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Aiace esce dalla tenda, seguito da Tecmessa.
Cinge una spada.


aiace
Del lungo tempo i giorni innumerabili
le invisibili cose a luce recano
tutte; e sparite vanno le visibili;
e nulla è certo che avvenir non possa;
ed i piú sacri giuri ed i fortissimi
animi vacillar vedi. Ed anch’io,
che saldo un giorno fui, come per tempra
taglio di spada, molle ora son fatto
per questa donna: ché lasciarla vedova,
pietà ne sento, ed orfano mio figlio.
Ai prati della spiaggia, ora, ai lavacri
andrò, si ch’io, purificando tutte
le mie sozzure, della Diva sfugga
alla collera grave. E, giunto dove
piú non si trovi al suol vestigia d’uomo,
la terra scaverò, questa mia spada,
quest’arma piú d’ogni altra infesta a me,
dove nessun la vegga, asconderò.
La serbino sotterra Ade e la notte.