Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/312
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Anno di | Cristo CCCXII. Indizione XV. MELCHIADE papa 3. MASSENZIO imperadore 7. COSTANTINO imperadore 6. LICINIO imperadore 6. MASSIMINO imperadore 6. |
FLAVIO VALERIO COSTANTINO AUGUSTO per la seconda volta e PUBLIO LICINIANO LICINIO AUGUSTO per la seconda.
Tali furono i consoli per le Gallie e per altri paesi, dove regnava Costantino, e nell’Illirico, dove dominava Licinio. Andavano d’accordo insieme questi due imperadori. Ma in Roma, per attestato d’Idacio3020 e del Catalogo Bucheriano3021, fu console il solo Massenzio per la quarta volta. In Oriente credono alcuni che procedessero consoli Massimino Augusto e Picenzio. Fu in quest’anno prefetto di Roma Aradio Rufino. Fra tanti imperadori cavati dall’aratro e dalla zappa, che in questi tempi governarono, o, per dir meglio, divisero e lacerarono l’imperio romano, niuno, a mio credere, fu più pernicioso e pestilente di Massenzio e di Massimino; l’uno signoreggiante in Roma, nell’Italia e nell’Africa; e l’altro nell’Oriente. Ne ho per testimonio Aurelio Vittore3022 e lo stesso Zosimo3023, nemico di Costantino, oltre agli storici cristiani che, parlano a lungo delle loro scelleraggini. Sopra gli altri Lattanzio3024 descrive la lascivia incredibile di Massimino e le violenze da lui usate. L’autore incerto3025 del panegirico di Costantino ed Eusebio3026 ci fan sapere gli enormi vizii di Massenzio, tali che possono far orrore a chiunque legge; sì sfrenata era la sua libidine, barbarica la sua crudeltà, non solo nella Africa, come abbiam detto, ma nell’Italia ancora e in Roma stessa. Niuna matrona era ivi sicura dalle unghie di questo avvoltoio3027. La moglie dello stesso prefetto di Roma, cristiana di religione, per sottrarsi alla di lui bestiale violenza, si cacciò un pugnale nel petto e morì: azione gloriosa bensì secondo la morale de’ pagani, ma non già secondo quella de’ Cristiani. Le estorsioni poi fatte da Massenzio per adunar tesori con disegno di valersene a far guerra a Costantino, e per tener contente ed allegre le sue milizie, furono innumerabili, perchè continue. Tutto dì saltavano fuori calunnie contra dei benestanti e de’ medesimi senatori; ed oltre ai lor beni vi andava anche la vita, di maniera che il senato restò spogliato dei suoi più illustri soggetti. Potevano poi i soldati a man salva commettere quante iniquità volevano contra l’onore, la vita e i beni degl’innocenti, perchè la giustizia per conto loro avea affatto perduta la voce e le mani. Lo stesso, che in Roma, si praticava per tutta l’Italia dai suoi perversi ministri. Giunse Massenzio per questa via in meno di sei anni a spogliar Roma e le provincie italiane di tutte le ricchezze adunate dai popoli in più di dieci secoli addietro3028. Fu fatto anche in Roma un giorno un gran macello di cittadini romani per leggerissima cagione. Forse fu quella, di cui Zosimo3029 fa menzione, dicendo che attaccatosi il fuoco in Roma al tempio della Fortuna, perchè uno de’ soldati metteva in burla quella falsa deità, i Romani accorsi a folla per ismorzar l’incendio, se gli avventarono addosso e l’uccisero, Di più non vi volle perchè gli altri soldati ammutinati facessero una fiera strage di que’ cittadini, e se non accorreva Massenzio, la città affatto periva. Anche Nazario3030, anche Prudenzio3031 ci lasciarono un vivo ritratto del compassionevole stato di Roma sotto di questo tiranno, impudico, crudele, assassino delle sostanze altrui, e dato alla magia per la folle speranza di scoprir l’avvenire: nel che quanto egli s’ingannasse fra poco apparirà. Intanto l’Augusto Costantino con segrete lettere veniva sollecitato dai Romani a calare in Italia, per liberarli dall’insoffribil tiranno; ma quello che finalmente diede la spinta alle di lui armi, fu l’udire che Massenzio era risoluto di muovere a lui stesso guerra, con lasciarsene anche intendere dappertutto, e mirabil preparamento faceva a tal fine, fingendo di voler vendicare la morte di Massimiano