Atlante Astronomico/I. Il Sole
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I. — IL SOLE.
Sole, macchie e facole quali appaiono in un cannocchiale con debole ingrandimento. Aspetto del Sole nei cannocchiali durante una sua eclissi totale. Connessione delle protuberanze colle macchie solari, (fig. schematica). Solite forme delle macchie solari minori. Struttura d’una macchia solare spiriforme (6 Maggio 1857). Variazioni d’una macchia solare osservate nei giorni 1, 2, 3 Aprile 1872. Vasta macchia solare osservata il 24 Dicembre 1873. Spettro solare colle principali righe di Fraunhofer.
1. Il Sole illumina i nostri orizzonti e dissemina sovr’essi colori vari, contrasti mirabili di luci e di ombre; riscalda la nostra atmosfera, i nostri terreni e vi eccita energie occulte, latenti, indispensabili alla vita che sotto forme molteplici si esplica nei regni vegetale ed animale; col suo moto apparente calmo ed imperturbato, col suo sorgere e col suo tramontare perpetuo segna il tempo che passa senza restare mai, ed è la base della Cronologia. Il Sole è luce, calore, energia, vita; astro benefico, fu in ogni tempo riguardato dagli uomini con sentimento religioso, adorato dai popoli primitivi, salutato da sacerdoti e da poeti con nomi pieni di misticismo, chiamato il Dio dalle chiome d’oro, il più potente dei re, il Dio degli dei, l’occhio splendente dell’universo, il ministro maggiore della natura...
2. Il Sole abbaglia, nè occhio d’uomo regge ai suoi dardi infocati. Per fissarlo bisogna usare un vetro piano affumicato; per guardarlo con un cannocchiale piccolo si deve apporre all’oculare di questo un vetro piano colorato; per osservarlo con uno dei grandi cannocchiali d’oggi giorno si ricorre ad un oculare polarizzatore, se ne guarda cioè l’immagine riflessa successivamente più volte, fino a renderla sopportabile ed innocua all’occhio.
La superficie luminosa, fotosfera, che apparentemente contermina il Sole, non è continua ed uniforme. È invece disuguale, sparsa di punti lucentissimi, granuli, separati fra loro da interstizii meno lucidi, per contrasto oscuri, quasi neri in apparenza. Più che una fotosfera, la si dovrebbe dire una rete fotosferica, poichè il suo fondo generale oscuro, disseminato di granuli lucidi, discontinui, presenta appunto l’aspetto di una rete a maglie molto minute.
I granuli, pel loro grande splendore, risaltano come punti di fuoco sulla fotosfera; se ne incontrano su questa per ogni dove; hanno un’esistenza propria e indipendente, ma hanno insieme una tendenza marcatissima a riunirsi, come se dominati da attrazioni reciproche; talora si radunano in gruppi di due, tre... dieci e formano grani pel loro aspetto detti di riso, talora si dispongono in lunghe serie e solcano la fotosfera con fili luminosi. Caratteri loro precipui sono lo splendore e la mobilità, e queste qualità caratteristiche essi comunicano alla fotosfera, la quale è sempre e tutta agitata da moti grandiosi, a intervalli violentissimi.
Della fotosfera solare e de’ suoi dettagli si ottengono da qualche anno belle fotografie. Sono prove che rappresentano il Sole come un disco largo 30 centimetri, che richiedono una durata di esposizione brevissima, di appena un duemillesimo di minuto secondo, che abbisognano di processi delicati e speciali sia nella preparazione delle lastre sensibili, che nello sviluppo delle immagini.
3. La luce solare è complessa, formata cioè dalla riunione di luci di colore diverso. Se infatti si fa passare un raggio di Sole attraverso una fessura sottile, e lo si fa cadere sopra un prisma di vetro, esso, attraversando il prisma, si decompone nei colori dell’iride, e produce una specie di nastro colorato, spettro, nel quale con bellissimo effetto (tav. II) il rosso, l’aranciato, il giallo, il verde, l’azzurro, l’indaco, il violetto si susseguono distinti. V’è una scienza che indaga e studia lo spettro del Sole, così come quello d’ogni altra sorgente di luce. I suoi strumenti sono gli spettroscopii, il suo nome è Spettroscopia; di essa i precipui fatti fondamentali sono i seguenti.
Lo spettro del Sole, visto con un cannocchiale, appare solcato trasversalmente da sottili righe oscure, righe di Fraunhofer (tav. II), le quali conservano sempre fra di loro i medesimi rapporti d’ordine e di intensità, ed occupano sempre le stesse posizioni relativamente ai colori dello spettro. Lo spettro prodotto dai vapori incandescenti di un metallo è un nastro, una fascia oscura interrotta da righe trasversali lucide e colorate, righe di Wheatstone (tav. III), le quali hanno caratteri speciali di posizione e di colore dipendenti dalla natura del metallo dal quale emanano. Sono così marcati questi caratteri, che si possono facilmente distinguere i metalli gli uni dagli altri per mezzo dello spettro da essi prodotto.
