o 4 stelle, ne trovò altre con perfino 588 stelle; queste cadevano nella Via lattea, quelle in punti lontani da essa circa 90 gradi, nella costellazione dei Cani da caccia e nelle attigue. Trovò, che a 15 gradi dalla Via lattea il numero delle stelle, contenute nel campo di visione del telescopio usato, era in media uguale a 56, che a 30 gradi era uguale a 17, che a 45 era uguale a 10, che fra i 60 e i 70 gradi non era già più che 6 o 4; trovò cosa degnissima di nota, che nella Via lattea il telescopio suo vedeva assai più stelle che non i cannocchiali minori, che a 80, 90 gradi da essa vedeva appunto lo stesso numero di stelle che questi.

Evidentemente la distribuzione apparente delle stelle in cielo non è uniforme; esse si addensano nella regione della Via lattea, diventano più e più rare quanto più si considerano regioni dalla Via lattea lontane.

19. Noi sulla Terra occupiamo un posto determinato dello spazio, poco diverso da quello occupato dal Sole. Le stelle, sospese nello spazio a grandi distanze fra loro, producono col loro insieme il firmamento, fenomeno maraviglioso, ma una pura apparenza, dipendente e dalla distribuzione reale delle stelle nello spazio, e dal punto di questo spazio dal quale noi la guardiamo.

Il cielo stellato, visto invece che dalla Terra o, ciò che in questo argomento torna tutt’uno, dal Sole, visto ripeto da un’altra stella, apparirebbe, pur restando invariata la distribuzione reale delle stelle, tutt’altra cosa, e tanto più diversa quanto più la stella, nuovo punto di vista, fosse lontana e dalla Terra e dal Sole.

Risalire dalla distribuzione apparente delle stelle alla loro distribuzione reale, è problema complesso ed indeterminato, in quantochè in esso trattasi di definire la struttura topografica del Sistema stellato secondo le sue tre dimensioni, partendo dalla prospettiva che se ne può prendere da un solo punto di veduta.

I cannocchiali rendono visibili gli oggetti lontani, avvicinandoli. Quanto più è forte un cannocchiale, tanto più lontani sono gli oggetti che esso può rendere visibili; quanto più è grande il cannocchiale che arma l’occhio di un uomo, tanto più questi vede lontano, tanto maggiore è la distanza a cui l’occhio suo si spinge nello spazio, tanto più lungi in questo spazio esso si sprofonda. Con cannocchiali di diversa grandezza l’occhio si spinge quindi a diverse distanze e profondità nello spazio universo, o, ciò che equivale, con essi si gettano nello spazio che ci circonda scandagli diversamente profondi.

Quanto più forte è un cannocchiale, tanto maggior numero di stelle si vede nella Via lattea, e non c’è cannocchiale tanto grande, che finora abbia viste tutte le stelle che nella Via lattea si proiettano. Ciò vuol dire, che, nella direzione della Via lattea, il maggior cannocchiale non spingesi nello spazio tanto lungi quanto sono distanti le stelle più lontane della Via stessa, e che, nella direzione da questa Via segnata, l’occhio umano non toccò ancora il confine delle stelle esistenti.

Nella direzione perpendicolare alla individuata dalla Via lattea, due cannocchiali grandi, ma di diametro molto diverso, vedono lo stesso numero di stelle. Ciò significa, che l’uno e l’altro si spingono alla distanza massima a cui, in questa direzione, ancora esistono stelle, e che, nella direzione stessa, l’occhio umano si spinge già oltre i confini dello spazio sparso di stelle.

La distribuzione apparente delle stelle è disuniforme (par. 18). Se noi ci trovassimo in un punto dello spazio attorno al quale, e in ogni direzione e ad ogni distanza, stelle fossero uniformemente distribuite, noi vedremmo il firmamento uniformemente sparso di stelle. Nè la Terra quindi si trova in un tal punto dello spazio, nè uniforme attorno alla Terra è la distribuzione delle stelle. [p. 50 modifica]

Le stelle si addensano nella Via lattea, sono rare verso i poli di essa (par. 18); nella direzione della Via lattea non riesciamo ancora a toccare il confine delle stelle esistenti, ci riesciamo nella direzione ad essa perpendicolare (par. presente). Ciò vuol dire, che noi, col Sole, apparteniamo ad un cumulo di stelle, il quale ha una dimensione relativamente limitata nella direzione perpendicolare alla Via lattea, e il quale nella direzione della Via stessa molto e molto si estende.