suo padre. Un gran dappoco3032, un figlio della paura era per altro Massenzio; dato unicamente ai piaceri, non usciva quasi mai di palazzo: il più gran viaggio che faceva, ma di raro, consisteva in passare agli orti di Sallustio. La fidanza nondimeno di riuscire nelle grandi imprese, la riponeva egli nel numero e nella forza delle sue scapestrate milizie, in alcuni suoi valorosi uffiziali, e nei tesori ammassati con impoverire tutti i suoi sudditi. Oltre al grosso corpo dei suoi pretoriani, gente creduta la più valorosa dell’altre, oltre all’armata che già servì sotto suo padre, aveva egli fatta copiosa leva di soldati non meno in Italia che nell’Africa. Il panegirista anonimo di Costantino gli dà un esercito di cento mila combattenti. Aggiugne che quello di Costantino ascendeva solo alla quarta parte, cioè a venticinque mila, espressamente dicendo che era minore di quel di Alessandro il Grande, consistente in quaranta mila. Zosimo3033, all’incontro, benchè lontano da questi tempi e fatti, pure con più verisimiglianza racconta che Massenzio avea in armi, oltre alle vecchie sue squadre, ottanta mila Italiani, e quaranta mila tra Siciliani ed Africani, di modo che nella sua armata si contavano cento settanta mila pedoni, e diciotto mila cavalli. Dall’altra parte Costantino aveva messo in piedi un esercito di gente, parte gallica e parte germanica, sino al numero di novanta mila fanti ed otto mila cavalli. Abbiamo da Nazario3034 che Costantino tentò prima le vie dolci per risparmiare la guerra, con ispedir ambasciatori a Massenzio e far proposizioni di pace. Più che mai ostinato nei suoi disegni si trovò il tiranno: e non passò molto3035 ch’egli diede principio alla danza con abbattere in Roma le statue ed immagini di Costantino, più che mai protestando di voler la vendetta del padre. Ora Costantino, veggendo che a costui piaceva il giuoco, continuò più che mai a mettersi in arnese. Ma per assicurarsi di non aver che un nemico da affrontare, trattò prima una lega con Licinio imperadore dell’Illirico, e gli riuscì di stabilirla con promettergli in moglie Flavia Valeria Costanza sua sorella3036. Informato di questo accordo Massimino imperador dell’Oriente, che prima era in trattato di lega con esso Licinio, ingelosito della contratta loro forte amistà, quasi che mirassero alla di lui rovina, tosto si rivolse al tiranno di Roma, cioè Massenzio, con offerirsi di stringersi in lega con lui. Massenzio a braccia aperte accettò le esibizioni, parendogli mandato dal cielo un sì fatto aiuto in occasione di tanta importanza. Pure noi non sappiamo che Licinio porgesse in questa guerra soccorso alcuno a Costantino, nè che Massimino si sbracciasse punto per sostenere Massenzio. Non volle già il saggio Costantino lasciarsi prevenir da Massenzio, ma animosamente determinò di prevenir lui, e di allontanar dal suo dominio la guerra, con portarla nel paese nemico. Probabilmente adunque sulla primavera dell’anno presente mosse egli dal Reno l’armata sua3037, con inviarne un’altra per mare, e tal diligenza fece che all’improvviso comparve all’Alpi, e le passò senza trovar resistenza. Trovò bensì la città di Susa ben fortificata, ben rinforzata di guarnigione, che si oppose ai suoi passi, nè volle cedere alla chiamata. Costantino, senza mettersi ad assediarla, comandò immantinente che si attaccasse il fuoco alle porte, e si desse la scalata alle mura. V’entrò vittoriosa la di lui gente; e pure il buon imperadore ne impedì il sacco, e perdonò a quegli abitanti e soldati3038. S’inoltrò poi l’esercito suo alla volta di Torino; ma prima di giugnervi, ecco possenti schiere di nemici a cavallo, tutte armate di ferro, attraversargli il cammino. Fatto far largo ai suoi, Costantino le prese in mezzo, e poi diede loro addosso. I più restarono ivi atterrati a colpi di mazze, gli altri inseguiti sino a Torino, trovarono le porte che non si vollero aprir dagli abitanti per loro, a piè delle quali perciò rimasero estinti. Di volere del popolo entrò in quella città Costantino, ricevuto con