Ogni sostanza assorbe quei raggi medesimi, cui essa emetterebbe se fosse in istato luminoso. Il sodio ad esempio allo stato luminoso produce nello spettro due righe gialle caratteristiche, allo stato di vapore, attraversato da un raggio di luce prima che questo raggiunga il prisma, produce nello spettro righe oscure esattamente là dove prima produceva le gialle; le righe lucide e gialle dapprima si cambiano, si rovesciano in righe oscure dappoi; l’idrogeno ha fra l’altre una riga rossa caratteristica, la riga C dello spettro nella tav. III, e questa pure si rovescia in una riga oscura, la riga C della tav. II.
Ogni materia semplicemente incandescente dà uno spettro continuo; quando si ottiene uno spettro discontinuo si ha certamente a fare con materia gasosa.
4. Coi pochi principii di Spettroscopia esposti non è difficile rendersi ragione del come siasi potuto dimostrare nel Sole l’esistenza di alcuni dei metalli terrestri, del sodio, del potassio, del magnesio... Basta a ciò osservare contemporaneamente, giustapporre lo spettro di uno di questi metalli bruciato ad un’alta temperatura e quello del Sole. Se una riga oscura di questo corrisponde ad una lucida del primo, forza è ammettere che il raggio luminoso partito dal Sole ha attraversato un’atmosfera contenente vapore di quel metallo stesso, e che nel Sole questo vapore metallico esiste.
Per tal modo vengono implicitamente ad essere insieme spiegate le righe oscure di Fraunhofer nello spettro solare. Esse sono una conseguenza dei vapori metallici esistenti sul Sole, i quali assorbono parte della luce che dal Sole emana; sono righe lucide dello spettro del Sole assorbite, rovesciate in oscure dai vapori metallici solari.
Sul Sole esiste quindi una superficie o meglio uno strato splendente, di temperatura altissima, che emette luce d’ogni natura. Al disopra di esso un altro strato esiste, di temperatura meno alta, ma tale ancora da mantenere allo stato di vapore metalli che sulla Terra s’incontrano allo stato solido. Lo strato lucido e di elevatissima temperatura è la fotosfera stessa; lo strato di meno alta temperatura, che avvolge la fotosfera, è il così detto strato o guscio di rovesciamento.
La fotosfera irradia luce d’ogni natura, e produce lo spettro luminoso del Sole; il guscio di rovesciamento assorbe co’ suoi vapori parte dei raggi lucidi irradiati dalla fotosfera sottoposta, e produce le righe oscure dello spettro. La fotosfera che, oltre ad una altissima temperatura, ha una grande mobilità, molto probabilmente deve il suo potente splendore a nubi agitantisi in un mezzo trasparente, nubi formate da vapori di sostanze metalliche a temperature altissime, e per sè stesse luminose. La fotosfera è una nebbia lucente.
Il guscio di rovesciamento avvolge la fotosfera, è assai sottile, è quasi un’atmosfera formata di vapori metallici a temperature meno alte di quelle proprie alla fotosfera. Esso irradia una luce meno potente della fotosferica, e a fronte di questa scompare. Per qualche tempo si ammise che in esso tutto succedesse l’assorbimento causa delle righe di Fraunhofer. Taluni pensano ora invece che parte di questo assorbimento abbia luogo ad un livello più alto di quello del guscio di rovesciamento. Secondo costoro l’assorbimento della luce, che emana da un dato materiale della fotosfera, succede per gradi ed in istrati ad altezze diverse, e questi assorbimenti speciali, insieme riuniti, dan luogo al fenomeno completo accusato dalle righe di Fraunhofer.
5. I granuli, i grani di riso, i filamenti lucidi, la struttura retiforme sono i dettagli minori della fotosfera, rivelati solo da cannocchiali potenti. Le macchie e le facole invece sono già dominio di piccoli cannocchiali. Le facole (tav. I) appaiono più facilmente distinte verso il contorno del disco solare; così come i granuli hanno uno splendore vivissimo, e per esso risaltano sullo stesso fondo lucente della fotosfera; sono lunghe, sottili, ramificate, quasi venature lucide della fotosfera. Le macchie (tav. I) saltano all’occhio pel loro colore oscuro, e per la loro struttura complessa; sono sparse qua e là irregolarmente, talora isolate, talora a gruppi, spesso piccole in apparenza, a volte molto vaste; si sono osservate macchie larghe anche due minuti primi d’arco, la sedicesima parte circa del diametro apparente solare; si sono visti gruppi di macchie che di questo diametro prendevano più che la quarta parte. Le macchie del Sole furono in Italia scoperte da Galileo nel 1610, e con esse cominciarono le ricerche sistematiche sulla costituzione fisica del Sole.