Nelle plaghe celesti che corrispondono ai poli della Via lattea, noi abbiamo scandagliato lo spazio assai oltre il confine del cumulo stellare a cui apparteniamo, e questo confine giace a nove volte circa la distanza delle ultime stelle visibili ad occhio nudo; nella direzione della Via lattea, il confine del nostro cumulo stellare ci rimane tuttora ignoto. Questo cumulo stellare ha quindi la forma di un grande disco larghissimo e sottile, o se vuolsi di una grande lente; noi, in esso immersi, proiettiamo necessariamente la più gran parte delle stelle in una stretta zona del cielo, Via lattea, determinata dal prolungamento all’infinito della maggior dimensione del disco o della lente, proiettiamo la minor parte delle stelle nelle regioni a destra e a sinistra di essa zona.

Se noi ci trovassimo nel piano centrale del cumulo stellare lenticolare a cui apparteniamo, noi vedremmo la Via lattea come un circolo massimo del cielo, come un circolo cioè che divide il cielo in due emisferi uguali. Questo non è; il Sole quindi, e noi con esso occupiamo una posizione eccentrica, siamo fuori del piano centrale, ma non molto fuori, poichè gran cosa diverse non sono le due calotte in cui la Via lattea divide il cielo.

Se noi ci trovassimo, oltrechè nel piano centrale, nel centro del nostro cumulo stellare, noi vedremmo di uguale o di poco diverso splendore le regioni celesti collocate simmetricamente rispetto alla posizione nostra, e pressochè ugualmente splendenti vedremmo le regioni della Via lattea, che cadono o nel piano centrale, o in un piano ad esso parallelo. Questo non essendo, vuol dire che noi non solo siamo fuori del piano centrale del cumulo stellare lenticolare a cui apparteniamo, ma che il posto da noi occupato, ove su questo piano si proiettasse, cadrebbe fuori del centro del cumulo; noi siamo immersi in questo cumulo stellare, e il Sole giace da una parte del piano centrale di esso, verso le costellazioni del Toro e di Orione, così come lo indica la figura intitolata Sistema delle fisse componenti la Via lattea, nella tavola XIV-XV.

20. L’emisfero australe del cielo è ricco di stelle brillanti. Ad esso appartengono già le nostre splendide costellazioni di Orione e del Cane maggiore, le quali con Canopo e le altre stelle di Argo, colle costellazioni della Croce del Sud, del Centauro, dello Scorpione, del Sagittario formano una striscia non interrotta di stelle lucide, e devono produrre quell’impressione vaga e viva, di cui son piene le descrizioni scritte alla vista del cielo australe. Due altre cose devono però contribuire ad una tal impressione, e sono le nubi di Magellano, e i sacchi di carbone i quali non hanno riscontro in tutto il cielo.

Attorno al posto australe si aggirano, portate dal moto diurno apparente della sfera celeste, e a diversa distanza da esso, due macchie isolate, solitarie, bianche, luminose, di apparenza analoga alle parti più splendide della Via lattea. Sono le nubi ora dette di Magellano, ma che altri prima di lui avevano rimarcate, e con diversi nomi, fra gli altri con quello di nubi del Capo, designate. Amendue sono visibili ad occhio nudo; di esse, la più piccola copre 10 gradi quadrati ed è abbozzata nella nostra tavola XXXVIII-XXXIX fra le costellazioni di Tucana e di Idro, la più grande, nella costellazione della Mensa (tavola stessa), misura 42 gradi quadrati, estensione pari a quella di alcune costellazioni. Non si attaccano fra di loro nè colla Via lattea per alcuna nebulosità percettibile; la minore è situata in una specie di deserto stellare; lo spazio occupato dalla maggiore è meno completamente vuoto di stelle; producono all’occhio nudo la stessa impressione che produrrebbero due porzioni staccate ed ugualmente ampie della Via lattea; nel plenilunio, la minore scompare affatto, la maggiore, riprodotta nella tavola XXXVI quale appare ad occhio nudo, perde solo parte considerevole del suo splendore.

