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nomi tali dalle due suddette non affatto sicure iscrizioni. Per altro si truova un Ceionio Basso2503, a cui Aureliano scrisse una lettera, ma senza segno ch’egli fosse stato console. Il perchè a maggior precauzione non l’ho io appellato se non col solo cognome di Basso. L’imperador novello Aureliano nelle monete2504 parlanti di lui vien chiamato Lucio Domizio Aureliano. Si può dubitare che sia un fallo in alcune l’esser chiamato Claudio Domizio Aureliano, e che in vece d’IMP. CL. DOM., ec., s’abbia a leggere IMP. C. L. DOM., cioè Cesare Lucio, ec., come nell’altre. Il cardinal Noris e il padre Pagi credettero che la vera sua famiglia fosse la Valeria, perchè, scrivendogli una lettera Claudio imperadore, il chiama Valerio Aureliano, e nell’iscrizione ligoriana, che dissi pubblicata dal Reinesio, egli porta il medesimo nome. Ma se fosse guasto il testo di Vopisco 2505? Poichè quanto a quella iscrizione, torno a dire ch’essa non è atta a decidere le controversie. Tanto nelle medaglie che nelle antiche iscrizioni, altro nome, siccome dissi, non vien dato a questo imperadore, che quello di Lucio Domizio Aureliano, e a questo conviene attenersi. E se altri2506 il chiama Flavio Claudio Valerio, non v’è obbligazione di seguitarlo. Non ebbe difficoltà Vopisco di confessare che Aureliano sortì nascita bassa ed oscura nella città di Sirmio, ovvero nella Dacia Ripense. Ma si fece egli largo colla sua prudenza e valore nella milizia, e di grado in grado salendo, sempre più guadagnò di plauso e di credito. Bello era il suo aspetto, alta la statura, non ordinaria la robustezza. Nel bere, mangiare e in altri piaceri del corpo, in lui si osservava una gran moderazione2507. La sua severità e il rigore nella militar disciplina, quasi andava all’eccesso. Denunziato a lui un soldato che avea commesso adulterio colla moglie del suo albergatore, ordinò che si piegassero due forte rami d’un albero, all’un de’ quali fosse legato l’un piede del delinquente, e l’altro all’altro, e che poi si lasciassero andare i rami. Lo spettacolo di quel misero spaccato in due parti gran terrore infuse negli altri. Ebbe principio la fortuna sua sotto Valeriano Augusto; Gallieno ne mostrò altissima stima; e più di lui Claudio. In varie cariche militari riportò vittorie contra de’ Franchi, de’ Sarmati, de’ Goti. Teneva mirabilmente in briglia le sue soldatesche, e, ciò non ostante, sapea farsi amare dalle medesime. Merita d’essere qui rammentata una lettera di lui, scritta ad un suo luogotenente, ove dice: Se vuoi essere tribuno, anzi, se t’è caro di vivere, tieni in dovere le mani de’ soldati. Niun d’essi rapisca i polli altrui, niuno tocchi le altrui pecore. Sia proibito il rubar le uve, il far danno ai seminati, e l’esigere dalla gente olio, sale e legna, dovendo ognuno contentarsi della provvisione del principe. Si hanno i soldati a rallegrar del bottino fatto sopra i nemici, e non già delle lagrime de’ sudditi romani. Cadauno abbia l’armi sue ben terse, le spade ben aguzze ed affilate, e le scarpe ben cucite. Alle vesti fruste succedono le nuove. Mettano la paga nella tasca, e non già nell’osteria. Ognun porti la sua collana, il suo anello, il suo bracciale, e nol venda o giuochi. Si governi e freghi il cavallo, ed il giumento per le bagaglie; e così ancora il mulo comune della compagnia; e non si venda la biada lor destinata. L’uno all’altro presti aiuto, come se fosse un servo. Non han da pagare il medico. Non gettino il danaro in consultar indovini. Vivano costantemente negli alloggi, e se attaccheran lite, loro non manchi un regalo di buone bastonate. Bene sarebbe che alcun generale od uffiziale de’ nostri tempi studiasse questa sì lodevol lezione, saputa dai gentili, e talvolta ignorata