Verso il mezzo delle macchie v’è sempre uno spazio oscurissimo e a contorno irregolare (nucleo); attorno al nucleo svolgesi una zona meno oscura (penombra), luminosa a mezzo, scanalata e prodotta da correnti di luce fotosferica separate da intervalli oscuri; un anello brillante accerchia la penombra, anello che splende più della fotosfera attigua, quasi un argine rilevato composto di numerose facole. È questa la macchia tipica, alla quale più o meno soltanto si avvicinano le forme ordinarie delle macchie osservate (tav. II), e ciò perchè queste forme di rado, anche per una stessa macchia, sono permanenti. Esse mutano sempre, sconvolte da moti intestini rapidi e vigorosi.
Alcune macchie si formano lentamente, altre appaiono d’un tratto. In alcune macchie le correnti della penombra convergono regolari verso il contorno del nucleo, in altre appaiono tortuose, fratturate, aggirate, contorte come una matassa di fili attorcigliati (tav. II: macchia spiriforme del 6 Maggio 1857). Talora in una stessa macchia, e nucleo, e penombra, e tutto varia con una rapidità appena credibile (tavola II: macchia dell’Aprile 1872). A volte le grandi macchie sembrano dividersi realmente; la materia luminosa si precipita dal contorno della penombra verso l’interno del nucleo, e forma attraverso al medesimo, dividendolo in più parti, dei veri ponti di vivo splendore (tav. II: macchia del 24 Dicembre 1873). Senza dubbio le macchie sono conseguenze di forti agitazioni nella materia che compone il Sole, di burrasche che scuotono ed agitano la massa solare in una estensione considerevolissima. Nessuna maraviglia quindi che le forme loro sieno tanto mutabili, e si presentino accompagnate da dettagli che variano all’infinito.
6. La distanza che separa il Sole dalla Terra varia da giorno a giorno, ed il suo valore medio si ritiene ora generalmente uguale a 148,7, in numeri rotondi a 149 milioni di chilometri. Esiste tuttora in questo valore una incertezza grave, e che può stimarsi un duecentesimo del valore stesso, ma da questa incertezza può farsi astrazione nelle considerazioni elementari seguenti. Un angolo ampio un minuto secondo d’arco abbraccia coi suoi lati alla distanza del Sole una lunghezza di 720,7 chilometri; eppure esso è qualche cosa d’invisibile all’occhio nudo, è l’angolo sotto cui si vedrebbe un millimetro portato alla distanza di 206 metri dall’occhio, un decimo di millimetro alla distanza di metri 20,6.
I grani di riso della fotosfera, dei quali la grandezza apparente, ossia l’angolo sotto cui si vedono, oscilla fra uno e due secondi d’arco, in realtà hanno dimensioni che vanno da 720 a 1440 chilometri; i granuli, gli ultimi elementi visibili della fotosfera, grandi apparentemente una frazione di secondo d’arco, misurano in realtà centinaia di chilometri; le macchie maggiori, coi loro diametri apparenti di due minuti primi d’arco, sono in realtà larghe 86484 chilometri. Importa ripensare un istante questi pochi numeri, se si vuole avere in mente un concetto chiaro e concreto di quel che ancora siano gli ultimi dettagli che l’uomo vede sul Sole, e delle grandiose perturbazioni della materia solare alle quali accennano le macchie.
7. Oltre ai moti intestini che ne agitano la massa, le macchie hanno ancora alcuni movimenti sistematici, ai quali tutte indistintamente obbediscono. Così le acque dei nostri oceani, pure essendo talora sconvolte da intestine e gagliarde burrasche, non tralasciano perciò di partecipare alla rotazione generale della Terra intorno al proprio asse.
Alcune macchie, delle altre più tranquille e durature, vedonsi sorgere sull’orlo sinistro del Sole, muoversi lentamente verso l’orlo opposto, raggiungerlo il tredicesimo giorno dalla loro prima apparizione e scomparire dietr’esso. Tutte le macchie senza eccezione hanno un movimento analogo, il quale non può che appartenere all’intera massa del Sole, e dal quale si parte appunto per determinare la durata della rotazione di questo.