Di contro alle nubi di Magellano, e chiuse all’ingiro dalla Via lattea assai splendente fanno strano contrasto due macchie che appaiono d’un nero cupo, che ebbero dai marinai il nome di sacchi di carbone, e che già sulla fine del secolo decimoquinto attrassero l’attenzione degli osservatori. L’uno dei sacchi è attiguo alla Croce del Sud, l’altro è nella costellazione del Compasso; quello nella Croce del Sud (tavola XXXVI) è il più imponente; misura apparentemente 8 gradi in lunghezza, 5 in larghezza, e in così vasto spazio incontrasi una sola stella visibile ad occhio nudo, sebbene ve ne sieno molte di telescopiche. Si suppone, che l’assenza di stelle e il contrasto della splendente Via lattea all’ingiro sieno le cause, per cui questa plaga di cielo par tanto oscura.

21. Vi sono in cielo piccoli gruppi di stelle, che già all’occhio nudo rivelano la loro costituzione. Vicino alla stella η del Toro sta, ad esempio, il gruppo delle Pleiadi, il quale occupa apparentemente uno spazio minore di quello coperto dal disco lunare, e nel quale già l’occhio nudo distingue 7 stelle lucide. Vicino ad Aldebaran, α del Toro, sta il gruppo delle Iadi, di cui alcune stelle distinguonsi esse pure già ad occhio nudo. In questi gruppi o cumuli di stelle i cannocchiali riescono a vedere stelle numerosissime, e nelle Pleiadi, le stelle, visibili attraverso ad un gran cannocchiale, (tav. XXXI) salgono a più che 100.

Vi sono in cielo cumuli di stelle così strettamente aggruppate le une alle altre, che all’occhio nudo appaiono come nubi bianche e luminose, e cui mediocri cannocchiali risolvono distintamente nelle singole [p. XXXV modifica]Nebulosa di Andromeda. [p. XXXVI modifica]Nebulosa Cancro nel Toro. Nube maggiore di Magellano vista ad occhio nudo. Sacchi di carbone nella Via Lattea (costellazione della Croce del Sud) visti ad occhio nudo. Spettri di nebulose. [p. 51 modifica] stelle onde sono composti. Tale è la macchia bianca Presepe (tav. XXXI) nella costellazione del Cancro, che con un buon cannocchiale da teatro già si risolve in 30 piccole stelle; tale è la macchia pallida nell’impugnatura di Perseo, vicino alla stella χ, nella quale con un modesto cannocchiale si arriva presto a separare distintamente le singole stelle che la compongono.

Vi sono in cielo cumuli di stelle, e sono numerosissimi, che conservano aspetto nebuloso anche sotto cannocchiali di qualche forza, e che si risolvono in istelle solo attraverso a cannocchiali potentissimi. Il cumulo nella costellazione di Ercole in un cannocchiale mediocre (tav. XXXII) appar come una miscela di stelle e di nebulosità, in un cannocchiale forte si risolve (tav. XXXII) in stelline numerose come le arene del deserto. Il cumulo intorno alla stella κ della Croce resiste a molti cannocchiali, e solo sotto ad uno grande si risolve in istelle; presenta allora uno dei più vaghi spettacoli del cielo; le sue stelle più facilmente visibili salgono a 110; sono splendide e variamente colorate (tav. XXXI); appaiono nel loro insieme così leggiadre, che il cumulo loro si chiama Gemma per antonomasia. Nella costellazione del Toro v’è una nebulosità rimasta per lungo tempo irrisoluta, e che per ciò e per la sua forma va distinta universalmente col nome di nebulosa Cancro (tav. XXXVI). Essa è un cumulo di stelle; nella sua massa fortissimi cannocchiali vedono stelle letteralmente innumerevoli; dalla sua massa partono filamenti debolmente luminosi, e finora non risolti in istelle.

Sui cumuli stellari si fondarono tutte le speculazioni intorno alla distribuzione della materia nei Sistemi siderei. È difficile ammettere, che un dato cumulo sia l’effetto di una casuale proiezione prospettica; è difficile non ammettere, che le stelle di ogni cumulo formino un vero e speciale sistema fisico. È facile sopra questi principii immaginare un vasto Sistema sidereo.

I piccoli cumuli, visibili ad occhio nudo o facilmente risolubili, sono sistemi speciali di stelle, analoghi ai sistemi multipli, e, come questi, parte integrante del grande Sistema stellare, al quale il Sole appartiene e che forma la Via lattea.

Il grande Sistema della Via lattea, veduto da un punto cosmico lontano e convenientemente situato, non può apparir altro che come un grande cumulo di stelle. I grandi cumuli, di cui le stelle sono innumerevoli, non sono che altrettante Vie lattee dello spazio cosmico, viste in iscorcio.

