Amorosa visione/Capitolo XXII
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CAPITOLO XXII.
Non rispondeva a nulla di costoro
Quivi Giason, ma Creusa abbracciando,
Con lei traea dilettevol dimoro.
Io che andava avanti riguardando,
5Vidi quivi Teseo nel Laberinto
Al Minotauro pauroso andando.
Ma poichè quel con ingegno ebbe vinto,
Che gli diede Arianna, quindi uscire
Lui vedev’io di gioïa dipinto;
10Al quale appresso Arianna venire,
E con lei Fedra salir nel suo legno,
E quindi forte a suo poter fuggire.
Nel quale avendo già l’animo pregno
Del piacer di Arianna, lei lasciare
15Vedea dormendo, e girsene al suo regno.
Gridando desta la vedeva stare,
E lui chiamava piangendo, e soletta
Sopr’un diserto scoglio in mezzo al mare:
Oimè, dicendo, deh, perchè s’affretta
20Sì di fuggir tua nave? Abbi pietate
Di me ingannata, lassa, giovinetta.
Segando se ne gía l’onde salate
Con Fedra quegli, e Fedra si tenea
Per vera sposa per la sua biltate.
25Costei più innanzi un poco si vedea
Accesa tutta di focoso amore
D’Ippolito, cui per figliastro avea.
Ivi vedeasi lo sfacciato ardore
Di Pasife, che il toro seguitava,
30Di sè chiamandol conforto e signore;
Ove con le man proprie ella segava
Le fresche erbette nel fogliuto prato,
E con quelle medesime gliel dava.
Spesso li suo’ capei con ordinato
35Stile acconciava, e della sua bellezza,
Prima l’occhio allo specchio consigliato,
Adorna venia innanzi alla mattezza
Bestiale, e quivi parea che dicesse:
Aggradati la mia piacevolezza?
40Certo se io solamente vedesse,
Che più ch’un’altra vacca mi gradissi,
Non so che più avanti mi volesse.
Era di dietro a lei con gli occhi fissi
Sopra ’l suo padre Mirra scellerata,
45Nè da lui punto li teneva scissi.
Riguardando io costei lunga fiata,
Quivi la vidi poi di notte oscura
Esser con lui in un letto corcata.
Correndo poi fuggir l’aspra figura
50Del padre la vedea, che conosciuta
Avea l’abominevole mistura.
Albero la vedeva divenuta,
Che ’l suo nome ritien, sempre piangendo
O ’l fallo o forse la gioia compiuta.
55Narciso vid’io quivi ancor sedendo
Sopra la nitida acqua a riguardarsi,
Di sè oltre ’l dovuto modo ardendo.
Deh quanto quivi nel rammaricarsi
Nel suo aspetto mi parea pietoso,
60E talor seco sè stesso crucciarsi:
Oimè, dicendo, tristo doloroso,
La molta copia ch’io ho di me stesso,
Di me m’ha fatto, lasso, bisognoso.
Cefalo poi alquanto dietro ad esso
65Vid’io posati aver l’arco e li strali,
E riposarsi per lo caldo fesso.
O Aura, deh vien colle fresche ali,
Entra nel petto nostro; tutto steso
Stava dicendo parole cotali;
70Ma questo avendo già Procris inteso,
Cui, ascosa, vedea tra l’erbe e’ fiori
In quella valle con l’udire inteso,
Essendo in sospezion de’ nuovi amori,
Credendo forse ch’allora venisse,
75Volle, e nol fece, intanto farsi fuori;
Tutta l’erba si mosse, e cefal fisse
Gli occhi colà, credendo alcuna fiera,
E preso l’arco suo lo stral vi misse,
Rizzando quel fra l’erba u’ Procris era,
80E lei ferì nello amoroso petto:
Ella sentendo il colpo, in voce vera,
Oimè, gridò, perchè ebb’io sospetto
Di quel ch’io non dovea? Così diria
Chi la vedesse ch’ella avesse detto.
85Venuto Cefalo: l’anima mia,
Or che facevi qui? oimè lasso,
Dicea, dogliosa omai mia vita fia,
Avendo te recato a mortal passo.
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