Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/271
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Anno di | Cristo CCLXXI. Indizione IV. FELICE papa 5. AURELIANO imperadore 2. |
LUCIO DOMIZIO AURELIANO AUGUSTO e BASSO per la seconda volta.
Il padre Pagi, il Relando ed altri ci danno Aureliano imperadore console per la seconda volta, ma con fondamenti poco stabili, a mio credere. Si suppone che Aureliano nell’anno 259 fosse console sostituito; e di questo niuna certezza apparisce. Sono citate due iscrizioni; l’una ligoriana, pubblicata dal Reinesio2499, e l’altra data alla luce dal Relando2500, e presa dal Gudio; cioè due monumenti che patiscono varie eccezioni, e vengono da fonti che non possono servire a darci limpida e sicura la verità. All’incontro tutti i Fasti consolari antichi ci presentano sotto l’anno corrente Aureliano console, ma senza la nota del consolato secondo. Altrettanto troviamo nelle iscrizioni di questo o de’ seguenti anni, tutte conformi in mettere questo pel primo consolato di Aureliano. Una anch’io ne ho prodotta2501 non diversa dalle altre. Pomponio Basso fu creduto dal Panvinio2502 il secondo console, perchè sotto Claudio si truova un riguardevol senatore di questo nome: conghiettura troppo debole. Dai susseguenti illustratori de’ Fasti vien egli chiamato Numerio o pur Marco Ceionio Virio Basso; ma con aver succiato nomi tali dalle due suddette non affatto sicure iscrizioni. Per altro si truova un Ceionio Basso2503, a cui Aureliano scrisse una lettera, ma senza segno ch’egli fosse stato console. Il perchè a maggior precauzione non l’ho io appellato se non col solo cognome di Basso. L’imperador novello Aureliano nelle monete2504 parlanti di lui vien chiamato Lucio Domizio Aureliano. Si può dubitare che sia un fallo in alcune l’esser chiamato Claudio Domizio Aureliano, e che in vece d’IMP. CL. DOM., ec., s’abbia a leggere IMP. C. L. DOM., cioè Cesare Lucio, ec., come nell’altre. Il cardinal Noris e il padre Pagi credettero che la vera sua famiglia fosse la Valeria, perchè, scrivendogli una lettera Claudio imperadore, il chiama Valerio Aureliano, e nell’iscrizione ligoriana, che dissi pubblicata dal Reinesio, egli porta il medesimo nome. Ma se fosse guasto il testo di Vopisco 2505? Poichè quanto a quella iscrizione, torno a dire ch’essa non è atta a decidere le controversie. Tanto nelle medaglie che nelle antiche iscrizioni, altro nome, siccome dissi, non vien dato a questo imperadore, che quello di Lucio Domizio Aureliano, e a questo conviene attenersi. E se altri2506 il chiama Flavio Claudio Valerio, non v’è obbligazione di seguitarlo. Non ebbe difficoltà Vopisco di confessare che Aureliano sortì nascita bassa ed oscura nella città di Sirmio, ovvero nella Dacia Ripense. Ma si fece egli largo colla sua prudenza e valore nella milizia, e di grado in grado salendo, sempre più guadagnò di plauso e di credito. Bello era il suo aspetto, alta la statura, non ordinaria la robustezza. Nel bere, mangiare e in altri piaceri del corpo, in lui si osservava una gran moderazione2507. La sua severità e il rigore nella militar disciplina, quasi andava all’eccesso. Denunziato a lui un soldato che avea commesso adulterio colla moglie del suo albergatore, ordinò che si piegassero due forte rami d’un albero, all’un de’ quali fosse legato l’un piede del delinquente, e l’altro all’altro, e che poi si lasciassero andare i rami. Lo spettacolo di quel misero spaccato in due parti gran terrore infuse negli altri. Ebbe principio la fortuna sua sotto Valeriano