Amorosa visione/Capitolo XXIV
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CAPITOLO XXIV.
Così pareva che costei dicesse,
Ed altro assai; a’ preghi della quale
Non mi pareva ch’Achille intendesse,
E seguitava quelli al troian male,
5Contento più che d’esser lì rimaso
Dove quella era, a cui tanto ne cale.
E innanzi a lui, incerto del suo caso,
Briseida era trista inginocchiata
Col viso basso e di baldanza raso.
10Tra l’altre cose quella sconsolata
Piangendo mi parea che li dicesse:
Deh, perchè m’hai, Achille, abbandonata?
Per te convenne che io mi dolesse
De’ miei fratelli, i quali io più amava
15Che altra cosa ch’io nel mondo avesse:
E per l’amore che io ti portava,
E porto, quella morte, che tu desti
A lor dolenti, non mi ricordava.
Rapita me per forza ancor m’avesti,
20Come tu sai, e mia verginitate
A forza e contro a voglia mi togliesti.
Oimè, che allora la tua crudeltate
Non conobb’io, che l’animo sdegnoso
Non t’avria mai l’offese perdonate.
25Veduta sempre in abito cruccioso
M’avresti certamente, e così forse
Non avrei dentro amor per te nascoso.
Oimè quanto soperchio ve ne corse,
Quando con atti falsi mi mostrasti
30Ch’io ti piacessi, e questo il cor mi morse.
Levastimi da te, poi mi mandasti
A Agamennon come schiava puttana;
In quello il falso amor ben dimostrasti.
Eimè lassa, misera profana,
35Briseida cattiva, che farai
Abbandonata in parte sì lontana?
Non mi lasciar morire in tanti guai,
Achille, aggi pietà di me dolente,
Che t’amo più che donna uomo giammai.
40Deh guardami coll’occhio della mente,
E prendati pietà di me alquanto:
Dicea colei, ma non valea nïente.
Ivi appresso costui vid’io che tanto
Ardeva dell’amor di Polissena
45Con gran miseria ed angoscioso pianto,
Periglio, affanno, guai, e grave pena
Delle suddette vendicava amore,
Il qual fervente gli era in ogni vena:
E per lei spesso mutava colore
50Preghi porgendo, e non erano intesi,
Onde lui costringea greve dolore.
Rimirando ivi ancora vediési
Sesto ed Abido, picciole isolette,
E ’l mar che le divide ancor pariési.
55Sovvennemi ivi quando vi cadette
Elles, andando di dietro al fratello
All’isola de’ Colchi, ove ristette.
Era notando, ignudo nato, in quello
Mare Leandro, andando in ver colei,
60Cui più amava, vigoroso e snello.
Venuta là alla riva costei,
Vedea con panni ricever costui,
Tutto asciugando lui dal capo a’ piei:
E poi vedeva quivi lei e lui
65Con tanta gioia standosi abbracciati,
Che simil non si vide mai in altrui.
Ritornar poi il vedea per gli usati
Mari alla casa, e di far quel cammino
Suoi membri non parien mai affannati.
70A questo mare alquanto era vicino
Minos, Alcatöe tenendo stretta
Per forte assedio, volendo il destino
Romper di quel capel che nella vetta
Del capo a Niso stava, che per esso
75L’oste di fuori non avea sospetta.
E quivi quella torre, ove fu messo
Già lo strumento d’Apollo sonante,
Vi si vedea rilucere appresso.
Pareva in quella Scilla fiammeggiante
80Dell’amor di Minos, che a vedere
Istava l’oste a sua terra davante:
Venir la mi parea poscia vedere,
Avendo il porporin capel cavato
Al padre, a Minos darlo, che ’l volere
85Robusto suo facea del disarmato
Niso, privando lui della sua gloria:
Scilla gittata poi nel mar salato,
N’andava lieto della sua vittoria.