Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/Le Memorie di Pisa

Le Memorie di Pisa

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Il Ballo La Terra dei Morti
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LE MEMORIE DI PISA.



Sempre nell’anima
     Mi sta quel giorno,
     Che con un nuvolo
     D’amici intorno
     D’Eccellentissimo
     Comprai divisa,
     E malinconico
     Lasciai di Pisa
     La baraonda
     Tanto gioconda.

Entrai nell’Ussero
     Stanco, affollato;
     E a venti l’ultimo
     Caffè pagato,
     Saldai sei paoli
     D’un vecchio conto,
     E poi sul trespolo
     Lì fuori pronto,
     Partii col muso
     Basso e confuso.

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Quattro anni in libera
     Gioia volati
     Col senno ingenito
     Agli scapati!
     Sepolti i soliti
     Libri in un canto,
     S’apre, si compita,
     E piace tanto
     Di prima uscita
     Quel della vita!

Bevi lo scibile
     Tomo per tomo,
     Sarai Chiarissimo
     Senz’esser uomo.
     Se in casa eserciti
     Soltanto il passo,
     Quand’esci, sdruccioli
     Sul primo sasso.
     Dal fare al dire
     Oh! v’è che ire!

Scusate, io venero,
     Se ci s’impara,
     Tanto la cattedra
     Che la bambara;
     Se fa conoscere
     Le vie del mondo,
     Oh buono un briciolo
     Di vagabondo,
     Oh che sapienza
     La negligenza!

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E poi quell’abito
     Roso e scucito;
     Quel tu alla Quacchera
     Di primo acchito,
     Virtù di vergine
     Labbro in quegli anni,
     Che poi stuprandosi
     Co’ disinganni,
     Mentisce armato
     D’un lei gelato!

In questo secolo
     Vano e banchiere
     Che più dell’essere
     Conta il parere,
     Quel gusto cinico
     Che avea ciascuno
     Di farsi povero,
     Trito e digiuno
     Senza vergogna,
     Chi se lo sogna?

O giorni, o placide
     Sere sfumate
     In risa, in celie
     Continuate!
     Che pro, che gioia
     Reca una vita
     D’epoca in epoca
     Non mai mentita!
     Sempre i cervelli
     Come i capelli!

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Spesso di un Socrate
     Adolescente,
     N’esce un decrepito
     Birba o demente:
     Da sano, è ascetico;
     Coi romatismi,
     Pretende a satiro:
     Che anacronismi!
     Dal farle tardi
     Cristo ti guardi.

Ceda lo studio
     All’allegria
     Come alla pratica
     La teoria;
     O al più s’alternino
     Libri, e mattie,
     Senza le stupide
     Vigliaccherie
     Di certi duri
     Chiotti e figuri.

Col capo in cembali,
     Chi pensa al modo
     Di farsi credito
     Col grugno sodo?
     Via dallo viscere
     L’avaro scirro
     Di vender l’anima,
     Di darsi al birro,
     Di far la robba
     A suon di gobba.

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Ma il punch, il sigaro,
     Qaaldie altro sfogo,
     Uno sproposito
     A tempo e luogo;
     Beccarsi in quindici
     Giorni l’esame,
     In barba all’ebete
     Servitorame
     Degli sgobboni
     Ciuchi e birboni;

Ecco, o purissimi,
     Le colpe, i fasti,
     Dei messi all’Indice
     Per capi guasti.
     La scapataggine
     È un gran criterio,
     Quando una maschera
     Di bimbo serio
     Pianta gli scaltri
     Sul collo agli altri.

Quanta letizia
     Ravviva in mente
     Quella marmorea
     Torre pendente,
     Se rivedendola
     Molt’anni appresso,
     Puoi compiacendoti
     Dire a te stesso:
     Non ho piegato
     Nè pencolato!

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Tali che vissero
     Fuor del bagordo,
     E che ci tesero
     L’orecchio ingordo,
     Quando burlandoci
     Dei due Diritti,
     Senza riflettere
     Punto ai Rescritti,
     Cantammo i cori
     De’ tre colori;

Adesso sbraciano
     Gonfi e riunti,
     Ma in bieca e itterica
     Vita defunti.
     E noi (che discoli
     Senza giudizio!)
     Siam qui tra i reprobi
     Fuor di servizio,
     Sempre sereni
     E capi ameni.

A quelli il popolo,
     Che teme un morso,
     Fa largo, e subito
     Muta discorso:
     A noi repubblica
     Di lieto umore,
     Tutti spalancano
     L ebraccia e il core:
     A conti fatti,
     Beati i matti!