Vite di illustri Numismatici Italiani - Giorgio Viani
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XI.
Non ultimo della schiera degli illustri numismatici, che onorarono l’Italia alla fine del secolo passato e in principio di questo, fu Giorgio Viani. Egli nacque alla Spezia da Stefano Viani e Laura Federici l’anno 1762. Mandato per tempo alla scuola, mostrò fin dall’adolescenza ingegno pronto e versatile, idoneo ad ogni specie di studî. Nel fiore della giovinezza fu preso da singolare amore per le umane lettere, e sotto l’influsso di recenti letture de’ più celebrati poeti nazionali, all’età di ventidue anni si volse con entusiasmo alla poesia, e di tale suo genio diede un Saggio in un libretto pubblicato in Finale nel 1781 colla falsa data di Londra, cui tenne dietro un secondo, impresso in Lucca nel 1785, colla data di Berlino, sotto il titolo di Glicera. Ma nel poetico arringo, in cui s’era messo, il lavoro che suscitò qualche rumore intorno al suo nome, misto al plauso de’ suoi concittadini, fu il Socrate, specie di dramma satirico, che scrisse nel 1788 in collaborazione con due suoi amici, Gasparo Mollo e Gasparo Sauli. In questo dramma il nostro poeta non ebbe di mira di fare atto irriverente verso l’Alfieri, ma solo di mettere in ridicolo e di pungere gli infelici imitatori del grande tragico italiano, allora vivente, i quali, esagerando il suo modo di scrivere, in versi duri e stentati componevano e stampavano drammi e tragedie che pochi leggevano e nessuno rappresentava. — Accortosi però di non aver sortito da natura estro tale da gareggiare coi poeti più eletti del suo tempo, abbandonò presto gli ameni studî e la poesia per volgersi con ardore a quelli più severi della storia e dell’erudizione. Dedicossi dapprima alla Diplomazia, poi, quasi esclusivamente, alla Numismatica medioevale. Già da tempo aveva concepito il vasto disegno di completare la grand’opera di Guid’Antonio Zanetti, correggendone gli errori, ed arricchendola di nuove aggiunte, per dotare anche l’Italia di una storia compiuta delle sue zecche e delle sue monete. A tal fine aperse un’attivissima corrispondenza coi più dotti cultori di tal genere di studî in tutta la penisola, e studiando con passione nelle opere che si andavano allora di mano in mano pubblicando anche in Italia, e più specialmente in quelle del celebrato Gianrinaldo Carli, andava sempre più addestrandosi in tali discipline; in pari tempo non si stancava mai di frugare in archivi pubblici e privati, e di scoprire sempre nuove memorie e documenti da servire alla sua colossale impresa. Sebbene di modeste fortune, non esitò di eccitare banchieri, negozianti ed amici a fare incetta per suo conto d’ogni sorta di monete italiane, a tal segno che per questa sua smania di raccogliere ed accumulare più che poteva quei costosi materiali per la sua opera, andò incontro a spese per lui enormi, e superiori ai mezzi dei quali poteva disporre, accresciute ancor più dall’avarizia di speculatori avidi o disonesti, che talune monete, sia pure rarissime, non gli vendevano che a prezzi elevatissimi ed esorbitanti, talchè il povero Viani ne sentiva disagio, e più d’una volta lo ridussero in tali angustie economiche da provocare sdegno e compassione ne’ suoi veri amici e in tutti gli onesti che l’aiutavano nella sua nobile impresa.
Nell’esame di que’ piccoli monumenti della passata grandezza italiana, il Viani era sì scrupoloso ed esatto, che soleva rispondere a chi ne faceva le meraviglie, ch’egli, sebbene avesse perduto un occhio, con quell’altro che gli rimaneva, ci vedeva meglio di que’ che li avevano tutti e due. Nello studio che faceva delle monete nulla sfuggiva al suo attento esame, ed al suo acume; il peso, il valore intrinseco, quello di tariffa, la lega, l’aggio, la bellezza del conio, nulla lasciava inosservato, riproducendone poi col disegno le impronte con rara fedeltà e gusto artistico. Non è meraviglia dunque che la sua perizia in questo campo di studî si diffondesse mano mano da un capo all’altro della penisola ed acquistasse tanto credito ed autorità, che governi d’Italia, ministri di finanze, direttori di zecche, e grandi negozianti si rivolgessero a lui per consultarlo nelle più ardue questioni monetarie. — Da tutto questo complesso d’informazioni, di ricerche, di studî, il Viani in pochi anni aveva acquistato tanta pratica e tali cognizioni, che nessuno avrebbe potuto imputare di temerità il suo divisamento d’illustrare storicamente e scientificamente il complicato intrecciarsi di tanti sistemi che si riscontra per più di un millenio nella storia monetale delle diverse città italiane.