Il Sole, come la Terra, ruota intorno a sè stesso; la rotazion sua, per chi lo guarda dalla Terra, si fa da sinistra a destra intorno ad un asse inclinato all’eclittica, ossia al piano dell’orbita terrestre, di un angolo quasi retto (82° 45’), e si compie in un tempo ritenuto in media uguale a 25,38 dei nostri giorni, press’a poco 25 giorni e 9 ore. Questa durata della rotazione solare è però molto incerta, nè intorno ad essa l’ultima parola fu ancora pronunziata. La ragione sta in ciò, che le macchie, fenomeni complessi e stranamente intralciati in tutto, non lo sono meno nei loro moti sistematici.
Anzitutto esse non danno una stessa velocità angolare di rotazione per tutti i paralleli del Sole. Mentre all’equatore solare la durata della rotazione data dalle macchie è di 25,2 giorni, a 45 gradi di latitudine essa è di giorni 27,7. Direbbesi che la velocità angolare di rotazione del Sole va diminuendo dall’equatore ai poli, ma anche questo può dirsi solo per induzione e non con certezza, poichè al di là di 52 gradi di latitudine non furono mai osservate macchie, nè mai si potè quindi verificare la rotazione del Sole vicino al suo polo.
Le macchie sono rarissime al di là del trentesimo grado di latitudine solare, rare del pari verso l’equatore, e si mostrano in più gran quantità in due zone, poste simmetricamente a nord ed a sud dell’equatore stesso, fra il decimo e il trentesimo grado di latitudine. Le macchie hanno anche in latitudine alcuni movimenti sistematici. Fra 5 e 20 gradi di latitudine nord, fra 10 e 15 di latitudine sud tali movimenti sono diretti verso l’equatore, trasportano cioè le macchie verso quest’ultimo. Fra 20 e 35 gradi di latitudine boreale, fra 15 e 30 di australe essi sono invece diretti verso il polo. I movimenti sistematici delle macchie paiono inoltre essere più rapidi nel periodo di loro formazione.
La grande complessità di tutti questi moti cospira colla grande mutabilità delle forme osservate per fare delle macchie un problema difficilissimo ed insoluto in gran parte, nè la scienza intorno ad esse, i fatti osservati esclusi, può gran che affermare con sicurezza. Certo è solo che lo spettro delle macchie è, con poche e piccole differenze, solcato trasversalmente dalle stesse righe oscure che lo spettro ordinario del Sole, e che nelle regioni delle macchie si hanno quindi le stesse emanazioni di luce e gli stessi assorbimenti che sulla rimanente fotosfera. Probabilissimo è ancora, quasi certo anzi, che le macchie sono cavità, e che le facole, i granuli e simili sono nella fotosfera ad un livello più alto che non esse. Probabile è infine che esse sieno semplici soluzioni di continuità, squarciature in quello strato di nubi e di vapori luminosi dai quali risulta la fotosfera, e che il nucleo loro sia la sede di una forza di aspirazione che attira le masse circostanti, le assorbe e le dissolve. In questa ipotesi, che è la più generalmente ammessa, ma che ha essa pure il suo lato vulnerabile, le macchie sarebbero causate da colonne di gas che erompono dalle regioni solari sottoposte alla fotosfera, dall’interno stesso della massa solare con una temperatura molto superiore a quella della fotosfera stessa. Queste colonne calde, ascendenti aspirano e richiamano i materiali fotosferici attigui, e questi, che sono in istato di vapori condensati, entrando in una corrente di più alta temperatura, riprendono il loro stato di fluidi elastici, e divengono invisibili (oscuri) diventando trasparenti.
8. Non ogni mese nè ogni anno apporta con sè apparizioni analoghe di macchie; il numero di queste varia anzi di anno in anno in modo regolare e periodico, prendendo nell’intervallo di 11 anni circa (11,11) un valore massimo ed uno minimo. Questo periodo undecennale non va preso però in senso troppo stretto e rigoroso; esso più che altro è un periodo medio, dal quale ogni periodo singolo generalmente devia d’assai. Si ebbero massimi di macchie separati da un intervallo di 16 anni e mezzo, se ne ebbero altri lontani solo 7 anni e mezzo, e questi periodi più brevi si distinsero per maggiore intensità di fenomeni maculari.
La periodicità delle macchie suppone variazioni periodiche nell’intensità dei commovimenti della materia solare che ne sono la causa, o, come suolsi dire, nell’attività solare. Di quale natura sieno queste variazioni non è ben chiaro, tanto più che esse, oltre che al periodo undecennale, paiono soggette a due altri periodi, l’uno di 55, l’altro di 222 anni. Non è inverosimile che la formazione delle macchie dipenda in qualche modo dalle posizioni rispettive dei pianeti, ma quest’idea, sostenuta già da Galileo e certo non priva di fondamento, non può dirsi per ora abbastanza dimostrata.
