Amorosa visione/Capitolo XXIII

Capitolo XXIII.

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Capitolo XXII Capitolo XXIV
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CAPITOLO XXIII.




Dove tratta come Orfeo andò all’inferno a starsi con Euridice; e come Achille era nel monastero con Deidamia.


Ristrinsemi pietà l’anima alquanto
     Ad aver compassion di quel dolente,
     Cu’ io vedeva far così gran pianto.
Poi rimirando ad altro ivi presente,
     5Vidi colui che il dolente regno
     Sonando visitò sì dolcemente:
Orfeo dico, che col suo ingegno
     Fece le misere ombre riposare
     Colla dolcezza del cavato legno.
10Sonando ancora quivi il vidi stare
     Con Euridice sua, e mi parea
     Che il vedessi sonando cantare,
Sollazzandosi in verso, e sì dicea:
     Amore, a questa gioia mi conduce
     15La fiamma tua, che nel cor mi si crea.
Amor, de savii grazïosa luce,
     Tu se’ colui che ingentilisci i cori,
     Tu se’ colui che in noi valore induce,

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Per te si fuggono angoscie e dolori,
     20Per te ogni allegrezza ed ogni festa
     Surge e riposa dove tu dimori.
O spegnitor d’ogni cosa molesta,
     O dolce luce mia, questa Euridice
     Lunga stagion con gioia la mi presta.
25Sempre mi chiamerò per te felice,
     Per te giocondo, per te amadore
     Starò come fa pianta per radice.
A veder quel mi s’allegrava il core,
     E immaginando quelle parolette,
     30A me non che a lui crescea valore.
E poi appresso a queste cose dette,
     Diomede e Ulisse si vedeano
     Divenuti merciai vender gioiette
Tra suore quivi, che queste voleano
     35In vista comperar, ma dall’un lato
     E spade e archi forti questi aveano,
Saette ancor, de’ quali avea pigliato
     Uno una suora ch’ivi stava presso,
     E infino al ferro l’arco avea tirato.
40Onde parea dicesser: questi è desso,
     Questi è Achille, cui andiam cercando,
     E gir se ne volean quindi con esso.
La qual cosa vedendo, sospirando,
     Una sorella quivi contastava
     45A que’ che lui andavan lusingando.
Achille gir con essi disïava,
     E spogliandosi allor la veste fitta,
     Come buon cavalier presto s’armava.

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Vedendo ciò Deidamia, trafitta
     50Da grave doglia tutta scolorita,
     Parea dicesse a lui a lato ritta:
Oimè, anima mia, o dolce vita
     Del cor dolente che tu abbandoni,
     Di cui fia tosto credo la finita,
55In qua’ parti vai tu? quai regïoni
     Cerchi tu più graziose che la mia?
     Deh, credi tu a questi due ladroni?
Deh, non t’incresce di Deidamia?
     Io son colei che più che altra t’amo,
     60E che più ch’altra cosa ti disia:
In quant’io possa più mercè ti chiamo,
     Non mi ti torre, deh, non te ne gire,
     Non privar me di quel che io più bramo:
Sola mia gioia, solo mio disire,
     65Sola speranza mia, se tu ten vai
     Subitamente mi credo morire:
In continova doglia e tristi guai
     Istarò sempre; deh, aggi pietate
     Di me, se grazia meritai giammai.
70Ahi lassa, or son così guiderdonate
     Tutte le giovinette ch’aman voi,
     Che di subito sieno abbandonate?
Ricordar credo certo che ti puoi
     Quanto onor abbi da me ricevuto,
     75E ancora puoi ricever, se tu vuoi.
L’abito che ti ha fatto sconosciuto
     Sì lungo tempo, per me ’l ricevesti,
     Per me segreto se’ stato tenuto.

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E quando prima vergine m’avesti,
     80Di mai partirti nè d’altra pigliarne
     Sopra la fede tua mi promettesti;
Perchè adunque altrove vogli andarne?
     Di me t’incresca, e del comun figliuolo
     Ch’abbiam, se non ti duol la propria carne.
85Io so che tu vuo’ gire al tristo stuolo
     Ch’è intorno a Troia, ov’io dubito forte
     Che morto non vi sii, e per gran duolo
A me medesma fia sicura morte.