Vivissima pertanto era l’aspettazione dei dotti italiani, quando finalmente nei primi anni del nostro secolo, cioè nel 1808, comparve in Pisa colle stampe di Prospero Ranieri, con quattordici belle tavole incise, il primo volume delle Memorie della famiglia Cybo e delle Monete di Massa di Lunigiana. L’autore dedicò quel suo primo lavoro All’Altezza Imperiale di Elisa sorella dell’Augusto Imperatore dei Francesi Napoleone I, principessa di Lucca e Piombino, sua protettrice, e che per quell’opera gli aveva agevolato l’accesso e le indagini negli archivi segreti di Lucca, e della Toscana. — Il pubblico erudito, alla comparsa di quel libro, si accertò che le sue speranze non sarebbero deluse, e da quel primo saggio i cultori della scienza monetale presentirono ab unque leonem, e come la patria nostra avesse ormai trovato in lui un insigne numismatico degno di continuare l’opera immortale di Guid’Antonio Zanetti. A questo volume il Viani avea promesso di far seguire un secondo, che doveva contenere diplomi preziosi e documenti rari, fin’allora sconosciuti; ma quello, con grave danno dei nostri studî, causa la morte inaspettata del suo autore, rimase inedito. Solo si ha dal Ciampi l’elenco de’ documenti già dal Viani preparati per la stampa, sotto il titolo di Appendice ai Diplomi e Monumenti citati nelle Memorie della Famiglia Cybo e delle Monete di Massa di Lunigiana, a pagina 16 e 17 della sua Biografia. Mentre il Viani attendeva al paziento lavoro delle giunte e correzioni all’opera dello Zanetti, di quando in quando pubblicava altri scritti minori, tra i quali è da citarsi per importanza la monografia della Zecca e Monete di Pistoja stesa per richiesta del Ciampi, e da questo inserta nel suo volume delle Notizie inedite della Sacrestia pistoiese, dei begli arredi del Campo Santo pisano e d’altre opere di disegno, dal sec. XII al XV, pubblicato in Firenze nel 1800. Questa monografia, qualche anno dopo, fu ripubblicata a parte in un volumetto stampato in Pisa nel 1813 col titolo: Della Zecca e delle Monete di Pistoja, Lettera di Giorgio Viani con una Memoria sullo stesso argomento del Dottore Vincenzo Borghini. Lo scritto del Viani fu variamente discusso, e provocò una garbata confutazione in un opuscolo divenuto rarissimo, intitolato: Lettera di Lodovico Costa al sig. Giorgio Viani intorno alla Zecca ed alle Monete di Pistoja, stampato a Torino nel 1814 coi tipi di Domenico Pane. Il Ciampi, uno dei più ferventi ammiratori del Viani, ne assunse la Difesa postuma nella Vita, che scrisse del nostro autore, dalla pag. 18 alla 45. A tanta rinomanza era salito il Viani coll’autorità de’ suoi scritti, che volendo l’Accademia di Lucca raccogliere tutte le memorie concernenti la storia generale di quella città e de’ suoi dominii, a lui affidò l’incarico dell’illustrazione di quella Zecca. Tale compito entrava appunto nel piano dell’Opera, cui aveva consacrato i più begli anni della sua vita. A tale scopo, è noto come si desse ogni cura di raccogliere monete, documenti e notizie. Sventuratamente queste ultime, alla morte dell’Autore, andarono disperse ed in gran parte irreparabilmente smarrite. Il Viani intanto era giunto al suo 54 anno di vita, quando fu sorpreso da violenta malattia. Lottò invano contro la morte, e sentendosi d’ora in ora mancare, chiese ed ottenne i religiosi conforti: fece testamento, e con un ultimo sforzo scese dal letto ed aperta la scrivania, rimandò dei fogli ad alcuni amici, scrivendo in quelli con mano moribonda: Giorgio Viani saluta, restituisce e muore. Indi ricoricatosi, la notte del 2 dicembre 1816, esalò l’estremo sospiro.
