Viaggio sentimentale di Yorick (1813)/Maria, quando la vide Tristano Shandy
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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VITA E OPINIONI |
DI TRISTANO SHANDY GENTILUOMO |
vol ix. cap. xxviii.
— Erano le più dolci note ch’io avessi udito mai: e calai tosto il cristallo per udire distintamente — È Maria, dissemi il postiglione, il quale s’avvide ch’io stava attento — Povera Maria! e si chinò da un lato perch’egli stava in linea retta, e temeva ch’io non potessi vederla — eccola lì, seduta a quel greppo, sonando i vespri sul flauto con la sua capretta da canto. E queste parole furono da quel giovinotto proferite con accento e con volto sì concordi a’ moti d’un cuore pietoso, ch’io feci subito voto di dargli una moneta di ventiquattro soldi tosto ch’io fossi a Moulins —
— E chi è la povera Maria? gli diss’io.
È l’amore e la pietà di tutto il contado qui attorno, risposemi il postiglione — il Sole, tre anni fa, non risplendeva sul viso di veruna fanciulla nè più avvenente, nè più spiritosa, nè più amabile di Maria: povera Maria! tu non meritavi che le tue nozze ti fossero interdette per le brighe del curato della parrocchia.
E seguitò a dirmi come il curato aveva fatte già dall’altare le denunzie di quelle nozze —
— Se non che Maria, che s’era un po’ riposata, s’accostò il flauto alla bocca, e ripigliò la sua aria — ed erano le medesime note — ma dieci volte più soavi. Questo è l’ufficio della sera alla vergine, disse il ragazzo — nè si sa chi a lei l’abbia insegnato, nè come riesca a sonarlo sul flauto — noi crediamo che il cielo per sua misericordia la ispiri; perchè dal dì ch’ella è fuori di sè pare che non trovi verun altra consolazione; non si lascia uscire di mano quel flauto, e sona l’ufficio quasi dì e notte.
La discrezione e l’ingenua eloquenza del postiglione mi costringevano a diciferare certa gentilezza che gli traspariva, superiore alla sua condizione, dal viso; e sarei stato voglioso di sapere la sua storia: ma allora l’anima mia era tutta della sfortunata Maria.
Ci siamo frattanto avvicinati al greppo ove sedeva Maria. Portava un rado guarnellino bianco; e tutti i capelli, da due ciocche in fuori, ravvolti in una rete di seta con alquante foglie d’ulivo bizzarramente intrecciatevi da una banda — Era bella assai! e s’io ho mai provato la piena d’un onesto crepacuore fu nel punto ch’io la guardai —
— Iddio ti consoli! povera donzella! esclamò il postiglione. E volgendosi a me, tornò a dire: Più di cento messe si sono già celebrate in tanti conventi, e nelle chiese parrocchiali del contado per lei — ma senza pro — talvolta rinviene in sè stessa; e noi abbiamo fede che un dì la Vergine la risani; ma i meschini suoi genitori che la conoscono meglio di noi, non però sono consolati nemmeno dalla speranza; e temono che non riavrà più i suoi sentimenti, mai più.
Com’ebbe il postiglione ciò detto, Maria fece una cadenza sì melancolica, sì affettuosa, e sì querula ch’io balzai fuor di carrozza a riconfortarla; e nel risentirmi del mio entusiasmo, mi trovai seduto in mezzo a lei e la sua capra.
Maria m’affissò pensosa alcun poco — poi guardò la sua capra — poi me — e poi la sua capra ancora — e così ora l’una ora l’altro.
— Orbene, Maria, le dissi amorosamente — che rassomiglianza ci trovate voi?
Ma e tu, candido lettore, credi, ch’io non le feci questa interrogazione se non perch’io sono umilmente convinto che anche l’uomo è una bestia — credimi, e di questo te ne scongiuro, ch’io non avrei lasciato andare una burla intempestiva alla presenza venerabile della miseria; no, quand’anche m’impadronissero di quanta arguzia sgorgò mai dalla penna di Rabelais.
Addio Maria! Addio povera mal’avventurata donzella — non oggi — un dì forse, udrò dalle tue labbra i tuoi guai, e fui sino ad ora deluso. Intanto ella prese il suo flauto, e mi fe’ con esso tal racconto di sciagura, ch’io mi rizzai e a passi rotti ed incerti me ne tornai adagio adagio alla mia carrozza.