Vite dei filosofi/Libro Nono/Vita di Eraclito

Libro Nono - Vita di Eraclito

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Nono - Vita di Eraclito
Libro Nono Libro Nono - Vita di Senofane
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LIBRO NONO




CAPO PRIMO.



I. Eraclito di Efeso, figlio di Blisone o, come vogliono alcuni, di Eracionte, fiorì nella sessantesima nona olimpiade.

II. Era, se mai nessuno, d’animo altero e disdegnoso, come appare da’ suoi scritti, ne’ quali dice: Molta dottrina lo intelletto non ammaestra; avvegnachè avrebbe ammaestrato Esiodo e Pitagora, e del pari e Senofane ed Ecateo. Essendo solo il sapiente colui che è abile nella prudenza, dalla quale solo si governa tutto in tutto. E andava ripetendo, che Omero era degno di essere scacciato e bastonato, e Archiloco parimente. Diceva eziandio: Ch’era più necessario ammortare a un’ingiuria di un incendio, e: Che un popolo doveva combattere per le sue leggi come per le sue mura. — Attacca anche gli Efesii, per avere discacciato l’amico

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[p. 263 modifica]cuno poteva, comprimendo gli intesimi, trarne l’umore, e rispostogli del no, essersi egli stesso posto al sole e ordinato a’ ragazzi che lo impiastrassero di fimo; e che persistendo poi a quel modo, morisse il secondo giorno e fosse sepolto in piazza. Ma Neante ciziceno afferma, che non avendo egli potuto strapparsi di dosso il fimo, rimasto così, e per quella trasformazione non conosciuto, fu lacerato da’ cani.

IV. Era costui, da fanciullo, maraviglioso; poichè, giovine andava ripetendo di non saper nulla, e fatto adulto, di tutto conoscere. Non fu scolare di nessuno, ma diceva, aver sè stesso investigato e da sè stesso apparato ogni cosa. Per altro racconta Sozione affermare un tale di’ egli aveva udito Senofane; e narrare Aristone, nel libro Di Eraclito, ch’egli era guarito dall’idropisia e morto d’altro male. Questo dice anche Ippoboto.

V. L’opera che di lui ci rimane è, per verità, nel complesso, intorno alla natura, ma si divide in tre trattati, uno sull’universo, uno politico ed uno teologico. Ei la depose nel sacrato di Diana, come dicono alcuni, affettando nello scrivere la maggiore oscurità, affinchè vi si potessero accostare i dotti e di leggieri non lo spregiasse il volgare. Questo espresse Timone dicendo:

     Tra questi surse Eraclito del volgo
     Oltraggiatore, stridulo qual gallo,
     Raccontator d’enigmi.


Narra Teofrasto che per umore melanconico alcune cose [p. 264 modifica]scrisse imperfettamente, alcune altrimenti da quello che sono. — Segno della costui alterezza chiamò Antistene, nelle Successioni, l’aver ceduto al fratello la regia autorità. — Tanta gloria poi gli procacciò il suo libro, che da lui derivarono settatori appellati Eraclitei.

VI. Queste opinioni e’ tiene in generale: Ogni cosa consistere pel fuoco ed in esso risolversi. — Tutto accadere per un destino, e per giri contrarj, tutto ciò ch’esiste, insieme accordarsi. — Ogni cosa esser piena di anime e di dèmoni. — Parlò anche di tutte le alterazioni che accadono nel mondo; e disse, che il sole è in grandezza come appare. — Dice eziandio: Non si rinverrebbero i confini dell’anima, chi pur tentasse qualunque via, così n’è la ragione profonda. — Chiamava la presunzione un morbo sacro, e l—apparenza fallace. — Talvolta nell’opera si esprime lucidamente e chiaramente per modo, che anche un ingegno tardissimo di leggieri comprende, e sente un’elevatezza nell’anima; e la brevità e la gravità dell’esposizione sono incomparabili. Ma partitamente sono questi i suoi dommi: Il fuoco, dice, essere un elemento, e vicissitudine del fuoco ogni cosa, generata per condensamento o per rarefazione. Nulla per altro spiega apertamente. — Tutto generarsi per contrarj, e trascorrere tutto a maniera di fiume. — Ed essere l’universo finito ed uno il mondo. — E desso generato dal fuoco, e di nuovo alternatamente, dopo certe rivoluzioni, in ogni secolo abbruciarsi, e ciò per destino accadere. — Dei contrarj quello che conduce alla generazione chiamarsi guerra e lite, quello che all’incendio concordia e pace; la mutazione una via di [p. 265 modifica]su e giù, e il mondo farsi per questa. Poichè condensandosi il fuoco diventa umidità, e ispessendosi si fa acqua, e l’acqua assodandosi si trasmuta in terra; e questa essere la via per al di sotto: la terra poi a vicenda liquefarsi; da lei generarsi l’acqua, e da essa il resto, quasi tutto riferendo alla evaporazione che si fa dal mare; e questa essere la via per al disopra.Le evaporazioni prodursi e dalla terra e dal mare, alcune lucide e pure, alcune tenebrose; e dalle più chiare aver aumento il fuoco, dall’altre l’acqua. — Che cosa sia l’aria ambiente non dichiara, ma dice esservi in essa delle barchette rivolte verso noi pel concavo, nelle quali, addensandosi le evaporazioni lucide, diventano fiamme, che sono gli astri.Lucidissima essere la fiamma del sole e caldissima; le altre stelle più distare dalla terra, e per questo meno splendere e scaldare; la luna, essendo più vicina alla terra, non aggirarsi in luogo puro; ma in uno lucido e senza mescolanze stare il sole, ed avere una proporzionata distanza da noi; quindi maggiormente riscaldare ed illuminare.Sole e luna eclissarsi al volgersi in alto delle barchette; e le figure della luna, in ogni mese, accadere pel rivolgersi a poco a poco in sè stessa della barchetta; e il giorno e la notte e il mese e le stagioni e gli anni e le piogge e i venti e le cose simili a queste nascere per la differenza delle evaporazioni. Cioè, la lucida evaporazione, infiammata nel circolo del sole, produrre il giorno; prevalendo la contraria, farsi notte; e aumentando il calore, proveniente dal lucido, farsi la state; e abbondando l’umido, che deriva dalle tenebre, nascere l’inverno.[p. 266 modifica]Conseguentemente a ciò anche delle altee cagioni discorre. Nulla afferma, nè circa la terra, se abbia una od un’altra qualità, nè circa le barchette. — Tali furono le sue opinioni.