Augusto; Gallieno ne mostrò altissima stima; e più di lui Claudio. In varie cariche militari riportò vittorie contra de’ Franchi, de’ Sarmati, de’ Goti. Teneva mirabilmente in briglia le sue soldatesche, e, ciò non ostante, sapea farsi amare dalle medesime. Merita d’essere qui rammentata una lettera di lui, scritta ad un suo luogotenente, ove dice: Se vuoi essere tribuno, anzi, se t’è caro di vivere, tieni in dovere le mani de’ soldati. Niun d’essi rapisca i polli altrui, niuno tocchi le altrui pecore. Sia proibito il rubar le uve, il far danno ai seminati, e l’esigere dalla gente olio, sale e legna, dovendo ognuno contentarsi della provvisione del principe. Si hanno i soldati a rallegrar del bottino fatto sopra i nemici, e non già delle lagrime de’ sudditi romani. Cadauno abbia l’armi sue ben terse, le spade ben aguzze ed affilate, e le scarpe ben cucite. Alle vesti fruste succedono le nuove. Mettano la paga nella tasca, e non già nell’osteria. Ognun porti la sua collana, il suo anello, il suo bracciale, e nol venda o giuochi. Si governi e freghi il cavallo, ed il giumento per le bagaglie; e così ancora il mulo comune della compagnia; e non si venda la biada lor destinata. L’uno all’altro presti aiuto, come se fosse un servo. Non han da pagare il medico. Non gettino il danaro in consultar indovini. Vivano costantemente negli alloggi, e se attaccheran lite, loro non manchi un regalo di buone bastonate. Bene sarebbe che alcun generale od uffiziale de’ nostri tempi studiasse questa sì lodevol lezione, saputa dai gentili, e talvolta ignorata dai cristiani. Moglie di Aureliano imperadore fu Ulpia Severina, la quale non si sa che procreasse altro che una figliuola, i cui discendenti viveano a’ tempi di Vopisco. Ora da che fu creato imperadore Aureliano, se dice il vero Zosimo2508, egli sen venne a Roma, e, dopo aver quivi bene assicurata la sua autorità, di colà mosse, e per la via d’Acquileia passò nella Pannonia, che era gravemente infestata dagli Sciti, o sia dai Goti. Mandò innanzi ordine che si ritirassero nelle città e ne’ luoghi i viveri e i foraggi, affinchè la fame fosse la prima a far guerra ai nemici. Comparvero, ciò non ostante, di qua dal Danubio i Barbari, e bisognò venire ad un fatto d’armi. Senza sapersi chi restasse vincitore, la sera separò le armate, e fatta notte, i nemici si ritirarono di là dal fiume. La seguente mattina ecco i loro ambasciatori ad Aureliano per trattar di pace. Se la concludessero, nol dice Zosimo: e sembra che no, perchè partito Aureliano, e lasciato un buon corpo di gente in quelle parti, furono alcune migliaia di que’ Barbari tagliate a pezzi. Il motivo per cui si mise in viaggio Aureliano, fu la minaccia de’ popoli, che Vopisco2509 chiama Marcomanni, e Desippo2510 storico Giutunghi, di calare in Italia; se pur de’ medesimi fatti e popoli parlano i suddetti due scrittori. Secondo Desippo, Aureliano, portatosi al Danubio contro ai Giutunghi Sciti, diede loro una sanguinosa rotta; e, passato anche il Danubio, fu loro addosso, e ne fece un buon macello, talmente che i restanti mandarono deputati ad Aureliano per chieder pace. Fece Aureliano metter in armi e in ordinanza il suo esercito, e per dare a quei Barbari una idea della grandezza romana, vestito di porpora andò a sedere in un alto trono in mezzo del campo, con tutti gli uffiziali a cavallo, divisi in più schiere intorno a lui, e colle bandiere ed insegne, portanti l’aquile d’oro e le immagini del principe poste in fila dietro al suo trono. Parlarono que’ deputati con gran fermezza, chiedendo la