Giacomo Leopardi

Indice:The Oxford book of Italian verse.djvu Poesie Letteratura Ad Angelo Mai Intestazione 26 marzo 2022 75% Poesie

Questo testo fa parte della raccolta The Oxford book of Italian verse


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(Quand’ebbe trovato i libri di Cicerone ‘ Della Repubblica ’)

I
TALO ardito, a che giammai non posi

Di svegliar dalle tombe
          I nostri padri? ed a parlar gli meni
          A questo secol morto, al quale incombe
          5Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
          Sì forte a nostr’orecchi e sì frequente,
          Voce antica de’ nostri,

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          Muta sì lunga etade? e perchè tanti
          Risorgimenti? In un balen feconde
          10Venner le carte; alla stagion presente
          I polverosi chiostri
          Serbaro occulti i generosi e santi
          Detti degli avi. E che valor t’infonde,
          Italo egregio, il fato? O con l’umano
          15Valor forse contrasta il fato invano?
     Certo senza de’ numi alto consiglio
          Non è ch’ove più lento
          E grave è il nostro disperato obblio,
          A percoter ne rieda ogni momento
          20Novo grido de’ padri. Ancora è pio
          Dunque all’Italia il cielo; anco si cura
          Di noi qualche immortale:
          Ch’essendo questa o nessun’altra poi
          L’ora da ripor mano alla virtude
          25Rugginosa dell’Itala natura,
          Veggiam che tanto e tale
          È il clamor de’ sepolti, e che gli eroi
          Dimenticati il suol quasi dischiude,
          A ricercar s’a questa età sì tarda
          30Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
     Di noi serbate, o gloriosi, ancora
          Qualche speranza? in tutto
          Non siam periti? A voi forse il futuro
          Conoscer non si toglie. Io son distrutto,
          35Nè schermo alcuno ho dal dolor, chè scuro
          M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno
          È tal che sogno e fola
          Fa parer la speranza. Anime prodi,
          Ai tetti vostri inonorata, immonda
          40Plebe successe; al vostro sangue è scherno

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          E d’opra e di parola
          Ogni valor; di vostre eterne lodi
          Nè rossor più nè invidia; ozio circonda
          I monumenti vostri; e di viltade
          45Siam fatti esempio alla futura etade.
     Bennato ingegno, or quando altrui non cale
          De’ nostri alti parenti,
          A te ne caglia, a te cui fato aspira
          Benigno sì che per tua man presenti
          50Paion que’ giorni allor che dalla dira
          Obblivione antica ergean la chioma,
          Con gli studi sepolti,
          I vetusti divini, a cui natura
          Parlò senza svelarsi, onde i riposi
          55Magnanimi allegràr d’Atene e Roma.
          O tempi, o tempi avvolti
          In sonno eterno! Allora anco immatura
          La ruina d’Italia, anco sdegnosi
          Eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo
          60Più faville rapia da questo suolo.
     Eran calde le tue ceneri sante,
          Non domito nemico
          Della fortuna, al cui sdegno e dolore
          Fu più l’averno che la terra amico.
          65L’averno: e qual non è parte migliore
          Di questa nostra? E le tue dolci corde
          Susurravano ancora
          Dal tocco di tua destra, o sfortunato
          Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
          70L’Italo canto. E pur men grava e morde
          Il mal che n’addolora
          Del tedio che n’affoga. O te beato,
          A cui fu vita il pianto! A noi le fasce

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          Cinse il fastidio; a noi presso la culla
          75Immoto siede e, sulla tomba, il nulla.
     Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
          Ligure ardita prole,
          Quand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti,
          Cui strider l’onde all’attuffar del sole
          80Parve udir sulla sera, agl’infiniti
          Flutti commesso, ritrovasti il raggio
          Del Sol caduto, e il giorno
          Che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo;
          E rotto di natura ogni contrasto,
          85Ignota immensa terra al tuo viaggio
          Fu gloria, e del ritorno
          Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
          Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
          L’etra sonante e l’ alma terra e il mare
          90Al fanciullin, che non al saggio, appare.
     Nostri sogni leggiadri ove son giti
          Dell’ignoto ricetto
          D’ignoti abitatori, o del diurno
          Degli astri albergo, e del rimoto letto
          95Della giovane Aurora, e del notturno
          Occulto sonno del maggior pianeta?
          Ecco svaniro a un punto,
          E figurato è il mondo in breve carta;
          Ecco tutto è simile, e discoprendo.
          100Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
          Il vero appena è giunto,
          O caro immaginar; da te s’apparta
          Nostra mente in eterno; allo stupendo
          Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
          105E il conforto perì de’ nostri affanni.
     Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo

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          Sole splendeati in vista,
          Cantor vago dell’arme e degli amori,
          Che in età della nostra assai men trista
          110Empièr la vita di felici errori:
          Nova speme d’Italia. O torri, o celle,
          O donne, o cavalieri,
          O giardini, o palagi! a voi pensando,
          In mille vane amenità si perde
          115La mente mia. Di vanità, di belle
          Fole e strani pensieri
          Si componea l’umana vita: in bando
          Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
          È spogliato alle cose? Il certo e solo
          120Veder che tutto è vano altro che il duolo.
     O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa
          Tua mente allora, il pianto
          A te, non altro, preparava il cielo.
          O misero Torquato! il dolce canto
          125Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
          Onde l’alma t’avean, ch’era sì calda,
          Cinta l’odio e l’immondo
          Livor privato e de’ tiranni. Amore,
          Amor, di nostra vita ultimo inganno,
          130T’abbandonava. Ombra reale e salda
          Ti parve il nulla, e il mondo
          Inabitata piaggia. Al tardo onore
          Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
          L’ora estrema ti fu. Morte domanda
          135Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
     Torna, torna fra noi, sorgi dal muto
          E sconsolato avello,
          Se d’angoscia sei vago, o miserando
          Esempio di sciagura. Assai da quello

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          140Che ti parve sì mesto e sì nefando,
          È peggiorato il viver nostro. O caro,
          Chi ti compiangeria
          Se, fuor che di sè stesso, altri non cura?
          Chi stolto non direbbe il tuo mortale
          145Affanno anche oggidì, se il grande e il raro
          Ha nome di follia;
          Nè livor più, ma ben di lui più dura
          La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
          Se più de’ carmi il computar s’ascolta,
          150Ti appresterebbe il lauro un’altra volta?
     Da te lino a quest’ora uom non è sorto,
          O sventurato ingegno,
          Pari all’Italo nome, altro ch’un solo,
          Solo di sua codarda etate indegno,
          155Allobrogo feroce, a cui dal polo
          Maschia virtù, non già da questa mia
          Stanca ed arida terra,
          Venne nel petto; onde privato, inerme,
          (Memorando ardimento) in sulla scena
          160Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia
          Questa misera guerra
          E questo vano campo all’ire inferme
          Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena
          Scese, e nullo il seguì, chè l’ozio e il brutto
          165Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
     Disdegnando e fremendo, immacolata
          Trasse la vita intera,
          E morte lo scampò dal veder peggio.
          Vittorio mio, questa per te non era
          170Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio
          Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
          Paghi viviamo, e scorti

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          Da mediocrità: sceso il sapiente
          E salita è la turba a un sol confine,
          175Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso,
          Segui; risveglia i morti,
          Poi che dormono i vivi; arma le spente
          Lingue de’ prischi eroi; tanto che in fine
          Questo secol di fango o vita agogni
          180E sorga ad atti illustri, o si vergogni.