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X. LA PORTA DELLA RIMESSA

CALAIS


Allorchè dissi al lettore che non mi giovava d’uscire della désobligeante perch’io vidi il frate alle strette con una signora smontata in quel punto all’albergo — io gli dissi il vero; ma non tutto il vero; perch’io mi sentiva più che mai allettato dalla sembianza avvenente della signora; e intanto il sospetto mi martellava dicendo: Vedi che il frate le narra ogni cosa di te. In questa mia perplessità, mi sarebbe piacciuto che il frate fosse nella sua cella.

Ove il cuore precorra l’intelletto, libera sempre da mille travagli il giudizio — ed io mi persuasi [p. 27 modifica]subito che quella donna fosse una delle creature predilette dalla Natura — tutta via non ci pensai più; e attesi a scrivere il mio proemio.

Nel nostro incontro in mezzo alla via l’impressione tornò: e la vereconda franchezza con che mi porse la mano fu indizio per me del buon senso e dell’ottima educazione di quella dama; e nel guidarla io sentiva intorno alla sua persona tale voluttuosa arrendevolezza che confortò di dolcissima calma tutti i miei spiriti.

— Dio mio! oh come un’uomo condurrebbe sì fatta creatura intorno il globo con sè!

Io non aveva ancor veduto il suo volto — e non mi premeva: l’effigie fu presto dipinta; ed assai prima che noi fossimo all’uscio della rimessa la fantasia aveva bella e pennelleggiata tutta la testa, e si compiaceva dell’adottata sua diva, quanto se si fosse tuffata per essa nel Tevere1 — Pur [p. 28 modifica]tu se’ una sedotta e seducente mariuola; e sebbene ci frodi sette volte al giorno con le pitture e con le immagini tue, tu hai sì dolci malìe, e tu abbellisci le immagini tue delle fattezze di altrettanti angeli di luce, ch’ei saria gran peccato a inimicarsi con te.

Quando fummo alla porta della rimessa, la signora abbassò dalla fronte la mano, e mi lasciò vedere l’originale — un volto di forse ventisei anni — d’un trasparente bruno vaghissimo, schiettamente adornato senza cipria nè rouge — e non era regolarmente bello; ma spirava un non so che, che nel mio stato d’allora m’attraeva che nulla più — mi toccava il cuore; ed immaginai che vestisse i caratteri d’un sembiante vedovile, e che il cordoglio avendo già superati i primi due parossismi si trovasse allora in declinazione, e andasse adagio adagio rassegnandosi alla sua perdita — se non che mille disgrazie diverse poteano avere dipinto di tant’afflizione quel volto; ed io mi struggea di saperlo — e se le bon ton della conversazione me l’avesse consentito come a’ dì d’Esdra, l’avrei interrogata senz’altro: — E che mai ti tormenta? e perchè se’ tu inquieta? e perchè è si turbato l’animo tuo2? — Insomma io mi sentiva della [p. 29 modifica]benevolenza per lei; e disegnai — s’io non poteva la mia servitù — d’offerirle, non foss’altro, com’io poteva il mio obolo di cortesia.

Sì fatte erano le mie tentazioni — e così l’anima mia le ascoltava, quand’io rimasi solo con la signora, e con la sua mano nella mia, e co’ visi rivolti all’uscio della rimessa: e più presso di quello che fosse essenzialmente necessario.

Note

  1. A chi per propria discolpa taccia di licenziosa la fantasia del povero Yorick, parrà qui ch’ei mirasse la sua nuova diva senz’alcun velo come Pallade e Diana furono già vedute dalle fantasie de’ poeti ne’ lavacri de’ fiumi. Ma i lettori casti crederanno anzi ch’egli più veramente alluda alle fantasie innocenti degli antiquarj, i quali assegnano un nome d’eroina o di diva a ciascheduna di quelle statue sommerse dall’ignoranza de’ barbari, e dallo zelo de’ cristiani nel Tevere, e dissotterrate a’ dì nostri.
  2. Quid tibi est? et quare conturbatus est intellectus tuus, et sensus cordis tui? et quare conturbaris? — Esdr. iv. 10. 31. Ma qui e altrove s’è letteralmente tradotta la Bibbia inglese di cui pare che l’autore siasi sempre valuto.