Le macchie devono necessariamente influire sulla intensità delle irradiazioni luminose e termiche del Sole, ma in qual modo e misura influiscano bene non si sa, nè meglio si conosce ancora quali influenze esse poi abbiano sul nostro tempo. Pare che i massimi di macchie sieno accompagnati da più copiose pioggie e da più intensi commovimenti della nostra atmosfera, ma le dimostrazioni che si danno di queste corrispondenze non mancano di lati deboli. Certo è solo che il periodo di 11 anni, al quale obbediscono le apparizioni delle macchie, coincide assai bene colla variazione della forza magnetica terrestre. Di qual natura sia il vincolo che lega i due ordini di fatti è tuttora un arcano, sostenendo alcuni un’azione diretta del Sole sul magnetismo terrestre, sostenendo altri che il Sole, solo in modo indiretto, può fare su di questo sentire la sua azione.
9. La Luna, portata dal suo moto, viene di quando in quando a porsi esattamente fra la Terra ed il Sole, in modo da coprire col suo corpo opaco l’intero disco solare, e totalmente offuscarlo per alcune regioni terrestri. Succede allora un’eclissi totale di Sole; a poco a poco la Luna si avanza sul disco solare, e appena l’ultima falce di questo scompare, comincia la fase detta totalità, fase che dura poco, sei minuti primi al più, ordinariamente due circa. E un fenomeno abbastanza frequente ed attraentissimo, e del quale una delle figure della tav. I e la tav. XII danno qualche concetto concreto. Il cielo assume un color plumbeo speciale, e solo all’orizzonte appare di un rosso-aranciato insolito; le stelle maggiori brillano qua e là; la temperatura dell’aria discende di qualche grado; alcune nubecule si disseminano per l’orizzonte; una brezza sensibile prende a spirare; qualche cosa di indefinibile serpeggia negli animali e in tutta la natura vivente. Questo l’ambiente generale, il fondo del quadro. Nel suo mezzo, al posto del Sole, campeggia il corpo opaco della Luna, coll’apparenza d’un disco color nero d’inchiostro, circondato da un’aureola (corona) debolmente luminosa, bianca, argentea, qualche volta perfettamente simmetrica1, qualche altra stranissimamente dissimmetrica, nel suo insieme un’apparenza brillante sempre. Risulta d’un sottile anello bianco argenteo vivo, aderente al contorno del disco lunare; da esso anello partono raggi pallidi, divergenti, che si protendono a distanze diverse e variabili; in esso qua e là fiamme rosee (protuberanze) prendono tratti diversamente lunghi del contorno del nero disco lunare, quasi montagne e catene infocate che da questo si innalzino. E corona e protuberanze sono parti del Sole ordinariamente invisibili; la luce soverchia, non le tenebre, nasconde in questo caso il vero.
10. La luce delle protuberanze appare semplice (monocromatica), ma non è abbastanza intensa per vincere la luce diurna diffusa nella nostra atmosfera. Nel 1868 si pensò che, smorzando in qualche modo quest’ultima, sarebbesi resa sensibile e visibile la prima, e si trovò che a raggiungere questo scopo bastava l’uso dello spettroscopio. Da quel giorno le protuberanze diventarono fenomeni suscettibili di osservazioni continue; tenendo la fessura dello spettroscopio tangente o perpendicolare all’orlo del Sole si potè constatare ad ogni momento la loro presenza; aprendo alquanto la fessura stessa si riuscì a vedere collo spettroscopio la loro immagine completa; con opportune modificazioni dello spettroscopio si potè osservare ad un tempo le macchie, una parte del disco solare e le protuberanze. Si potè allora dimostrare che quei tratti rosei, visti durante le eclissi, fanno parte di un anello continuo (cromosfera), che avvolge da ogni parte il Sole, e dal quale le protuberanze si sollevano. E cromosfera e protuberanze sono parti integrali del Sole; quella come un guscio ne avvolge lo strato dì rovesciamento e la fotosfera, queste si staccano dalla cromosfera e sono un fenomeno solare ordinario.
Le protuberanze hanno uno spettro discontinuo (tav. III) nel quale predominano le righe caratteristiche dell’idrogeno. Di ogni protuberanza si ottengono nello spettroscopio tre immagini (una rossa, Forme diverse di protuberanze. Forme diverse di protuberanze. Rapide variazioni di una protuberanza osservate il 7 Settembre 1871 nell’intervallo di 25 minuti. Gruppo di protuberanze massime. Spettro delle protuberanze. una verde, una azzurra intensa) corrispondenti ad altrettante righe lucide dell’idrogeno; ma di queste la rossa-carminio corrispondente alla riga C (tav. III) è di gran lunga la più intensa e viva, ed è quella che ne caratterizza il colore e che sempre si riproduce nei disegni (tav. III). Analogo è lo spettro della cromosfera, ed essa e le protuberanze sono quindi masse gasose, formate in gran parte d’idrogeno. Questo rappresenta il loro materiale costante e che non manca mai, ma dell’una e delle altre la composizione chimica è assai più ricca. Si incontrano nei loro spettri di frequente le righe lucide corrispondenti al magnesio, al ferro, al sodio, al titanio, al calcio, al bario, al nichelio, al cromo, al rame, e sempre si incontra inoltre vicino alle righe del sodio, più a destra di esse, una riga gialla, per qualche tempo colla D (tav. II) del sodio confusa, ed ora distinta colla lettera Ds (D nella tav. III), riga caratteristica d’una materia ignota sulla Terra e che gli astronomi chiamano helium. L’idrogeno e l’helium sono i due costituenti principali e costanti della cromosfera e delle protuberanze, le regioni per data di scoperta più recenti del Sole.