giubilo da tutti. Questo primo prosperoso successo dell’armi sue mosse le circonvicine città a spedirgli dei deputati, con esibirgli la lor sommessione e provvisione di viveri, di maniera che, senza più sfoderar la spada, egli arrivò a Milano, dove entrò fra i viva di tutto quel popolo. Il buon trattamento ch’egli faceva a chiunque volontariamente si rendeva, invitava gli altri ad accettarlo allegramente per signore. Dopo aver dato per qualche giorno riposo all’esercito suo in quella nobil città, passò Costantino a Brescia, dove trovò un buon corpo di cavalleria che parea disposto a far fronte; ma sbaragliato con pochi colpi, prese tosto la fuga, con salvarsi a Verona, dove si erano unite le soldatesche di Massenzio, sparse prima in varii siti per difendere quella forte città3039. Avea quivi il comando dell’armi Ruricio Pompeiano prefetto del pretorio, uomo di molta sperienza ne’ fatti della guerra, che, senza volersi esporre all’azzardo di una battaglia, si dispose a sostenere l’assedio, con restare a sua disposizione il di là dall’Adige. Fu dato principio all’assedio, ma riconoscendosi la vanità d’esso se non si stringeva la città anche dalla parte settentrionale, riuscì poi alle milizie di Costantino di valicar quel fiume nella parte superiore in sito poco custodito da’ nemici; e però d’ogni intorno restò assediata Verona. Più d’una sortita fece Pompeiano, ma con lasciar sempre sul campo la maggior parte dei suoi: il perchè prese egli la risoluzione di uscirne segretamente dalla città per portarsi a raunar gente, e tornar poi a soccorrerla. Ritornò in fatti con molte forze3040. Ma Costantino, lasciata la maggior parte dell’esercito all’assedio, col resto, benchè inferiore di numero ai nemici, andò coraggiosamente ad assalirlo. Si attaccò la zuffa verso la sera, e durò parte della notte, colla totale sconfitta e strage grande de’ Massenziani, e colla morte dello stesso lor generale Pompeiano. Grandi prodezze fece in questo combattimento Costantino, coll’entrare nel più forte e pericoloso della mischia, e menar le mani al pari d’ogni semplice soldato, di maniera che dopo la vittoria i suoi uffiziali colle lagrime agli occhi lo scongiurarono di non azzardar più a questa maniera una vita di tanta importanza3041. Pare che continuasse anche qualche tempo l’assedio, e che la città fosse presa o per dedizione o per assalto, e poi saccheggiata, ma i panegiristi d’allora, usati, secondo il loro mestiere, a farci veder solamente il bello del loro eroe, non ci lasciano scorgere come terminasse quella tragedia, se non che l’Anonimo scrive, che Pompeiano cagion fu della rovina di Verona, e che miserabil fu la calamità di quel popolo. A tutti nondimeno fu salva la vita, ed anche agli stessi soldati nemici. Ma perchè non v’erano tante catene da poter legare sì gran copia di prigioni, Costantino ordinò che delle spade loro si facessero tante catene per custodirli nelle carceri. Tocca Nazario3043 di passaggio le città d’Aquileia e di Modena, con far comprendere che anch’esse fecero della resistenza, e convenne usar della forza contra di esse. Ma in fine anche quei popoli si renderono e con piacere, perchè sottoposti a Costantino si promettevano migliore stato, e in fatti si trovarono da lì innanzi in buone mani. Niuna altra opposizione provò l’Augusto principe nella continuazion del suo viaggio, finchè arrivò alle vicinanze di Roma, primario scopo delle sue armi, per desiderio di far sua la capital dell’imperio, e di liberar quel popolo dal giogo intollerabile del violente tiranno Massenzio. Costui non s’era attentato in addietro, e molto meno si attentava ora a mettere il piede fuori di Roma3044, perchè da’ suoi astrologhi o maghi era stato predetto, che qualora ne uscisse, sarebbe perito. L’armata sua di gran lunga era superiore all’altra; in Roma aveva egli raunata un’immensa copia di viveri; ed inoltre colle immense somme d’oro, da lui messe insieme colle inudite sue avanie, si lusingava di poter sovvertire tutte le milizie di Costantino, siccome gli era venuto fatto