Vita di Niccolò Machiavelli

Niccolò Machiavelli

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Questo testo fa parte della raccolta Opere di Niccolò Machiavelli


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VITA


DI NICCOLÒ MACHIAVELLI.


D
A Bernardo di Niccolò Machiavelli, e da Bartolommea di Stefano Nelli, Vedova di Niccolò Benizi, nacque in Firenze il dì 3. di Maggio del 1469. Niccolò Machiavelli, detto l’Istorico, e conosciuto comunemente sotto il nome di Segretario Fiorentino. L’origine di sua famiglia risale agli antichi Marchesi di Toscana, e specialmente ad un Marchese Ugo, che fiorì verso l’anno 850. stipite comune di quei Signori, che dominarono in Val di Greve e in Val di Pesa, i quali ne’ principj della Repubblica Fiorentina ne circoscrivevano da quella parte il Contado, e che a misura del di lei ingrandimento, furono dalla medesima umiliati, e soggiogati. I Machiavelli erano Signori di Montespertoli, ma preferendo la cittadinanza di Firenze all’inutile conservazione della memoria d’un illustre prosapia, si sottomessero alle leggi di quella nascente Repubblica per goderne gli onori. Fu questa famiglia una di Parte Guelfa del Sesto di Oltrarno, che abbandonò Firenze nel 1260. dopo la rotta di Monteaperti. Ristabilita colle altre in patria fu decorata tredici volte del grado di Gonfaloniere di Giustizia, dignità corrispondente a quella di Doge, ed ebbe in varj tempi cinquantatrè Priori, i quali insieme col Gonfaloniere formavano la suprema Magistratura della [p. viii modifica]pubblica. La stirpe della madre era ugualmente chiara e distinta, non tanto per l’antichità e nobiltà dell’origine, proveniente dagli antichi Conti di Borgonuovo di Fucecchio, noti fino dal decimo secolo, quanto per gli onori goduti in Firenze, ove ebbe un Francesco di Nello Gonfaloniere nel 1361. e cinque Priori. Bernardo padre di Niccolò fu Giureconsulto e Tesoriere della Marca; e con quei ministerj sostenne il lustro della Famiglia, superiore alla mediocrità delle sue fortune.

Qual fosse l’educazione del nostro Niccolò, e da chi ei la ricevesse, non è noto. Nato per altro fortunatamente in un tempo il più favorevole alle buone lettere, che dalla barbarie de’ prossimi secoli emergevano col più grande splendore, piccolo disvantaggio per la cultura de’ suoi talenti risentì dalia perdita del genitore in età di 16. anni, essendo rimasto alla cura di una madre amante delle lettere, e poeterà ella medesima. I primi saggi della sua capacità gli diede presso Marcello Virgilio, sotto del quale fu collocato per quanto dicesi nel 1494. Cinque anni dopo, in età di non più che 29. anni fu preferito fra quattro concorrenti per il posto di Cancelliere della seconda Cancellerìa de’ Signori, in luogo di Alessandro Braccesi, per decreto del Consiglio Maggiore del dì 19. Giugno 1498. Quindi nel dì 14. del seguente Luglio da’ Signori e Collegj ebbe incarico di servire anche nell’Ufizio de’ Dieci di Libertà e Pace, ove quantunque la prima commissione fosse per il solo mese d’Agosto proseguì poi ad esercitare la carica di Segretario fino alla sua cassazione.

Nel giro di soli quattordici anni, che ei coperse quelli importanti posti, oltre le ordinarie occupazioni, le quali non [p. ix modifica] portavano meno, che il carteggio interno ed esterno della Repubblica, i registri de’ consigli e delle deliberazioni, i rogiti de’ trattati pubblici con gli Stati e Principi stranieri ec., non meno che venti legazioni estere, oltre sedici commissioni interne, ei sostenne per affari per lo più gelosissimi e di somma rilevanza per lo Stato di Firenze. Quattro volte fu presso al Re di Francia allorchè era questi l’unico potente alleato della nostra Repubblica; due volte all’Imperatore, due volte alla Corte di Roma; tre volte a Siena; tre a Piombino; alla Signora di Furlì; al Duca Valentino; a Gio. Paolo Baglioni Signore di Perugia; più volte fu mandato al campo contro i Pisani, due volte in Pisa medesima, in occasione cioè del Concilio, e per erigervi la Cittadella; e finalmente in varie parti del Dominio per arruolar truppe, e per altri importanti bisogni dello Stato. Quanta desterità egli adoprasse in sì fatti maneggi, le lettere che di lui ci rimangono ne fanno quella testimonianza, che non sarebbe possibile rendere con parole.