Grande fu il dolore de’ suoi amici ed ammiratori, tosto che giunse loro la notizia della sua morte. Dispose per testamento che il suo Museo fosse venduto: lasciò i suoi scritti all’amico Ranieri Zucchelli; il suo carteggio letterario e numismatico all’altro suo amico Sebastiano Ciampi. Fu sepolto nella Chiesa di San Frediano di Pisa.
Il Viani fu socio dell’Accademia Colombaria di Firenze, dell’Etrusca di Cortona, e della Scientifico-Letteraria delle Alpi Apuane; socio corrispondente dell’Ateneo italiano, dell’Accademia Napoleone di Lucca, e della Società Pistojese di scienze, lettere ed arti; Pastore Arcade di Roma, della Colonia Ligustica e della Colonia Alfea; Vice-Presidente della Deputazione sulla conservazione dei monumenti di Scienze e di Arti del Dipartimento del Mediterraneo.
Questi cenni biografici furono tratti da:
Notizie della vita letteraria e degli scritti numismatici di Giorgio Viani. Firenze, 1817; in-8. — Michaud, Biographie universelle ancienne et moderne. Tome, quarante-troisiéme, pag. 278-270. — Emilio De Tipaldo. Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti. Vol. III, 1836; pag. 105-115. — Dizionario universale storico-mitologico-geografico, compilato per cura di Angelo Faca. Torino, 1856. Parte terza, pag. 2378.
Opere numismatiche a stampa di Giorgio Viani.
1. Memorie della famiglia Cybo e delle monete di Massa di Lunigiana. Pisa, 1808, in-4.
*2. Memorie d’una Moneta inedita della repubblica di Pisa. Pisa. 1809.
*3. Altra come sopra pubblicata nell’opera: Pisa illustrata nelle arti del disegno da Alessandro Morrona. Livorno, Tomo I, pag. 476.
4. Lettera intorno alle Monete ed alla Zecca di Pistoja. Pisa, 1813: in-8.
5. Ristretto di un’opera numismatica di S. E. il sig. Conte Gian Francesco Galeani Napione. Firenze, 1813; in-8.
* 6. Moneta della zecca di Villa di Chiesa, detta volgarmente Iglesias. Posta in appendice alla Notizie della vita letteraria e degli scritti numismatici di Giorgio Viani per Sebastiano Ciampi. Firenze. 1817; in-8. a pag. 55-57.
VILLA DI CHIESA
DETTA VOLGARMENTE IGLESIAS.1
Questa rara e preziosa moneta d’argento si trova nella mia collezione, e serve di prova sicura per aggiungere una nuova Zecca al catalogo di quelle già pubblicate dai Monetografi fino al presente. Tiene da una parte nel campo una Croce nel mozzo a due circoli concentrici, nel primo dei quali dopo una piccola croce si legge: FACTA IN VILLA ECCLESIE; e nel secondo, dopo simile piccola croce: P • COM • PISANO; cioè, FACTA IN VILLA ECCLESIE PRO COMVNI PISANO.
Dall’altra parte si vede l’Aquila coronata sopra un capitello con un piccol fiore, o frutto sotto il rostro, e intorno la leggenda: FEDERIC • IMPERATOR • cioè FEDERICVS IMPERATOR. Il suo peso è di grani 35 fiorentini, simile in circa a quello dei Grossi pisani.