con quelle di Severo e di Galerio. Il perchè sembrava più tosto godere che rattristarsi della venuta di Costantino, stante il tenersi egli come in pugno di spogliarlo di gente, di riputazione e di vita. Ma differenti erano gli alti disegni di Dio, che intendeva di liberar oramai Roma dal tiranno, e la sua Chiesa dalla persecuzion de’ pagani, i quali intorno a tre secoli sparso aveano tanto sangue di persone innocenti. Era già l’Augusto Costantino assai inclinato verso de’ Cristiani, ancorchè nato ed allevato nella superstizion dei Gentili, con aver forse ereditato questo buon genio da Costanzo suo padre, da noi veduto sì favorevole ai cristiani, o pur da Elena sua madre. Trovandosi egli ora in questo gran cimento; cioè a fronte di un potentissimo nemico, e sul bivio o di perdere o di guadagnar tutto, allora fu che, conoscendo il bisogno di essere assistito da Dio, seriamente pensò a qual Dio dovesse egli ricorrere per aiuto. La follia e falsità de’ finora creduti suoi dii in varie occasioni l’avea egli osservata, e però sull’esempio di suo padre non soleva più adorare se non il Dio supremo, padrone e regolatore dell’universo. Eusebio3045 gravissimo storico ci assicura d’aver intesa la verità di questo fatto dalla bocca del medesimo Costantino, allorchè da lì ad alcuni anni familiarmente cominciò a trattare con lui. Cioè si raccomandò egli vivamente a Dio creatore del tutto, quando nel marciar egli coll’esercito suo un giorno, sul bel mezzo dì mirò in cielo sopra il sole una croce di luce, ed appresso le seguenti parole: Con questa va a vincere. Di tal miracoloso fenomeno spettatori furono anche i soldati della sua comitiva. Restò egli perplesso del suo significato, quando nella seguente notte apparendogli in sogno Cristo, gli disse, che, di quella bandiera valendosi, egli vincerebbe. Nulla di più occorse perchè Costantino, fatti chiamare de’ sacerdoti cristiani, ed esposto loro quanto avea veduto, imparasse a conoscere la venerazion dovuta alla Croce santificata da Gesù Cristo, e dal culto de’ falsi dii passasse alla pura e santa religion dei Cristiani: fatto de’ più mirabili e strepitosi che somministri la storia, perchè mutò affatto in poco di tempo anche la faccia del romano imperio. Fece adunque Costantino mettere nelle sue insegne il monogramma di Cristo Signor nostro, e con questa animosamente procedette contro del tiranno. In qual tempo precisamente, cioè se nel principio di questa guerra o pur nelle vicinanze di Roma, accadesse un tal fatto, l’han ricercato gli eruditi. Chiaramente Lattanzio3046 scrive che Costantino prima di venir a battaglia con Massenzio, avvertito da Dio in sogno, fece mettere il nome di Cristo negli scudi de’ soldati, e che in virtù d’esso vinse. E benchè possa parere strano a taluno, che i panegiristi di allora e gli storici pagani, come Eutropio, Sesto Vittore e Zosimo non abbiano fatto menzione alcuna di un avvenimento di tanta conseguenza; pure non è da maravigliarsene, perchè nè pur essi parlano della religion cristiana abbracciata da Costantino; o se ne parlano, solamente è per isparlarne, e non già per riconoscerne i pregi e i miracoli. A buon conto fuor di dubbio è che Costantino, abbandonati gl’idoli, abbracciò la credenza dei cristiani, e fu il primo degl’imperadori che venerasse la Croce; avvenimento per sè stesso miracoloso, ed effetto della mano di Dio. Lattanzio poi ed Eusebio furono scrittori nobili, contemporanei e familiari di quel grande Augusto, nè loro si può negar fede senza temerità. Le precauzioni che prese in questa congiuntura Massenzio, furono di portare l’armata sua, più numerosa di lunga mano che quella di Costantino, fuori di Roma, alla difesa del Tevere e di Ponte Molle; e di fabbricar su quel fiume un ponte di barche, congegnato in maniera, che levando via alcuni ramponi3047, da’ quali era legato nel mezzo, esso si scioglieva, non tanto per assicurarsi della propria ritirata occorrendo, quanto per annegare i nemici se si mettevano a passarlo. Arrivato che fu Costantino a Ponte Molle, quivi si accampò