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portavano meno, che il carteggio interno ed esterno della Repubblica, i registri de’ consigli e delle deliberazioni, i rogiti de’ trattati pubblici con gli Stati e Principi stranieri ec., non meno che venti legazioni estere, oltre sedici commissioni interne, ei sostenne per affari per lo più gelosissimi e di somma rilevanza per lo Stato di Firenze. Quattro volte fu presso al Re di Francia allorchè era questi l’unico potente alleato della nostra Repubblica; due volte all’Imperatore, due volte alla Corte di Roma; tre volte a Siena; tre a Piombino; alla Signora di Furlì; al Duca Valentino; a Gio. Paolo Baglioni Signore di Perugia; più volte fu mandato al campo contro i Pisani, due volte in Pisa medesima, in occasione cioè del Concilio, e per erigervi la Cittadella; e finalmente in varie parti del Dominio per arruolar truppe, e per altri importanti bisogni dello Stato. Quanta desterità egli adoprasse in sì fatti maneggi, le lettere che di lui ci rimangono ne fanno quella testimonianza, che non sarebbe possibile rendere con parole.

Le sue fatiche non si limitarono per altro all’adempimento esatto delle sole incombenze indispensabili del suo ministero. E’ difficile a giudicarsi qual fosse in lui maggiore o la capacità, o lo zelo per la Patria. Se non gli riuscì di salvarne l’intiera libertà, non gli mancò che una maggior fiducia e concordia de’ suoi concittadini, e tempi meno turbolenti e disperati. Ciononosiante gli si dee la gloria di averlo tentato, per quanto la sua influenza negli affari glielo permetteva. Egli gettò lo sguardo sullo stato vacillante della Repubblica, e ravvisò i difetti che ne minacciavano l’esistenza. Uno de’ più sostanziali era l’adoprare armi mercenarie, le quali assorbivano le sostanze dello Stato senza abbracciarne


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