La cromosfera alla sua base appare terminata regolarmente in arco circolare; alla sommità sua si mostra ordinariamente irregolare; la sua struttura è filamentosa, quasi risultasse da un fascio di tanti getti sottili di luce; il suo splendore varia nelle diverse sue parti e nei diversi tempi, ed è comunemente intensissimo nelle località delle macchie; la sua altezza varia essa pure nelle diverse parti del contorno solare: ordinariamente più alta vicino ai poli che non all’equatore, non supera in generale i 12 secondi d’arco (8648 chilometri) ed ha oscillazioni corrispondenti al diverso grado di attività solare. Essa è qualche cosa di caratteristico pel Sole, e la sua distribuzione irregolare sulla superficie di questo, e la sua struttura ne fanno un oggetto ben distinto da una atmosfera nel senso ordinario della parola: probabilmente essa è prodotta da eruzioni continue.
Nella indefinita varietà di forme delle protuberanze (tav. III) si fanno principalmente notare i tipi seguenti: getti ben definiti, sottili ed isolati; getti riuniti in gruppi; getti con diramazioni e diffusioni; getti a grande sezione, colonne o piramidi nuvolose isolate; getti e colonne nuvolose riunite a gruppi, intrecciate alla sommità da archi nuvolosi; masse nuvolose irregolari appoggiate sul disco solare; masse o nubi staccate dal contorno del Sole. Fra quelle che han forma di nubi e quelle che di fiamma vi sono differenze caratteristiche; le prime sono formate solo di idrogeno e di helium, le seconde hanno composizioni chimiche più ricche: queste sono connesse colle macchie, hanno lo stesso periodo, e sono limitate pressoché alle stesse zone; quelle arrivano sino ai poli. Le fiamme, e in generale le protuberanze alte corrispondono a regioni fotosferiche nelle quali notansi le maggiori facole, sì che le une e le altre paiono legate da un qualche vincolo (fig. schem. della tav. I). Le protuberanze si spingono ad altezze apparenti notevoli: sopra cento, 18 raggiungono o superano l’altezza d’un minuto primo d’arco (43242 chilometri); sopra mille, 28 circa raggiungono o superano l’altezza di 2 primi; sopra dieci mila, 47 circa raggiungono o superano l’altezza di 3 primi; sono straordinarie ed eccezionali le altezze loro superiori a 4 primi, e le loro altezze massime stanno fra i 6 ed i 7 primi.
Nelle protuberanze si osservano movimenti di straordinaria velocità, trasporti vertiginosi di materiali. Esse non possono essere semplici sollevamenti della cromosfera, nè i loro fenomeni possono spiegarsi colla diffusione e coll’espansione di gas in un mezzo rarefatto. Esse sono vere esplosioni del corpo solare, e i loro materiali di eruzione pare portino nel proprio seno cause gagliarde, elettriche forse, di smembramento e di dissoluzione.
11. Per lungo tempo si ebbero intorno alla corona (tav. XII) opinioni divise, ritenendola alcuni un fenomeno d’origine terrestre, attribuendola altri del tutto al Sole. Durante l’eclissi del 1871 fu provato che lo spettro della corona presenta alcune delle righe di Fraunhofer, e contiene inoltre parecchie righe lucide, fra l’altre le righe dell’idrogeno ed una riga verde di materia ignota (coronio), la riga 1474 dello spettro di Kirchoff. La corona non è quindi un’apparenza ottica, non è un semplice fenomeno di riflessione o di diffrazione, nel qual caso il suo non potrebbe essere che uno spettro solare pallido ed indebolito. Essa è un fenomeno d’origine interamente e unicamente solare, e, al di sopra della fotosfera e della cromosfera, essa forma un ultimo guscio attorno al Sole. La sua costituzione è complessa: risulta in parte di gas lucenti, in ispecie di idrogeno e di coronio, in parte di materiali minutissimi i quali splendono di luce continua così riflessa come propria. Ne è prova lo spettro suo nel quale i caratteri dello spettro solare sono affatto secondarii, e nel quale si riproducono integralmente i caratteri dello spettro dei gas delle protuberanze e della materia ignota coronio.
