Aiace (Sofocle - Romagnoli)/Terzo episodio

Terzo episodio

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Sofocle - Aiace (445 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
Terzo episodio
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Aiace esce dalla tenda, seguito da Tecmessa.
Cinge una spada.


aiace
Del lungo tempo i giorni innumerabili
le invisibili cose a luce recano
tutte; e sparite vanno le visibili;
e nulla è certo che avvenir non possa;
ed i piú sacri giuri ed i fortissimi
animi vacillar vedi. Ed anch’io,
che saldo un giorno fui, come per tempra
taglio di spada, molle ora son fatto
per questa donna: ché lasciarla vedova,
pietà ne sento, ed orfano mio figlio.
Ai prati della spiaggia, ora, ai lavacri
andrò, si ch’io, purificando tutte
le mie sozzure, della Diva sfugga
alla collera grave. E, giunto dove
piú non si trovi al suol vestigia d’uomo,
la terra scaverò, questa mia spada,
quest’arma piú d’ogni altra infesta a me,
dove nessun la vegga, asconderò.
La serbino sotterra Ade e la notte.

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Ché mai, dal giorno che l’offerse a me
Ettore, dei nemici il più feroce,
nulla di buono dagli Achei più m’ebbi:
è vero pur, l’adagio antico: doni
non sono i doni dei nemici1, ed utile
recar non sanno. E d’ora innanzi, dunque,
ceder sapremo ai Numi, apprenderemo
a rispettar gli Atridi: essi comandano,
e chinarsi bisogna. E come no?
Le forze più tremende, anch’esse cedono
al potere più grande. Il verno cede,
ricoperto di neve, alla pomifera
estate: l’orbe della notte oscuro
s’allontana, perché del giorno brillino
i candidi cavalli: il soffio placa
dei fieri venti il pelago che mugghia;
e il sonno onnipossente, e lega e scioglie,
né sempre stringe la sua preda. E noi
apprender non dovrem, dunque, a far senno?
Io sí; ché appresi or or che l’inimico
odiare convien, come se amarci
nuovamente potesse; e cosí voglio
con l’amico operar: giovargli come
se non dovesse amico essermi ognora:
ché malsicuro è d’amicizia il porto
per il più dei mortali. E tutto ciò
andrà pel meglio. E tu rientra, o donna,
e prega i Numi ch’abbia esito intero
ciò che brama il cuor mio. Compagni, e voi,
al pari di costei, le mie preghiere
esaudite; e a Teucro, allor che giunga,
significate che si prenda cura

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di voi, che cuore abbia per voi benevolo:
ch’io là mi reco, dove ire conviene.
Fate ciò che vi dico; e presto salvo
me saprete, per quanto ora son misero.

Esce. Tecmessa rientra nella tenda.


Note

  1. [p. 244 modifica]Cfr. Menandro, Sent. 166: ἐχθροῦ παρ᾽ἀνδρὸς οὐδέν ἐστι χρήσιμον.