pace, ma non da vinti; rammentando allo imperadore ch’erano giornaliere le fortune e sfortune nelle guerre; ed esaltando la loro bravura, giunsero a dire d’aver quaranta mila cavalieri della sola nazion de’ Giutunghi, ed anche maggior numero di fanti, e d’esser nondimeno disposti alla pace, purchè loro si dessero i regali consueti, e quell’oro ed argento che si praticava prima d’aver rotta la pace. Aureliano con gravità loro rispose, che dopo aver eglino col muover guerra mancato ai trattati, non conveniva loro il dimandar grazie e presenti; e toccare a lui, e non a loro, il dar le condizioni della pace; che pensassero a quanto era avvenuto ai trecento mila Sciti, o Goti, che ultimamente aveano osato molestar le contrade dell’Europa e dell’Asia; e che i Romani non sarebbono mai soddisfatti, se non passavano il Danubio, per punirli nel loro paese. Con questa disgustosa risposta furono rimandati quegli ambasciatori. Per attestato del medesimo Desippo2511, autore poco lontano da questi tempi, anche i Vandali mossero guerra al romano imperio, gente anche essi della Tartaria; ma una gran rotta loro data dall’esercito fece ben tosto smontare il loro orgoglio, ed inviar ambasciatori ad Aureliano per far pace e lega. Volle Aureliano udire intorno a ciò il parere dell’armata; e la risposta generale fu, che avendo que’ Barbari esibite condizioni onorevoli, ben era il finir quella guerra. Così fu fatto. Diedero i Vandali gli ostaggi all’imperadore, e due mila cavalli ausiliarii all’armata romana; gli altri se ne tornarono alle loro case con quiete. E perchè cinquecento d’essi vennero dipoi a bottinar nelle terre romane, il re loro, per mantenere i patti, li fece tutti mettere a fil di spada. Mentre si trovava Aureliano impegnato contra d’essi Vandali, ecco giugnergli nuova che una nuova armata di Giutunghi era in moto verso l’Italia. Mandò egli innanzi la maggior parte dell’esercito suo, e poscia col resto frettolosamente anch’egli marciò per impedire la lor calata; ma non fu a tempo. Costoro più presti di lui penetrarono in Italia, e recarono infiniti mali al distretto di Milano. Vopisco2512 li chiama Svevi, Sarmati, Marcomanni, e si può temere che sieno confuse le azioni, e replicate le già dette di sopra. Comunque sia, per le cose che succederono, convien dire che non fossero lievi le forze e il numero di costoro. E si sa che, avendo voluto Aureliano con tutto il suo sforzo assalire que’ Barbari verso Piacenza, costoro si appiattarono nei boschi, e poi verso la sera si scagliarono addosso ai Romani con tal furia, che li misero in rotta e ne fecero sì copiosa strage, che si temè perduto l’imperio. In oltre si sa che questi loro pregressi tal terrore e costernazione svegliarono in Roma, che ne seguirono varie sedizioni, le quali, aggiunte agli altri guai, diedero molta apprensione e sdegno ad Aureliano. Scrisse egli allora al senato, riprendendolo perchè tanti riguardi, timori e dubbii avesse a consultar i libri sibillini in occasione di tanta calamità e bisogno, quasi che (son parole della sua lettera) essi fossero in una chiesa di cristiani, e non già nel tempio di tutti gli dii. Il decreto di visitare i libri d’esse Sibille fu steso nel dì 11 di gennaio, cioè, secondo il padre Pagi2513, nel gennaio dell’anno presente. Ma non può mai stare che Aureliano, come pensa il medesimo Pagi, fosse creato imperadore in Sirmio sul principio di novembre dell’anno prossimo passato, e che egli venisse a Roma, tornasse in Pannonia, riportasse vittorie in più luoghi al Danubio, e dopo aver seguitato