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parte sono composti i lidi, e l’Isole dell’Istria, e della Dalmazia, i Romani non avrebbono avuto bisogno di trarlo da Traù. I monti vicini a Roma, che dominano le Paludi Pontine sino a Terracina, (per lasciar da parte i mediterranei di que’ contorni) sono per lo più composti di questa medesima spezie di marmo, che io credo di poter chiamare marmo, o pietra forte dell’Apennino, da che l’ossatura di quella catena di monti n’è quasi totalmente composta. Egli è certo, che con molto minore spesa se ne potevano condurre masse grandissime da Terracina a Roma, che dalla Dalmazia. Nè si può dire, che i Romani non conoscessero le cave del marmo Apennino, e non sapessero quanti gran pezzi se ne potessero trarre. Fra gli altri luoghi, ne’ quali appariscono i lavori de’ loro tagliapietra, è illustre quel pezzo di monte marmoreo tagliato a piombo in riva del mare appunto presso Terracina per CXX piedi, a fine di togliere un incomodo passo alla via Appia. Voi l’avrete certamente esaminato da vicino nel passaggio, che faceste da quella parte, andandovene a Napoli per visitare il Vesuvio. S’eglino avessero poi voluto, per una stravaganza, che non si dee attribuire a così avveduto popolo, avere dalla lontana Provincia un marmo ignobilissimo, non lo avrebbero preso da Traù, ma dalle parti più orientali della Dalmazia, e dall’Isole men lontane, che ne abbondano egualmente, e nelle quali v’erano pure stabilimenti Romani. A tutto questo s’aggiunge, che fra le rovine di Roma non si vedono lavori di questa sorte di marmo, trovandosi sempre nelle fabbriche antiche adoperata la pietra forte di Tivoli, chiamata Travertino da’ marmoraj de’ nostri tempi, o il Peperino tolto dai colli vicini alla Città stessa, non già da Piperno, e finalmente il tufo arenoso Vulcanico, che veniva dai