coll’esercito suo, ma senza scorgere come potere passar oltre; colla opposizione di un fiume allora assai ricco d’acque, e difeso da tante squadre nemiche. Ma permise Iddio che il tiranno dovette essere sì caldamente spronato dagli uffiziali suoi, a’ quali per la superiorità delle forze parea certa la vittoria, che s’indusse a far egli passare l’armata sua di là dal fiume pel nuovo ponte di navi, con animo di venir a battaglia campale col nemico; ed intanto prese posto fra Costantino e il Tevere ad un luogo appellato i Sassi Rossi, lungi da Roma, se disse il vero Aurelio Vittore3048, nove miglia. Non poteva Massenzio far cosa più grata di questa a Costantino, il quale non altro temeva, se non che il tiranno stesse chiuso in Roma, ed aspettasse piuttosto un assedio; il che sarebbe stato la rovina o di Roma, o degli assedianti, perchè quella gran città era a maraviglia fornita di munizioni da bocca e da guerra, e di un’armata maggior della sua3049. Due giorni prima il tiranno spaventato da un sogno, s’era levato dal palazzo, e colla moglie e col figliuolo (non sappiamo se Romolo o pure un altro) era passato ad abitare in una casa particolare: dal che i superstiziosi Romani presagirono tosto che fosse imminente la sua caduta. Era venuto il dì in cui Massenzio dovea celebrare il giorno suo natalizio, o pure l’ultimo dell’anno sesto del suo imperio con feste e giuochi; cioè il dì 27 d’ottobre, per quanto si ricava da Lattanzio3050, ovvero il dì 28 d’esso mese, come si raccoglie da un Calendario antichissimo pubblicato dal Bucherio3051. Non mancò Massenzio di dare al popolo giuochi circensi; ma perchè il medesimo popolo gridò che Costantino non si potea vincere, tutto in collera si levò di là, e spediti alcuni senatori a consultare i libri sibillini3052, mentre egli attendeva a far de’ sacrifizii, gli fu riferito essersi trovato che in quel giorno avea da perire il nemico de’ Romani. Questo bastò per incoraggirlo, perchè l’interpretò contra di Costantino, senza pensare ch’egli stesso potesse essere quel desso; e però tutto in armi passò all’esercito suo, il qual già era alle mani coll’avversario. Così Lattanzio. Ma i panegiristi di Costantino3053 sembrano dire ch’egli in persona schierò la propria armata ed attaccò la zuffa3054. Fu questa delle più terribili e sanguinose, e parve che Dio permettesse che il tiranno ristrignesse la sterminata moltitudine de’ suoi fra il Tevere e l’esercito nemico, acciocchè restando sconfitta, ne perisse la maggior parte o trafitta dalle spade, o sommersa nel fiume. In fatti Costantino, dopo aver messe in miglior ordinanza di battaglia le sue milizie, tutto fiducia nel Dio de’ cristiani, fece dar alle trombe, e innanzi agli altri si scagliò contro ai nemici. I primi a piegare furono i soldati romani ed italiani, perchè ansiosi d’essere liberati dall’insoffribil tiranno. Tennero forte gli altri, e moltissimo sangue si sparse; ma in fine rotta la cavalleria di Massenzio, tutto il suo campo voltò le spalle, ma con aver dietro le spade nemiche, ed avanti un largo fiume. Però la strage degli uccisi fu grande, maggior la copia di coloro che finirono la lor vita nelle acque. Anche Massenzio, spronato il cavallo, cercò di salvarsi pel suo ponte di barche, ma il trovò sì carico per la folla dei fuggitivi, ch’esso ponte si sciolse, e si affondò, ed egli in compagnia d’altra non poca gente precipitò nell’acque, ed ivi restò sommerso3055. Giunta questa nuova in Roma, niuno per qualche tempo osò di mostrarne allegrezza, perchè non mancava chi l’asseriva falsissima; ma ritrovato nel giorno appresso il cadavero dell’estinto tiranno, e spiccatane dal busto le testa, portata che fu questa sopra un’asta nella città, allora tutto il popolo proruppe3056 in trasporti incessanti di gioia, senza potersi esprimere quanta fosse la consolazion sua al trovarsi libero da un tiranno, delle cui iniquità parlarono cotanto non meno i cristiani che gli etnici scrittori. Ma crebbe il giubilo, quando videro entrar in Roma nel giorno susseguente al fatto d’armi