Egli è dunque manifesto che in Villa di Chiesa, nell’isola di Sardegna, fu aperta la zecca, e che vi furon battute monete; ma non è cosa ugualmente facile il poter fissare l’epoca di questa Zecca e della suddetta moneta. Sappiamo che la potente Repubblica Pisana dominò pel corso di tre secoli in Sardegna; e quantunque in questo spazio di tempo varie sieno state le vicende da lei sofferte, ora in parte, ora in tutta vi si mantenne costantemente in possesso; finchè nel 1324 ne restò totalmente spogliata dalle armi vittoriose di Giacomo re di Sardegna. Villa di Chiesa fu uno de’ luoghi che fece maggior resistenza, e degli ultimi abbandonati dai Pisani. (V. Tronci, Memorie storiche della città di Pisa, pag. 313). Il sig. Cappellano Ranieri Zucchelli, mio particolare amico ed erudito antiquario, mi ha fatto osservare un istrumento celebrato in Pisa sotto il giorno 5 di gennaio 1314, in cui Bello Alliata ed alcuni di sua famiglia costituiscono procuratore Lippo Alliata, ad esigere da Neri da Riglione, e da Andrea Masucchi commemoranti nel castello di Castro, ovvero nella Villa di Chiesa, tutto quello di cui essi erano loro debitori, e a vendere tutte quelle parti che hanno in argentaria Ville Ecclesie de Sardinia. Se Argentaria significò lo stesso che zecca, può dedursene che prima del 1314 era aperta la Zecca di villa di Chiesa.
Colo Martello figlio del Q. Morgiane Martelli, abitatore della Villa di Chiesa di Sigerro, confessa d’aver ricevuto in prestito da Neri del Q. Bacciomeo da Riglione lire dugento denariorum aquilinorum minutorum. Fatto nella Villa di Chiesa di Sigerro nella ruga, de’ Mercanti sotto di 15 decembre 1315, Indizione XIII, per rogito di Ser Duodo, figlio del Q. Ser Giunta Soldani Notaro, ecc.
Non solo in questo, ma anche in molti altri contratti fatti in Sardegna, si contratta sempre con moneta denariorum aquilinorum minutorum: dal che se ne potrebbe inferire, che queste monete si chiamassero denari aquilini minuti2.
- D/ — + BONAC • DE PALVDE • PIS • POT • (Bonaccursus de Palude Pisanorum Potestas). — Aquila coronata sopra mezza nave; e sotto, leone rampante.
- R/ — PI • – SE • Madonna sedente col Divin Figliuolo in braccio; e campana dal lato diritto.
Questa preziosa moneta di argento, ignota ai Monetografi, e forse unica fino al presente, appartiene alla Repubblica di Pisa. La singolare sua rarità consiste nel diritto, ove all’intorno si vede il nome di Buonaccorso da Palude, e al di sotto l’arme del medesimo espressa in un leone rampante, non essendovi esempio, che nelle monete delle Repubbliche toscane sieno stati mai posti i nomi ed i segni dei Consoli, Podestà, Capitani, o altri capi di esse. Si noti ancora che l’Aquila, quale formava lo stemma della città di Pisa, invece del solito capitello, come si vede nei Sigilli e nelle monete, tiene sotto gli artigli una mezza nave; il che potrebbe essere allusivo alle imprese marittime del suddetto Buonaccorso. Il rovescio colla Madonna e colla figura della campana, segno del Presidente della Zecca, è comune.
Abbiamo dalla storia e dai pubblici monumenti, che Buonaccorso da Palude, uomo insigne per la sua virtù e per la sua dottrina, fu Podestà di Pisa negli anni 1242, 1243 e 1244: comandò due volte la flotta di quella Repubblica: venne spedito dall’Imperatore Federico II in Garfagnana per distaccarla dalla parte Guelfa e ridurla alla Ghibellina nel 1249: e restò ucciso in quella Provincia per insinuazione dei Lucchesi nel 1250. Al che si può adesso aggiungere essere cosa manifesta che nel tempo del suo governo ebbe questo personaggio una straordinaria autorità o particolare considerazione, giacchè, per arbitrario potere o per facoltà concessagli, esercitò il sovrano diritto di far coniare monete col proprio nome e collo stemma di sua famiglia.
