Viaggio in Dalmazia/De' Costumi de' Morlacchi/13. Utensili, e capanne; vestiti, ed armi
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§. 13. Utensili, e capanne; vestiti, ed armi.
Le Schiavine provenienti dal paese Turco servono di materasse ai Morlacchi più benestanti; rarissimo fra loro è il riccone, che abbia un letto alla nostra usanza, nè vi sono assai frequenti quelli che abbiano lettiere di legno rozzamente connesse, nelle quali dormono senza materasse, o lenzuola, fra le Schiavine. Il letto della maggior parte è il suolo ignudo, su di cui stendono la coperta, nella quale si ravvolgono come fegatelli, mettendovi al più qualche poco di paglia sotto. Nel tempo di state amano di dormire all’aria aperta del cortile, e prendono per certo il miglior partito per liberarsi dagl’insetti domestici. I mobili delle loro capanne sono i pochi, e semplici, che abbisognano ai Pastori, e agli Agricoltori poco avanzati nell’Arti loro. Se le case de’ Morlacchi ànno un solajo, e un tetto di pietra, o di coppi, le travature sono il guardarobba della famiglia, che deve in tal caso essere ben provveduta: le Signore però dormono in terra, anche abitando così nobili case. Io mi sono trovato qualche volta anche a vederle macinare sino alla mezza notte trascorsa, urlando ad alta voce non so quali diaboliche Canzoni, nella stanza medesima, in cui io dovea dormire, e in cui dormivano saporitamente a tal musica dieci, o dodici persone stese per terra. Ne’ luoghi rimoti dal mare, e dalle Città, le case de’ Morlacchi, non sono pell’ordinario, che capanne coperte di paglia, o di zimble; così chiamano certe assiccelle sottili usate invece di tegole pelle montagne, dove non si trovano pietre scissili da impiegare a quest’uso, o dove temono, che il vento possa accoppare gli abitanti sotto le rovine dei tetti. Gli animali abitano il medesimo tugurio, divisi dai padroni col mezzo d’un’intrecciatura di bacchette impiastricciate di fango, o di sterco bovino; le muraglie delle capanne o sono anch’esse di questa materia, o sono grossissimi ammassi di pietre unite a secco, l’una sopra l’altra.
Nel mezzo della capanna sta il focolare, il di cui fumo esce per la porta, non avendovi pell’ordinario altre aperture. Quindi neri, ed inverniciati sono al di dentro i miserabili tugurj, e tutto vi puzza d’affumicato, non eccettuandone il latte, di cui si sostentano i Pastori Morlacchi, che l’offeriscono volontieri a’ viandanti. Le vesti, e le persone contraggono il medesimo odore. Tutta la famiglia usa cenare d’intorno al focolare nelle stagioni, che rendono grato il fuoco; e ciascuno dorme allungandosi nel luogo medesimo, dove à cenato sedendo in terra. In qualche tugurio si trovano delle panche. Ardono il burro in vece d’oglio nelle lucerne: ma per lo più adoperano scheggie di sapino per aver lume di notte, il fumo delle quali annerisce stranamente i loro mostacci. Qualche ricco Morlacco à case alla Turchesca, e scranne, o altro mobile alla nostra maniera: ma pell’ordinario anche i ricchi stanno selvaggiamente. Ad onta della povertà, e poca pulizia delle abitazioni loro, i Morlacchi ànno abborrimento ad alcune immondizie, che noi ritenghiamo nelle nostre stanze per molte ore, del che ci beffano come barbari, e sporchi. Non v’è uomo, o donna in quelle contrade, che, per qualunque malattia, potesse essere indotto a liberarsi dal soverchio peso degl’intestini nella propria capanna; anche i moribondi sono portati fuori, perchè all’aperto facciano questa funzione. Chi bruttasse con tale immondezza i loro tugurj, per disprezzo, o per inesperienza, correrebbe gran rischio della vita, o di una solenne bastonatura per lo meno.
Il vestire comune del Morlacco è assai semplice, ed economico. Le Opanke servono di scarpe così a’ maschi come alle femmine; mettonvi il piede vestito d’una specie di borzacchino fatto a maglia, cui chiamano Navlakaza, e che va ad incontrare al di sopra del malleolo l’estremità de’ calzoni, da’ quali tutta la gamba è coperta. Questi sono di grossa rascia bianca, legati intorno a’ fianchi da una cordicella di lana, che li chiude a foggia di sacco da viaggio. La camicia entra pochissimo in questi calzoni; perchè di poco oltrepassa il bellico, sino al quale i calzoni arrivano. Sopra di essa portano un giubbetto corto, cui chiamano Jaçerma, al quale in tempo d’inverno sovrappongono un piviale di grosso panno rosso; questo piviale dicesi Kabaniza, e Japungia1. In capo portano un berretto di scarlatto detto Capa, e sopra una spezie di turbante cilindrico nominato Kalpak. I capelli usano radere, lasciando un solo codino alla Polacca, e alla Tartara. Si cingono l’anche con una fascia rossa di lana, o di seta fatta a rete di grossa cordicella, fra la quale, e i calzoni annicchiano le loro armi, vale a dire una, o due pistolle di dietro, e dinanzi un enorme coltellaccio, detto Hanzàr, colla guaina d’ottone adorna di pietre false; questo è spesso raccomandato a una catena dello stesso metallo, che gira sopra la fascia. Nel medesimo nicchio sogliono trovar luogo a un cornetto tutto marchettato di stagno, in cui tengono del grasso per difendere l’armi dalla pioggia, ed ungere se medesimi, se camminando si scorticano in alcun luogo. Così pende dalla fascia una picciola patrona, nella quale tengono l’acciarino, e il denaro, se ne ànno; il tabacco da fumare è anch’egli raccomandato alla fascia, chiuso in una borsa fatta di vescica secca. La pippa tengono dietro alle spalle, cacciandone la canna fra la camicia, e la pelle col camminetto all’in fuori. Lo schioppo è sempre su la spalla del Morlacco allorch’egli esce di casa.
I Capi della Nazione sono più riccamente vestiti, e si può giudicare del buon gusto de’ loro abiti dalla Tavola IV., che rappresenta nella Figura il mio buon Ospite di Coccorich.
- ↑ Da queste voci derivano probabilmente le nostre, Gabbàno, e Giubbone.