VII. Intorno a Socrate e a quanto dicesse, leggendo, come narra Aristone, il libro recatogli da Euripide, abbiamo parlato nella vita di Socrate. Pure Seleuco il grammatico dice, raccontare un certo Crotone, nel Palombajo, che non so qual Cratete primo in Grecia trasportò il libro, ed anche affermò aver mestieri di un palombajo da Delo, chi non voleva in quello affogare. Gli danno per titolo, alcuni Le Muse, alcuni Della natura, e Diodoto

     Guida per la stagione della vita,


altri Giudizio di costumi, di un uso, ornamento di tutti.

VIII. Narrano che richiesto del perchè taceva, abbia risposto: Perchè voi parliate.

IX. Anche Dario desiderò di averlo seco, e così a lui ne scrisse:

re dario figlio d’istaspe

ad eraclito efesio uomo sapiente

augura salute.

„Hai scritto un’opera sulla natura, diffìcile da intendere e da sporre; che per altro, interpretandola in alcuni luoghi secondo la tua frase, sembra contenere una certa potenza speculativa e sulla totalità del mondo e sulle cose che accadono in esso, le quali [p. 267 modifica]consistono in un movimento divino; ma per lo più presenta un ostacolo tale, che coloro i quali leggono la maggior parte dei libri non sanno che risolvere sul verace pensiero col quale da te fu dettata quella narrazione. Pertanto Dario d’Istaspe desidera partecipare delle tue lezioni orali e della cultura ellenica. Vieni dunque riccamente al cospetto mio e della regal casa; da che i Greci, il più, sconoscendo gli uomini che sono sapienti, vedono di mal occhio le cose per essi ottimamente dimostrate egregie da udirsi e da appararsi. Presso di me tu godrai ogni preminenza, cotidianamente un’onorevole e sollecita osservanza, ed una vita approvata da’ tuoi consigli.“

eraclito efesio

al re dario istaspe salute.

„Quanti per avventura vi hanno sulla terra sono lontani dalla verità e dal condursi secondo giustizia, e dediti, per una triste demenza, alla cupidigia e all’ambire la gloria. In quanto a me, dimentico di ogni nequizia e fuggente il disgusto di tutta la domestica invidia, anche per evitare l’orgoglio, non m’accosterei al suolo persiano, contento del poco che mi va a genio.“

X. Tale fu quest’uomo anche col re. — Demetrio dice, negli Omonimi, ch’e’ trattò con alterezza gli Ateniesi, che avevano tutta la buona opinione di lui, e fu tenuto in ispregio dagli Efesii, coi quali scelse abitare di preferenza. — Fa menzione di esso anche Demetrio falereo, nell’Apologia di Socrate. [p. 268 modifica]

XI. Parecchi sono coloro che hanno dichiarato il suo libro: Antistene, Eraclide pontico, Cleante, Sfero lo stoico; in oltre Pausania, detto l’eracliteo, e Nicomede e Dionisio; e tra’ grammatici Diodoto, il quale afferma che l’opera non è sulla natura, ma sulla politica, e che qualche cosa di fisico vi sta solo in forma di esempio. Racconta Ieronimo che anche Scitino, compositore di jambi, applicossi a sporre co’ versi l’opera di Eraclito.

XII. Corrono sopra di lui molti epigrammi, tra’ quali anche questo:

  Eraclit’io; perchè mi trascinate
     Sotto sopra, ignoranti? Non per voi
     Ho travagliato, ma per chi m’intenda.
     Un uomo sol per me vai trenta mille;
     Non uno innumerabili! Codesto
     Andrò dicendo ancora a Proserpina.


E un altro così:

  Non isvolgete sino all’ombilico
     Si presto il libro dell’efesio sofo!
     Sentier per voi di troppo grave accesso.
     Notte e tenebre son prive di luce.
     Se poi vi conducesse un iniziato,
     Lucido allora più di un chiaro sole.

XIII. Vi furono cinque Eraclidi. Primo questi. — Secondo un poeta lirico, di cui sono le dodici Laudi degli dei. — Terzo un poeta elegiaco, alicarnasseo, sul quale Callimaco così poetò: [p. 269 modifica]

  Eraclito, narrava uno la tua
     Morte, e in me destò pianto, e ricordai
     Quante volte, d’entrambo in fra i colloqui,
     Il sole tramontò. Pur tu se’ altrove,
     Ospite alicarnasseo, da gran tempo
     Cener; ma vive il tuo soave canto,
     A cui, di tutte cose rapitore,
     L’Orco sovra non getta la sua mano.


— Quarto uno da Lesbo, che scrisse la storia macedonica. — Quinto uno scrittore serio-giocoso, che dalla cetra passò a questo genere.

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