Fu trovata la presente moneta sotterra in un campo contiguo alle mura di Pisa nel 1809, e si acquistò dal Signor Tommaso da Paùle o Palude, di detta Città, il quale si pregia di essere della medesima chiarissima stirpe del nominato Buonaccorso. Il titolo del metallo è ottimo, ed il peso di grani 24 e mezzo fiorentini.
II.4
- D/ — BONAC • DE PALVDE PIS • POT • (Bonaccursus de Palude Pisanorum Potestas). — Aquila coronata sopra mezza nave; e sotto, leone rampante fra le due lettere F. — I.
- R/ — PI — SE • Madonna sedente col Divin Figliuolo in braccio: e campana dal lato diritto.
Nell’anno 1809 ad istanza di un degno e rispettabile amico fu da me illustrata una moneta di argento della Repubblica di Pisa col nome del Podestà Buonaccorso da Palude. Dissi allora, che tale moneta, non solo era preziosa e rarissima, non essendovi esempio che le antiche Repubbliche toscane abbiano permesso ai loro Consoli, Capitani, Podestà, e altri simili Capi di coniare monete col proprio nome e stemma, ma che forse poteva credersi unica, non essendo stata osservata l’eguale nei pubblici e privati Musei. Contro ogni mia aspettativa, altra ne fu scoperta nel luogo medesimo ove trovossi la prima, la quale, essendo di conio alquanto diverso, merita di essere pubblicata e conosciuta dagli amatori delle cose antiche d’Italia.
Nel diritto di questa moneta si vede, come nell’altra, un’Aquila coronata sopra un rostro di nave colle medesime parole all’intorno: ma il leoncino rampante, che resta al di sotto e forma l’arme della famiglia da Palude, è in mezzo alle due lettere F. I., le quali non esistono nella prima. Non sarà difficile l’interpretazione di queste lettere quando si rifletta, che in quasi tutte le antiche monete della Repubblica di Pisa si legge il nome dell’Imperatore Federico I, il quale, con diploma del 25 di agosto 1155, le confermò il privilegio della zecca. Le due lettere F. I non sono dunque, a mio giudizio, che l’abbreviazione della solita leggenda FEDERICVS IMPERATOR, e fanno vedere, che Buonaccorso da Palude volle indicare in tal modo, che la moneta col suo nome era simile a quella della Repubblica, oppure esternò un atto di gratitudine a Federico II, da cui fu singolarmente onorato e protetto. Il rovescio, colla Madonna e col segno della campana, è perfettamente eguale a quello dell’altra, eccettuata qualche piccola differenza nella fattura della seggiola ove riposa la Vergine col Bambino in braccio.
Se fu grande l’ammirazione con cui venne accolta dalla Repubblica Letteraria la prima moneta del celebre Podestà pisano, non minore sarà quella che farà nascere la pubblicazione della seconda. In fatti sì l’una che l’altra, nell’atto che illustrano una chiarissima ed antica famiglia, la quale esiste tuttora in Pisa, fanno epoca nella storia della Monetazione toscana, e meritano un luogo distinto nei più scelti e doviziosi Musei.
Questa moneta alquanto logora fu da me acquistata nel 1810, è di ottimo argento, e pesa grani 24 fiorentini.
Note
- ↑ Riteniamo far cosa grata ai Lettori della Rivista pubblicando in appendice a questo cenno biografico di Giorgio Viani le sue 3 Memorie numismatiche qui retro segnate con un asterisco. Queste memorie sono divenute oramai pressochè introvabili. La prima di queste, su Villa di Chiesa, fu inserta quasi in appendice dal dotto Abate Sebastiano Ciampi nelle sue Notizie della vita letteraria e degli scritti numismatici di Giorgio Viani. Firenze, 1817, in-8, pag. 55-57.
- ↑ Altre notizie ha il Sig. Ab. Zucchelli per confermar questa zecca.
- ↑ Questa Memoria fu pubblicata la prima volta in Pisa nel 1809 e stampata in foglio volante, e nel 1812 venne ripubblicata in Livorno nel primo volume della Pisa illustrata di Alessandro da Morrona, a pag. 474-476; tav. III, n. 1.
- ↑ Questa Memoria fu inserta nell’opera sopra citata del Morrona, tomo I, pag. 476-478; tav. III, n. 2.