Ogni Via lattea è un grande Sistema stellare, complesso e formato di innumerevoli sistemi stellari minori, e di ancor più innumerevoli sistemi planetarii.

Le Vie lattee diverse formano un Sistema sidereo d’ordine superiore e infinitamente vasto.

È questo tutto un ordine di idee verosimili, le quali però, più che alla scienza, appartengono ancora al regno sconfinato delle opinioni.

22. Dai cumuli stellari vanno essenzialmente distinte le nebulose. Anche queste appaiono come masse di materia cosmica, di color pallido, bianchiccio, simile a quello della Via lattea; anch’esse quasi nuvolette (nebulose) rompono l’oscurità del cielo, ma hanno questo di caratteristico, che sotto nessun cannocchiale si risolvono in stelle.

La costituzione delle nebulose, rimasta per lungo tempo un enigma, fu rivelata dallo spettroscopio. Il loro spettro è quello dei gas luminosi, ed è formato da 3 o da 4 righe lucide (tavola XXXVI, fig. 1 e 2), dimostranti che l’idrogeno è uno dei componenti loro principali. Le nebulose sono in uno stato fisico totalmente diverso da quello delle stelle e del Sole. Le stelle sono in istato di incandescenza, emettono raggi d’ogni specie, e solo una parte di questi è assorbita dalle loro atmosfere. Nelle nebulose la materia è in uno stato di mera combinazione chimica, così com’è nelle nostre fiamme, ed emette per conseguenza raggi di una o pochissime qualità.

23. Vi sono regioni del cielo specialmente ricche di nebulose; altre ne mancano interamente. Nella regione dove si radunano lo Scudo di Sobieski, il Sagittario e lo Scorpione, nella Vergine, in Andromeda ed in Orione s’incontrano le nebulose più splendide e le più grandi.

Al di sopra della stella β di Andromeda, verso il polo, v’è la nebulosa rappresentata dalla tav. XXXV così come appare nei forti cannocchiali. Ha forma ovale, tre regioni più splendenti, e, vicino ad una di queste, due righe nere. Le tre regioni più brillanti sono quelle che appaiono isolate e separate nei cannocchiali piccoli, e provengono da ciò che in esse noi proiettiamo maggior massa di materia nebulare. Le stelline, ond’è disseminata, pare non appartengano alla massa della nebulosa, ma solo sovr’essa si proiettino.

Sotto alle tre stelle splendide ζ, ε, δ, formanti la cintura di Orione, v’è una delle più strane e grandi nebulose. Meglio è rinunziare a descriverla. La sua struttura è così irregolare e complessa, che disegni diversi di essa fatti a mano e con cannocchiali diversi appena lontanamente si rassomigliano. La tavola XXXIV riproduce il disegno fattone da lord Rosse con un telescopio potente due volte e. più quello di Herschel; caratteristici sono in questo disegno quei fiocchi di luce viva, separati da venature nere.

Le stelle principali delle Pleiadi hanno ciascuna un nome proprio (tav. XXXI). Attorno a Merope (tav. XXXI, num. 4) si sviluppa una nebulosa brillante a forma di largo ventaglio; intorno a Maia (num. 6) un altro piccolo e meno lucido ventaglio nebuloso si svolge; l’intero cumulo delle Pleiadi è avvolto da una tenue massa nebulosa, di cui dapprima si videro solo le parti più brillanti, e che nei forti cannocchiali di oggigiorno appare così com’è disegnata nell’annessa tavola.

24. La diversa costituzione delle nebulose e delle [p. 52 modifica] stelle ha da tempo fatto pensare, che le nebulose sieno comparativamente più vicine al nostro Sistema che non le stelle. Se ciò fosse, le nebulose dovrebbero avere parallassi annue (parag. 10) più grandi che le stellari, e più facilmente osservabili. Finora a questo proposito le osservazioni poco dicono: la nebulosa del Dragone, numero 37 del quarto Catalogo di Herschel, pare abbia difatto una grande parallasse, ma altrettanto finora non può affermarsi di altre nebulose.

Più recise affermazioni permettono le osservazioni sulle nebulose di splendore variabile. Della variabilità della nebulosa di Tuttle nel Dragone oramai non si può più dubitare; alle nebulose variabili appartiene certamente quella che si svolge intorno alla stella η di Argo, e che la tavola XXXVII riproduce quale è vista in un forte cannocchiale.