Le sue fatiche non si limitarono per altro all’adempimento esatto delle sole incombenze indispensabili del suo ministero. E’ difficile a giudicarsi qual fosse in lui maggiore o la capacità, o lo zelo per la Patria. Se non gli riuscì di salvarne l’intiera libertà, non gli mancò che una maggior fiducia e concordia de’ suoi concittadini, e tempi meno turbolenti e disperati. Ciononosiante gli si dee la gloria di averlo tentato, per quanto la sua influenza negli affari glielo permetteva. Egli gettò lo sguardo sullo stato vacillante della Repubblica, e ravvisò i difetti che ne minacciavano l’esistenza. Uno de’ più sostanziali era l’adoprare armi mercenarie, le quali assorbivano le sostanze dello Stato senza abbracciarne [p. x modifica]gl’interessi, e rendevano piuttosto timore che servizio. A quello si provò di rimediare collo stabilimento delle milizie nazionali, che egli consigliò ed eseguì. Le conseguenze del furor delle parti, onde era agitata Firenze, i falli dell’imbecille governo di Piero Soderini, potè piuttosto conoscergli che riparargli. Soleva dire rapporto alla condotta del Gonfaloniere, che si era dato tutto in braccio alla Francia = La buona fortuna de’ Francesi ci ha fatto perdere la metà dello Stato; la cattiva ci farà perdere la libertà. =

Niuna predizione politica mai si avverò meglio di quella. Appena le forze della Francia ebbero in Italia declinato, si vide serrarsi sopra Firenze da tutte le parti la tempesta. Rimasta essa nuda ed esposta al risentimento degli Imperiali e degli Spagnuoli, era giunto il tempo di pagar le pene al Pontefice Giulio II. del ricetto dato in Pisa al Concilio. Invano si usarono le rimostranze per liberarli dall’onerosa ed ingiusta contribuzione di centomila fiorini, pretesa dall’Imperatore contro la fede de’ trattati. I Medici esuli furono più generosi delle sostanze della Repubblica, e ne promessero anche di più purchè fussero rimpatriati. Così fu presa a Mantova la risoluzione di mutare lo Stato di Firenze. Quindi avanzatisi gli Spagnuoli nella Toscana, espugnato inaspettatamente e saccheggiato Prato mentre correvano pratiche d’accordo, si sollevò nella Città la parte de’ Medici, e il Gonfaloniere perpetuo Soderini dovè cedere e ritirarsi. La mutazione totale che ne seguì involse nell’infortunio del Gonfaloniere anche il Segretario. Fu il Machiavelli pertanto per tre consecutivi decreti della nuova Signoria, degli 8. 10. e 17. Novembre 1512. prima cassato e privato di ogni ufizio, poi relegato per un anno nel Territorio, e [p. xi modifica]Dominio Fiorentino, e interdetto dal por piede nel palazzo de’ Signori.

Fino a questo segno la sua disavventura poteva dirsi meno deplorabile per lui medesimo, che per la Repubblica, la quale perdeva in esso l’unica testa capace di sostenerla. Maggior pericolo ei corse poco dopo, allorchè accusato di complicità nella congiura contro il Cardinale de’ Medici, dipoi Leone X. sofferse fino la prigionia e la tortura. Egli ne fu liberato piuttosto per la generofità di quel Pontefice, il quale funestar non volle l’allegrezza del suo inalzamento, che per la equità de’ suoi nemici.

Queste lacrimevoli e sfortunate circostanze, alle quali non si resiste se non per mezzo di una straordinaria virtù, fanno meglio che la sua passata fortuna conoscere la grandezza di animo del Machiavelli. Invece di piegare sotto il peso di tante disavventure, trovò consolazione badante nello studio, e nelle lettere. A’ suoi infortunj siamo debitori delle opere più importanti: del Principe, cioè, de’ Discorsi, dell’Arte della Guerra, delle Storie; che egli ebbe agio di comporre in quel tempo d’ozio e di quiete. Se non potè più servir la Patria col ministero, volle giovarle almeno con gli scritti: in essi diede a suoi concittadini delle istruzioni, di cui poteva esservi ancora tempo di profittare per la libertà.

