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to ancora se siano benestanti; queste stiacciate cuociono di giorno in giorno su la pietra del focolare, ma quelle di frumento rare volte si mangiano nelle capanne de’ poveri. I cavoli cabusi inaciditi, de’ quali fanno la maggior possibile provvigione, le radiche, ed erbe esculente, che trovansi pe’ boschi, o pelle campagne, servono loro sovente di companatico poco costoso, e salubre: ma l’aglio, e le scalogne sono il cibo più universalmente gradito dalla Nazione, dopo le carni arroste, pelle quali ànno trasporto; ogni Morlacco caccia molti passi dinanzi a se gli effluvj di questo suo alimento ordinario, e s’annunzia di lontano alle narici non avvezze. Mi ricordo d’aver letto, non so dove, che Stilpone rimproverato d’esser andato al Tempio di Cerere dopo d’aver mangiato dell’aglio, il che era vietato, rispose „ dammi qualche altra miglior cosa, e io lascierò di mangiarne“. I Morlacchi non farebbero questo patto; e se lo facessero potrebb’essere, che se n’avessero da pentire. È probabile, che l’uso di questi erbaggi corregga in parte la mala qualità dell’acque de’ serbatoj fangosi, o de’ fiumi impaludati, da’ quali molte popolazioni della Morlacchia sono in necessità d’attingere nel tempo di state, e contribuisca a mantener lungamente robusti, e vegeti gl’individui. V’ànno difatto vecchi fortissimi, e verdi in quelle contrade, e io penderei a darne una parte di merito, anche all’aglio, checchè ne possano dire i partigiani d’Orazio. M’è sembrato stranissimo, che facendo i Morlacchi tanto consumo di cipolle, scalogne, ed agli, non ne mettano nelle loro vaste, e pingui campagne, e si trovino costretti d’acquistarne d’anno in anno per molte migliaja di ducati dagli Anconitani, e Riminesi. Sarebbe per certo una salutare violenza o, per megljo dire, un tratto di paterna carità quello, che li costringesse a