25. Le nebulose del cielo si presentano sotto tutte le forme, dalla circolare all’ellittica alla più irregolare e fantastica, sotto tutte le grandezze, da alcuni gradi di diametro apparente fino a pochi secondi. Vi è la nebulosa semplice, che come una nebbia cosmica di forma e di splendore irregolare si proietta sul fondo del cielo (tav. XXXII); v’è la nebulosa multipla, o meglio formata da un gruppo di nebulose piccole, isolate e separate (tav. XXXII); v’è la nebulosa planetaria di forma regolare e di splendore uniforme, quale la nebulosa del Sagittario disegnata nella tav. XXXII, e che in piccoli cannocchiali somiglia al pianeta Giove visto attraverso a tenue nebbia; vi sono le nebulose annulari, che hanno colle planetarie qualche affinità, e fra le quali tipica è la nebulosa nella Lira, rappresentata dalla tavola XXXIII così come in piccolo si vede con un cannocchiale mediocre, e come in tutti i suoi dettagli con un cannocchiale grande; vi sono le nebulose stellari semplici (tav. XXXII) che dal contorno verso il mezzo vanno aumentando di luce, e che talora mostrano nel mezzo un nucleo d’aspetto stellare; vi sono le nebulose stellari multiple con entro la loro massa, e in posizioni talora dissimmetriche rispetto al mezzo, più punti di condensazione luminosa (tav. XXXII), o più nuclei stellari; v’è la nebulosa a ventaglio con al vertice un nucleo nella più gran parte dei casi stellare (tav. XXXII); vi sono le nebulose fusiformi, abbastanza numerose, e di struttura in generale complessa. La tavola XXXII rappresenta due di queste nebulose, ciascuna sotto due aspetti, secondochè si vede in un mediocre o in un forte cannocchiale. Vi sono fusiformi multiple formate da due, perfino da cinque nebulose minori, variamente inclinate le une rispetto alle altre, e tutte fusiformi; attraverso ad un cannocchiale potente, la fusiforme qualche volta si cambia in nebulosa a forma di spirale, analoga a quella nei Cani da caccia riprodotta dalla tav. XXXIII. Ivi di questa interessante nebulosa sono dati tre disegni, corrispondenti a tempi ed a cannocchiali diversi. Dapprima la si disegnò come formata da due nebulose isolate di diversa grandezza; poi la maggiore delle due fu vista come circondata da anelli diversi; finalmente la maggiore stessa, sotto ai potenti cannocchiali d’oggi, rivelò la sua struttura spirale.

Non pare che tutte queste forme diverse di nebulose sieno permanenti, ma le variazioni loro non poterono finora essere messe in evidenza incontrastabile dai disegni fatti a mano; lo saranno probabilmente dalle fotografie loro, ricche di dettagli, che la sensibilità straordinaria delle lastre, preparate con gelatina bromuro d’argento, permette ora di eseguire.

Molto si è pensato e scritto intorno a queste nebulose, ma un’ipotesi che tutte le spieghi, appaiano desse sferiche o irregolari o spiriformi, non si ha.

L’ipotesi, che meglio delle altre raggiunge questo scopo, è la recente ipotesi meteorica (parag. 17). Secondo essa, le nebulose, così come tutti i corpi dell’universo, sono sciami di meteoriti; i meteoriti non sono per sè medesimi luminosi, e lo diventano solo in grazia di urti e collisioni reciproche; i meteoriti vanno per l’universo a sciami, e la luce, che irradia da essi direttamente o dall’ardere dei gas da essi prodotti, può provenire solo da quelle parti dello sciame meteorico in cui avvengono collisioni; basta ammettere uno sciame in cui i meteoriti si rivolgano in orbite chiuse attorno ad un centro di gravità, e tutte le forme note di nebulose vengono ad essere spiegate.

Sventuratamente vi sono negli urti e nelle collisioni di meteoriti, negli svolgimenti di calore, di vapori, di gas, sui quali quest’ipotesi meteorica riposa, questioni ardue di meccanica, di fisica, di chimica finora insolute, e che potrebbero rendere inverosimile, forse impossibile, l’ipotesi stessa.

[p. XXXVII modifica]Nebulosa intorno a η di Argo. Tipi principali di spettri stellari. [p. XXXVIII modifica] Cielo Australe

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