il vittorioso Costantino in foggia di trionfo, ma insieme in abito di pace e d’amore, perchè senza condur prigioni, e con fare buon volto a tutti, e solamente con aria di clemenza si lasciò vedere a quel gran popolo. Zosimo scrive ch’egli fece levar di vita un picciolo numero di persone troppo in addietro attaccate al tiranno; ed oltre a ciò Nazario sembra dire che Costantino sradicò dal mondo la di lui schiatta colla morte probabilmente del figliuolo di Massenzio, che non sappiamo se fosse Romolo o pure un altro. La clemenza sua si stese dipoi sopra il restante delle persone3057, ricevendo in sua grazia chiunque era stato apertamente contra di lui, e conservando loro il possesso dei beni ed impieghi, e fino ad alcuni, dei quali il popolo dimandava la morte. Accettò inoltre al suo servigio que’ soldati di Massenzio ch’erano salvati nella rotta, con levar loro l’armi; benchè dipoi loro le restituì, mandandoli solamente divisi alle guarnigioni dei suoi stati sul Reno e sul Danubio. Ma ciò che più d’ogni altra sua risoluzione diede nel genio al popolo romano, e gli guadagnò le benedizioni di ognuno, fu ch’egli abolì affatto la milizia pretoriana. Questo considerabil corpo di gente militare e scelta, istituito anche prima da Augusto, e conservato dai susseguenti imperadori per difesa delle lor persone, dell’imperial palazzo e della città di Roma, l’abbiamo tante volte vedute prorompere in deplorabili insolenza per rovina della medesima città, e divenuto con tante sedizioni l’arbitrio dello imperio, perchè avvezzo ad usurparsi l’autorità di creare o di svenar gl’imperadori. Incredibili specialmente erano stati i disordini da lor commessi sotto Massenzio, principe che per tenerseli bene affezionati, permetteva lor tutto, e sovente dicea che stessero pure allegri e spendessero largamente, perchè nulla lascerebbe mancare a soldati di tanto merito. Costantino ritenne chi volle servire al soldo suo con essere semplice soldato; e, licenziati gli altri, distrusse il castello pretoriano, specie di fortezza destinata lor per quartiere. Noi non sappiamo che altra guarnigione da lì innanzi stesse in Roma, fuorchè i vigili destinati a battere di notte la pattuglia, e forse qualche discreta guardia del palazzo dei regnanti. Ma non fu per questo abolita l’insigne carica di prefetto del pretorio, la quale continuò ad essere una delle prime nella corte imperiale. Anzi, perchè la division fatta da Diocleziano del romano imperio in quattro parti avea introdotto quattro diversi prefetti del pretorio, volendo cadaun de’ principi il suo prefetto, cioè il suo capitano delle guardie; così ne seguitò il loro istituto, con trovar noi da qui innanzi i prefetti del pretorio dell’Italia, delle Gallie, dell’Illirico e dell’Oriente. Comparve poi nel senato il novello signore3058, e con graziosa orazione piena di clemenza parlò che voleva salva l’antica loro autorità. Gli accusatori, de’ quali sotto i principi cattivi abbondò sempre la razza in Roma, e per cui non meno i rei che gl’innocenti perdevano roba ed anche vita, fu vietato l’ascoltarli da lì innanzi, ed intimato contra di essi l’ultimo supplicio. Erano poi innumerabili coloro che Massenzio ingiustamente avea o cacciati in esilio, o imprigionati, o condannati a diverse pene, o spogliati delle loro sostanze3059. A tutti fu fatta grazia, ad ognuno restituiti i lor beni. In somma parve che Roma rinascesse in breve tempo, perchè nel termine di soli due mesi la benignità di Costantino riparò tutti i mali che nello spazio di sei anni avea fatto la crudeltà di Massenzio. Per questa vittoria dipoi divenne egli padron di tutta l’Italia, e fu meravigliosa la commozione delle persone accorse allora dalle varie provincie a Roma, per mirar coi loro occhi l’invitto liberatore che rotte avea le lor catene. Fu anche inviata in Africa la testa del tiranno accolta ivi con istrepitose ingiurie; e però senza fatica, anzi con gran festa, i popoli ancora di quelle provincie riconobbero per lor signore chi gli avea finalmente tratti da lagrimevole schiavitù.