gli Alamanni, o vogliam dire i Marcomanni e Giutunghi, mandasse gli ordini suddetti a Roma: il tutto in due soli mesi. Chi sa come gl’imperadori non marciavano per le poste, ma con gran corte, guardie e milizie, conosce tosto che di più mesi abbisognarono tante imprese. Però convien dire che Aureliano, siccome immaginò il Tillemont2514, fu creato imperadore nello aprile dell’anno precedente, in cui fece più guerre; o pure che la calata in Italia dei Barbari appartiene all’anno presente, per la qual poi nel dì 11 di gennaio dell’anno susseguente vennero consultati in Roma i libri creduti delle Sibille, nei quali si trovò che conveniva far molti sacrifizii crudeli, processioni ed altre cerimonie praticate dalla superstizion de’ pagani. A noi basterà, giacchè non possiamo accertare i tempi di questi sì strepitosi avvenimenti, che si rapporti il poco che sappiamo della continuazione e del fine di tal guerra, tutto di seguito. Abbiamo da Aurelio Vittore2515 (perchè Vopisco qui ci abbandona) che Aureliano in tre battaglie fu vincitore dei Barbari. L’una fu a Piacenza, che dee essere diversa dalla raccontata da Vopisco: altrimenti l’un d’essi ha fallato. La seconda fu data in vicinanza di Fano e del fiume Metauro, segno che la giornata di Piacenza era stata favorevole ai Barbari, per essersi eglino inoltrati cotanto verso Roma. La terza nelle campagne di Pavia, che dovette sterminar affatto questi Barbari turbatori della pace d’Italia: con che ebbe felice fine questa guerra. Allora Aureliano mosse alla volta di Roma i suoi passi, non per portarvi l’allegrezza d’un trionfo, ma per farvi sentire la sua severità, anzi crudeltà. Imperocchè2516, pien di furore per le sedizioni che nate ivi dicemmo, con voce che fossero state tese insidie2517 a lui stesso e al governo, condannò a morte gli autori di quelle turbolenze. Vopisco, tuttochè suo panegirista, confessa che egli troppo aspra e rigorosa giustizia fece. E tanto più ne fu biasimato, perchè non perdonò nè pure ad alcuni nobili senatori, fra’ quali Epitimio, Urbano e Domiziano; ancorchè di poco momento fossero, e meritassero perdono alcuni loro reati, e questi anche fondati nella accusa di un sol testimonio. Prima era forse amato Aureliano; da lì innanzi cominciò ad essere solamente temuto; e la gente dicea, non altro essere da desiderare a lui che la morte, e ch’egli era un buon medico, ma che con mal garbo curava i malati. Anche Giuliano Augusto2518 Apostata l’accusa di una barbarica crudeltà, ed Aurelio Vittore2519 con Eutropio2520 cel rappresenta come uomo privo di umanità e sanguinario, avendo egli levato di vita fino un figliuolo di sua sorella. Tal sua barbarie pretende Ammiano2521 che si stendesse sotto varii pretesti, spezialmente sopra i ricchi, affine d’impinguar l’erario, restato troppo esausto per le pazzie di Gallieno; e in tal opinione concorre anche Vopisco2522. Fu in questi tempi che Aureliano, considerata l’avidità dei Barbari, già scatenati contra dell’imperio romano2523, col consiglio del senato prese la risoluzione di rifabbricar le mura rovinate di Roma, per poterla difendere in ogni evento di pericoli e guerre. Idacio2524 ne fa menzione sotto questo anno. Ma Eusebio2525, Cassiodoro2526 ed altri mettono ciò più tardi. Nella Cronica Alessandrina solamente se ne parla all’anno seguente. Con questa occasione certo è che Aureliano ampliò il circuito di Roma, scrivendo Vopisco che il giro d’essa città arrivò allora a cinquanta miglia; opera sì grande nondimeno, secondo Zosimo, fu solamente terminata sotto Probo Augusto.