La corona col cambiare dell’attività solare muta e spettro e forma. Quando le macchie sono in un momento di minimo, quando la cromosfera essa pure è in istato di quiete relativa e le protuberanze sono poche e piccole, vedonsi appena nello spettro coronale le sue righe lucide, e l’attenzione degli osservatori è per intero attratta dallo spettro continuo prodotto dalla luce emessa o riflessa dai rimanenti materiali minutissimi solidi o fluidi della corona. Quando l’attività solare si esalta, quando il numero delle macchie è massimo e la superficie del Sole è in pieno sconvolgimento, allora impallidisce, scompare quasi dallo spettro coronale lo spettro continuo, ed in esso diventano invece cospicue e predominanti le sue righe lucide. Direbbesi che gli elementi gasosi della corona ora sospinti da gagliarde ripulsioni si spingono a grandi altezze nella corona, ora obbediscono invece all’attrazione del Sole, discendono e si raccolgono nelle parti basse della corona stessa; nell’un caso le loro righe lucide divengono predominanti nello spettro, nell’altro si affievoliscono e quasi scompaiono.
Anche l’aspetto generale della corona muta, se diversamente intensi sono i commovimenti della fotosfera e della cromosfera solare. Durante le eclissi che avvengono nel periodo della massima attività solare, essa acquista un maggior splendore, e si svolge quasi simmetrica tutt’attorno al Sole. Se l’eclissi succede in un momento di minimo delle macchie, essa appar più pallida, e stranamente dissimmetrica rispetto al contorno del Sole. Appunto durante queste ultime eclissi si sono veduti slanciarsi al di sopra del contorno esterno della corona, a distanze grandissime, degli strascichi immensi (tav. XII) di luce persistente (pennacchi). Quel che precisamente sieno questi pennacchi la scienza non lo sa ancora. Se sieno una dipendenza della corona oppure sciami meteorici che gravitino attorno al Sole, se abbiano o no qualche attinenza reale colla luce zodiacale (cap. V par. 10) a cui per più riguardi somigliano, non si sa dire. Finora non si è trovato modo sicuro di osservare la corona indipendentemente dalle eclissi. Qualche tentativo fatto per fotografare di pieno giorno la corona non riuscì appieno, e questo necessariamente fa che con maggior lentezza si svolgano le nostre cognizioni intorno alla corona. Certo è che essa fa parte integrante del Sole, ma che non è di questo un’atmosfera propriamente detta. Essa non preme sulla superficie del Sole, nè esercita sui proprii elementi gasosi una pressione crescente coll’avvicinarsi dei medesimi alla superficie stessa; essa non prende parte alla rotazione del Sole, e i materiali onde risulta devono essere tenuissimi, sì che le comete (cap. IV par. 6) li attraversano senza risentire perturbazioni sensibili.
12. Il Sole riscalda, e lo insegna a tutti l’esperienza d’ogni giorno. Si è provato che i raggi solari, i quali cadono verticalmente sopra un centimetro quadrato di superficie terrestre, sono capaci in un minuto di tempo di aumentare di un grado centigrado la temperatura di quasi due (1,7633) grammi d’acqua, e questa quantità di calore fu chiamata la costante solare. Dietr’essa fu calcolato, che il calore solare ricevuto dalla Terra durante un anno basterebbe a sciogliere un guscio di ghiaccio spesso metri 30,89 che tutta avvolgesse la superficie terrestre. Le ricerche recenti portano il numero 1,7633 a 2,54, a 2,85 e anche più, e tutte accennano a dare un maggiore piuttosto che minor concetto dell’energia termica del Sole.
Si direbbe cosa facile risalire da questo calore, che il Sole irradia e che l’esperienza dimostra, alla temperatura solare. Così non è. Noi possiam dire di ignorarla ancora questa temperatura, poichè le numerose ricerche fatte intorno ad essa conducono a risultati concreti troppo discordi, a numeri che da una parte oscillano fra 1398 e 20380 gradi centigradi, dall’altra cominciano da 4 milioni di gradi e vanno fino a 7 milioni e assai più. La ragione precipua sta in questo, che noi non conosciamo ancora il rapporto fra la temperatura di un corpo e il suo potere di irradiazione, e che l’esperimento nulla può insegnarci circa questo rapporto che possa con sicurezza applicarsi al Sole, tanto potente è in questo l’energia termica e tanto è superiore alle energie sperimentabili. Un’altra ragione, sebbene di minor importanza, sta ancora in ciò che il Sole splende meno verso il suo contorno, più verso il mezzo del suo disco, fatto il quale accenna ad un assorbimento (di cui la misura ci è ignota) della luce e del calore fotosferico solare prodotto da un mezzo che del Sole avvolge la fotosfera.