Una cosa è da notarsi specialmente, la quale quanto è più rara tanto più fa onore al merito del Machiavelli. L’opinione che si aveva de’ suoi talenti, e del suo affettuoso ed ingenuo carattere gli conservò de’ veri amici nelle disavventure, e giunse a superare ed estinguere l’avversione ne’ suoi nemici. Nelle fiorite conversazioni degli Orti Rucelliani era tenuto ed ascoltato come l’oracolo. Francesco Vettori, e [p. xii modifica]Francesco Guicciardini continuarono con esso, anche ne’ tempi più pericolosi, stretto e confidente carteggio. I Medici stessi, benchè non potettero non riguardarlo come un inciampo alle loro mire sulla Repubblica, se ne valsero in molte importanti occasioni. Sono noti i Consulti politici da lui scritti per servigio di Leone X., e Clemente VII. alla stima del suo sapere aggiunse anche la fiducia. Mentre Firenze si reggeva intieramente per lui, li vide il Machiavelli ricomparire ne’ pubblici affari; andò a Carpi al Capitolo de’ Frati Minori; fu deputato ad assistere alla visita per fortificare la città; e finalmente fu adoprato per lungo tempo con grave disagio e fatica predo Francesco Guicciardini, presidente di Romagna, e nell’esercito della Lega contro Carlo V.

Quella commissione fu l’ultima azione rimarchevole della vita sua. Tornatosene a Firenze sul finir di Maggio o a’ primi di Giugno, indi a pochi giorni per un medicamento semplicissimo, di cui soleva fare uso per gli abituali suoi incomodi di stomaco, sorpreso da fieri dolori nel ventre, passò all’altra vita il dì 22. di Giugno del 1527. in età di anni 58. mesi uno, e giorni 19. munito prima de’ soccorsi spirituali della Cattolica Chiesa, ed assistito da’ Sacerdoti sino all’ultimo momento del viver suo. Una lettera scritta da Pietro Machiavelli suo figliuolo a Francesco Nelli Professore in Pisa, smentisce le favole ingiuriose state posteriormente inventate da Scrittori maledici sulla di lui morte. Carissimo Francesco = Non posso far di meno di piangere in dovervi dire come è morto il dì 22. di questo mese Niccolò nostro Padre di dolori di ventre, cagionati da un medicamento preso il dì 20. Lasciossi confessare le sue peccata da Frate Matteo, che gli ha tenuto compagnia fino a morte. Il Padre [p. xiii modifica]nostro ci ha lasciato in somma povertà, come sapete. Quando sarete ritorno quassù vi dirò molto a bocca. Ho fretta, e non vi dirò altro, salvo che a voi mi raccomando. MDXXVII. Vostro parente = Pietro Machiavelli.

Di Marietta di Lodovico Corsini sua moglie ebbe cinque figliuoli, Mess. Bernardo, Lodovico, Pietro Cavaliere Gerosolimitano, Guido Prete, e Baccia maritata a Giovanni de’ Ricci. Se è vero che la Novella di Beelfegor fosse da lui fatta per rappresentare il carattere di sua moglie, bisogna dire che in menar donna non su molto fortunato. Fu di comune e giusta statura, di temperamento gracile anzichennò, e soggetto a frequenti incomodi di stomaco, di colore ulivigno, di aspetto lieto e vivace, e tale che vi il travedeva l’elevatezza dell’ingegno e dell’animo suo. Nella conversazione era piacevole, ufficioso con gli amici, e amico de’ Virtuosi. Mai niuno meglio di lui intese l’arte del governo, nè quella di conoscere gli uomini. Fu pronto e piccante a segno, che discorrendo un giorno con Claudio Tolomei, dove fussero gli uomini più dotti o in Firenze o in Siena, disse il Tolomei: in Firenze gli uomini hanno meno scienza, e sono meno dotti che in Siena, eccettuandone però voi: a cui tosto egli soggiunse: Anche in Siena gli uomini sono più pazzi senza eccettuarne voi. Opponendogli un tale che avesse insegnato a’ Principi esser tiranni, rispose: Io ho insegnato a’ Principi esser tiranni, ma ho anche insegnato a’ popoli come spegnerli. Domandato da un Ambasciator Veneziano cosa gli paresse del Bembo; il quale benchè Veneziano insegnava la lingua Toscana a’ Fiorentini, soggiunse: Dico quello che direste voi se un Fiorentino insegnasse la lingua Veneziana a un [p. xiv modifica]Veneziano. Avendo intesa la morte di Piero Soderini, così leggiadramente caratterizzò la di lui dappocaggine:

La notte che morì Pier Sederini
L’Alma n’andò dell’Inferno alla bocca:
E Pluto la gridò: Anima sciocca,
Che Inferno? Va nel Limbo de’ Bambini.

Molti altri lepidissimi e piccantissimi sali si riscontrano ne suoi scritti, che inutil cosa sarebbe quì il riferire. Fu seppellito in S. Croce nella tomba di sua famiglia, ove si rimane tuttora ignoto ai più, e senza alcuna particolare distinzione. Così ha Firenze fin quì mal riconosciuto la sorte di aver prodotto e posseduto un uomo da fare invidia alla dotta Grecia, e alla superba e trionfante Roma.