VI VIII

[p. 15 modifica]La donna co la quale io avea tanto tempo celata la mia volontade, convenne che si partisse de la sopradetta cittade e andasse in paese molto lontano: per che io quasi sbigottito de la bella difesa che m’era venuta meno, assai me ne disconfortai, più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che se de la sua partita io non parlasse alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto de lo mio nascondere, propuosi di farne alcuna lamentanza in uno sonetto, lo quale io scriverò, acciò che la mia donna fue immediata cagione di certe parole che ne lo sonetto sono, sì come appare a chi lo intende. E allora dissi questo sonetto, che comincia: O voi che per la via.


O voi che per la via d’amor passate,
     attendete e guardate
     s’elli è dolore alcun, quanto’l mio, grave;
     e prego sol eh’audir mi sofferiate,
     e poi imaginate5
     s’io son d’ogni tormento ostale e chiave.
     Amor, non già per mia poca bontate,
     ma per sua nobiltate,

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     mi pose in vita sì dolce e soave,
     ch’io mi sentía dir dietro spesse fiate:10
     «Deo, per qual dignitate
     così leggiadro questi lo cor ave?»
Or ho perduta tutta mia baldanza,
     che si inovea d’amoroso tesoro;
     ond’io pover dimoro,15
     in guisa che di dir mi ven dottanza.
     Sì che volendo far come coloro
     che per vergogna celan lor mancanza,
     di fuor mostro allegranza,
     e dentro dallo core struggo1 e ploro.20


Questo sonetto ha due parti principali; che ne la prima intendo chiamare li fedeli d’Amore per quelle parole di Geremia [p. 17 modifica] profeta che dicono2: O vos omnes qui iransitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus, e pregare che mi sofferino d’audire; nella seconda narro là ove Amore m’avea posto, con altro intendimento che l’estreme parti del sonetto non mostrano, e dico che io hoe ciò perduto. La seconda parte comincia quivi: Amor non già.


Commento

[p. 15 modifica]d’ogni tormento ostale. La lezione dolore si trova soltanto in b, e per effetto di b anche in A. Ostello è pure lezione caratteristica di b, ma k legge ostale; e con k è β, perché quantunque, per i soliti imprestiti da b o per arbitrio, abbiano ostello anche A P W Rediano, ostale si mantiene iu M Barb C Laur. XL 44 Co Mgl, e ostiale è pur dato da s. È una voce ostale che ha incontrato poco favore presso gli editori della Vita Nuova, sebbene sia di chiara derivazione, schiettamente italiana, e non ne manchino esempi ne’ vocabolari. Più altri se ne potrebbero aggiungere; ma basti questo i Guittone d’Arezzo, notevole per la somiglianza che ha col passo di Dante: ...sì com’eo, lasso, ostal d’ogne tormento? (ed. Pellegrini, I, 280, ‘Tutto ’l dolor’). Il nome Ostale è anche rimasto a luoghi alpestri dove erano spedali pei pellegrini: cfr. Repetti, Diz. geografico, s. v. [p. 16 modifica]spesse fiate. La lezione assai fiate, introdotta dagli Edd. Mil., piaciuta al Tod. e accettata dal Frat. e dal Giuliani, è variante peculiare di T.

celan. Il celar dato da k (e anche da V) non è da prendersi per un perfetto, ma è lo stesso che il celan degli altri Mss.: v. introduzione, p. cclxxx.

struggo. Così leggo in luogo di mi struggo, sebbene quest’ultima lezione abbia più largo fondamento nei codici, perché mi sembra dovesse tornar facile ai copisti sostituire, indipendentemente gli uni dagli altri, la forma più comune a quella doli’uso poetico. Anche nel son. di Guido CavalcantiA me stesso di me’ il v. 5 dev’essere e tutto struggo perch’i’ sento bene, ma per includervi il mi i copisti o hanno lasciato correre un verso ipermetro (come in Chig. L, VIII, 305, e. 56b) o hanno soppresso l’e iniziale. Cfr. nello stesso codice Chigiano: ma con più struggo più son aviato (n° 420, ‘I’ son sì magro’ v. 13, c. 105b), e nel Vat. 3793; anzi distrugo come [a] foco ciera (n° lxxvj, ‘La mia vita è sì forte’, v. 3, e. 22b), ardo e distrugo e consummo pur pensando (n lxxxxviij. ‘Dolgliosamente’, v. 35, c. 29ª). Frequente, specialmente con verbi d’affetto, l’omissione della particella riflessiva nell’uso antico: cfr. il Vocabol. alle voci contentare, dilettare, dolere, lamentare, rinnovellare, smarrire, tormentare, vergognare; e basti aggiungere qualche esempio per tormento e smarrisco fra i tanti che si potrebbero addurre: eo tuttor tormento | s’eo non ho siguranza (Mazzeo di Ricco ‘Lo core innamorato’, Chig. L, VIII, 305, n° 244, v. 34, 35); S’eo languisco e tormento | tutto in gio’ lo mi conto (Bonagiunta da Lucca, ‘Donna vostre bellezze’, Chig. [p. 17 modifica]L, Vili, 305, n° 154, st. 2ª); und’eo tormento e doglio (Guittone, ‘Deo como pote’, v. 9); eo tormento (Dante da Maiano, ed. Bertacchi, son. VIII, XIII, XXXVIII); presso a lei smarrisco e tremo (Cino da Pistoia, ‘Tanta paura in’è giunta’, st. 4ª).

che dicono. È dubbio se qui k abbia aggiunte questo parole, oppure se le abbiano omesse gli altri, essendo così facile l’aggiunta di espressioni consuetudinarie, come ovvia l’omissione di parole che paiano superflue. Cfr. XXX 1 «pigliando quello cominciamento di Geremia profeta che dice: Quomodo ecc. », dove pure il che dice vien dato soltanto da k.

Note

  1. b β mi struggo (Barb mistorcho).
  2. In b β manca che dicono.