Viaggio sentimentale di Yorick (1813)/XI
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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XI. | LA PORTA DELLA RIMESSA |
CALAIS
Certo, donna gentile, diss’io sollevandole alquanto la mano; e questo è pure uno de’ tanti capricci della fortuna: ecco come ha congiunte due mani di persone ignote fra loro — diverse di sesso, e forse di diversi canti del globo; e congiunte in un attimo, e in sì cordiale attitudine, che nè pur l’amicizia, se ci avesse pensato da un mese, avrebbe forse saputo far tanto —
— E’ si vede dalla vostra riflessione, monsieur, che la fortuna v’imbroglia non poco co’ suoi capricci.
Ove la congiuntura ti giovi, oh quanto importunamente vai stuzzicando il perchè e il come è avvenuta — Voi ringraziate la fortuna, continuò la signora — e così andava fatto — il cuore sapeva ogni cosa, e n’era contento; ma chi mai, fuorchè un filosofo inglese, n’avrebbe mandate novelle al giudizio perchè annullasse la sentenza del cuore?
E parlando liberò la sua mano con un’occhiata che mi fu chiosa bastante a quel testo.
È pur deplorabile la pittura ch’io paleserò qui del mio fievole cuore! Confesso dunque ch’ei fu straziato da tanta pena, che più degne occasioni non avrebbero potuto infliggergli mai — Io era mortificato d’avere perduta quella mano; e il modo ond’io l’aveva perduta, non recava nè olio nè vino sulla ferita: nè mai da che vivo ho sì miseramente provato la confusione d’una sguajata inferiorità.
Ma in un vero cuor femminile il trionfo di queste sconfitte è brevissimo; ed ella assai prima d’un mezzo minuto aveva, come per finire il discorso, posata già la sua mano sulla balzana del mio abito: così che — ma io non so come; sappialo Dio! — racquistai la mia posizione — Ella non avea più che dire.
E immediatamente ripresi a modellare una conversazione più confacente all’ingegno ed all’animo della signora, da che m’accorsi ch’io n’aveva mal conosciuto il carattere; ma mentr’ella rivolgevasi a me, vidi che gli spiriti i quali avevano animato la sua risposta, s’erano a un tratto smarriti — i muscoli rallentavansi; ed io contemplava di nuovo quell’aspetto di sventura derelitta che mi fece a bella prima tutto suo — Che passione a veder tanto brio mortificato dall’afflizione! — il mio cuore gemeva per lei di pietà — or voi anime assiderate vorreste provarvi di ridere: ma io avrei potuto abbracciarla — e senza arrossirne — e riconfortarla, anche in mezzo alla via, sul mio petto.
Le pulsazioni delle arterie delle mie dita compresse sovra le sue, le dicevano com’io stessi dentro di me: ella chinava gli occhi — e taceva; io taceva.
E in quella io temeva d’essermi tanto quanto provato di stringere un po’ più la sua mano, perch’io mi sentiva nella palma una sottilissima sensazione — non come se la signora volesse ritrare la mano — ma che ci pensasse — ed io irremissibilmente la riperdeva, se l’istinto, più che la ragione, non m’avesse guidato all’ultimo ripiego in tali frangenti — di tenerla lentissimamente e quasi lì lì per lasciarla da me; così ella lasciò correre, finchè monsieur Dessein tornò con la chiave, ed io in quel mezzo fantasticava: Certo certo — se il povero francescano le avesse ridetto il suo caso meco — e’ bisogna pure ch’io mi liberi dal tristo concetto che le si sarà piantato nell’animo — ma e come? mi posi a cercar questo come.