Si tentò di risalire alla temperatura del Sole partendo, non dal suo calore irradiato, ma dalla teoria meccanica del calore e dai getti di materia gasosa, quali le protuberanze, che sul Sole si osservano. Anche per questa via si ottennero però risultati troppo diversi fra loro, poichè non bene si conoscono le circostanze di fatto che accompagnano lo svolgimento delle protuberanze.
Del Sole, pel punto di vista stesso dal quale siam costretti a studiarlo, noi conosciamo poco più che i fenomeni superficiali. Grazie alla diafanità della corona e della cromosfera, il nostro occhio può spingersi fino alla fotosfera, ma oltre questa tutto è occulto. Risalire dai fenomeni superficiali, imperfettamente noti, alla intiera massa del Sole, dire, anche solo a grandi tratti, quale sia la costituzione fisica di esso, diventa quindi un problema difficilissimo, e intorno al quale più che il vero si professano opinioni. Sommariamente le principali fra le teorie fisiche del Sole si possono così schizzare.
Il Sole è un corpo freddo ed oscuro, circondato da un sottile guscio gasoso, nel quale forze fisiche speciali svolgono incessantemente luce e calore. Dal suo nucleo solido partono eruzioni gasose, che formano le macchie.
Il Sole è un globo liquido incandescente, sul quale appaiono delle scorie, come sopra un bagno di metallo in fusione.
Il Sole è una massa gasosa ad una temperatura di milioni di gradi, continuamente agitata da eruzioni: le sue macchie sono dovute direttamente a queste eruzioni, o indirettamente alle deiezioni loro.
La temperatura eccettuata, il Sole è fatto come la Terra: esso ha un’atmosfera come la nostra, dei venti alizei come i nostri, delle nubi come le nostre, anzi delle nubi sovrapposte.
Il Sole ha la sensibilità, l’impressionabilità delle materie esplodenti, e le più deboli azioni, quelle ad esempio dei pianeti Giove, Terra, Venere, bastano ad eccitare i fenomeni grandiosi della sua superficie.
Il nucleo solido e freddo del Sole è circondato da più gusci gasosi. Nel guscio esterno, sotto l’influenza di venti costanti, si formano dei turbini, che penetrano talora nei gusci sottoposti, nella fotosfera cioè e nella regione delle penombre.
Il Sole è un corpo riscaldato dall’urto incessante dei meteoriti che cadono sulla sua superficie.
Il Sole è un corpo combustibile, che da un certo tempo brucia in un’atmosfera ossidante.
Ci vorrebbe un volume a fare di queste teorie una rassegna critica. Tutte, quali più quali meno, hanno un fianco vulnerabile; due fra esse sono le più universalmente oggi accettate: quella che fa del Sole un globo liquido incandescente, l’altra che lo ritiene una massa gasosa. Il Sole gasoso ha anzi il più gran numero e i più strenui difensori.
Liquido o gasoso che sia il Sole, è desso una sorgente di luce e di calore inesauribile? A questa domanda, così grave e così importante per l’avvenire della vita sulla Terra, la scienza non può dare finora una risposta adeguata. Anche intorno ad essa non si hanno che opinioni più o meno fondate. Alcuni pensano, e non senza gravi ragioni, che il Sole deve col tempo necessariamente spegnersi, che nel Sistema solare esistono soltanto le condizioni di stabilità meccanica, che in esso, spento il Sole, si spegnerà la vita, e che allora esso continuerà ad esistere come Sistema spento. Pensano altri che il calore del Sole possa dipendere da uno di quei circoli non infrequenti in natura, e che il calorico da esso irradiato, invece che andar disperso nello spazio e perduto irrevocabilmente pel nostro Sistema, ad esso Sole torni sott’altra forma, per ivi continuare e perpetuare l’irradiamento incessante di luce e di calore. Non è possibile affermare che la ragione intiera stia dall’una piuttosto che dall’altra parte; questo solo si può affermare a sollievo dell’umanità affannosa, ed è, che, se la temperatura del Sole varia, essa finora varia solo di quantità insensibile ai nostri mezzi di osservazione. Nè la Cina, nè la Palestina, nè la Grecia, nè il Mar Nero, nè l’alto Egitto hanno in migliaia d’anni cambiato sensibilmente, quanto a temperatura, di clima. Si può dimostrare, per mezzo del moto di rotazione della Terra rimasto uguale a sè stesso fin dai tempi di Ipparco, che in due mila anni e più la temperatura generale della massa terrestre non ha pur variato di un decimo di grado.