Una porta d'Italia col Tedesco per portiere/Lingue che parlano chiaro

Lingue che parlano chiaro

../Cifre e grammatica ../Il tempo conta IncludiIntestazione 22 aprile 2018 100% Da definire

Cifre e grammatica Il tempo conta
[p. 27 modifica]

LINGUE CHE PARLANO CHIARO

[p. 29 modifica] Fra Bolzano e Salorno, lungo la valle dell’Adige tutta verde di pampini, s’incastra come un cuneo profondo nella terra trentina, la così detta «Zona mistilingue».

I tedeschi del Deutscher Verband non vogliono che si dica mistilingue. Per loro non c’è niente di misto laggiù; si tratta di territorio tedesco, abitato da tedeschi, lasciato al dominio del Verband. Il censimento austriaco l’ha trovato tedesco. L’Austria lo ha incluso nel Tirolo tedesco; l’Italia, succedendo rispettosamente all’Austria, l’ha aggregato al collegio elettorale di Bolzano; vi vigono istituzioni tedesche: gli asili infantili, le scuole, le chiese, gli uffici, le scritte, gli avvisi, tutto è tedesco. Dunque? Che c’è d’italiano?

Oh, un’inezia: la popolazione.

Gli abitanti in enorme maggioranza sono italiani: di razza, di nome, di lingua. La vallata era in tempi lontani paludosa e deserta, e gl’italiani sono saliti a risanarla e a lavorarla, perchè loro soli sapevano farlo. Sono saliti una generazione [p. 30 modifica] dopo l’altra, hanno invaso la valle desolata trasformandola in giardino, dandole fisionomia italiana, hanno riempita di villaggi dall’aria nostrana e dal nome veneto, vi hanno portato l'ignorata ricchezza della vigna, l’oro e il rubino dei vini. Abbiamo percorso passo passo questa terra, ci siamo fermati ad ogni centro, ci siamo seduti presso alle fontane ad ascoltare le donne che andavano per l’acqua e i contadini che conducevano i buoi all'abbeveratoio, siamo entrati nei negozi e nelle taverne per udir parlare la gente, siamo accorsi al pigolìo dei bimbi che uscivano dalle scuole (tedesche) e non abbiamo udito altro idioma che il dolce dialetto della Venezia Tridentina. Talvolta, vedendosi ascoltato da uno sconosciuto, qualcuno taceva sospettoso, qualchedun altro continuava il discorso in un bizzarro tedesco da portiere d’albergo, perchè questo è l’ordine dei superiori: ma la lingua imbarazzata ricadeva subito nella loquela familiare. Italiana è la lingua del focolare. Abbiamo sott’occhio gli elenchi degli alunni delle scuole tedesche classificati per nazionalità e per lingua. Vi è dall’80 al 96 per cento di nomi italiani e italiana è la parlata materna di questa enorme maggioranza costretta a balbettare tedesco appena entra nel Kindergarten.

In questa zona vivono i todeschi che i parla per talian. Molti di loro quando vogliono scrivere deutsch scrivono taisc con una ortografia che urla: Italiano! L’anno scorso a Laives ed in altre [p. 31 modifica] borgate gli aderenti al Deutscher Verband, padroni dei municipi, vollero dimostrare inconfutabilmente che gli abitanti erano tedeschi. Dovendo, per bontà nostra, distribuire le tessere dello zucchero, fecero sapere che lo zucchero era per i tedeschi e chiesero delle dichiarazioni di nazionalità. I taisc piovvero. Pochi ebbero il coraggio di dirsi internazionali e si rassegnarono a stare senza zucchero. Se avessero osato di confessarsi italiani, sarebbero rimasti anche senza pane. L’eroismo ha un limite. Non è facile essere italiani quassù quando si è povera gente. Tutto quello che sta sopra, che comanda, che domina, che paga, è tedesco o dipende dai tedeschi. Si attacca l’asino dove vuole il padrone. E poi, l’italianità qui non è una cosa di cui venga voglia di vantarsi. È il marchio di una inferiorità antica dalla quale è umano che si tenti di uscire. Per lo meno c’è un vantaggio a rinnegarla. Ne viene sempre un po’ di zucchero.

Dell’Italia nessuno ha mai saputo niente, salvo che è un paese di scomunicati e di traditori. Non c’è proprio da esserne fieri. In ogni caso essa non conta molto agli occhi della gente. Noi non abbiamo portato nessuna luce, nessuna conoscenza, nessun orgoglio, non abbiamo detto niente, non abbiamo fatto niente, non abbiamo toccato niente. Chi comandava prima comanda ora, quel che si faceva prima si fa ora, come si pensava prima si pensa ora. A dir male dei tedeschi si è per lo meno boicottati e messi in mezzo alla strada, a dir [p. 32 modifica] male dell’Italia si diventa influenti. La scuola italiana è una stalla, la scuola tedesca è un palazzo con delle maestre di Innsbruck o di Vienna che gridano pfui ai figli del ferroviere italiano quando passano per andare alla stalla. Come non farsi piccoli e non scrivere taisc sotto al nome?

Conviene fare i tedeschi per vivere. I più fieri pangermanisti locali si chiamano teutonicamente Gelmini, Gozzi, Abbelini... Se volete sentire delle buone insolenze contro l’Italia andate alla predica di don Clementi a Laives, o di don Magagna a Magre, o di don Zia a Laghetti, tutti goti della razza di Nicolussi. Citiamo questi nomi solo per mostrare quanto sia profonda e assoluta l’italianità dei luoghi, se di essa è fatta persino la materia di cui si compone l’inimicizia all’Italia. Facile e comoda inimicizia! Chi teme gli assenti e chi può esserne confortato e sorretto? L’Italia rimane impassibile e lontana, ha riconfermato l’autorità e il comando ai vecchi capi suoi nemici. Essa governa per interposta persona, e l’interposta persona è il Deutscher Verband. Cioè un simulacro dell’Austria.

Dobbiamo stupirci se i maestri tedeschi insegnano alla gioventù italiana la nostra storia sui testi e con le idee dell’Austria? Quando il calendario scolastico impone delle vacanze per ricorrenze patriottiche, non si dice ai bimbi italiani perchè si fa vacanza. Non debbono sospettare che l’Italia abbia delle glorie. Si proibisce agli allievi di cantare canzoni italiane e si fanno cantar loro [p. 33 modifica] in coro i canti dell’Impero e l’inno di Andrea Hofer. Noi li abbiamo uditi. Non vi sono ispettori italiani che sorveglino questa strana istruzione impartita in una provincia del Regno. Anche l’ispettorato è tedesco. Noi siamo buoni. Si lascia così che sotto al nostro dominio ci si forgino nemici anche con i figli della nostra stessa razza. Giorni or sono i maestri tedeschi dell’Alto Adige (fra i quali sono più di cento stranieri, austriaci d’oltre Brennero) riuniti a congresso a Bolzano hanno all’unanimità rifiutato d’inviare al capo dello Stato il rituale telegramma di omaggio, dimenticando che sono maestri in Italia, e questa ingiuria è sembrata nell’ordine naturale delle cose.

C’è un’Italia? Il potere diretto ed effettivo non appare forse esercitato dagli uomini del vecchio regime? Non sono alcuni di loro di quei pangermanisti che nella primavera del 1918 risolvettero i confini dell’Austria fossero avanzati oltre le valli superiori dell’Adda e dell’Oglio, oltre le rive meridionali del Garda, oltre l’Altipiano dei Sette Comuni, fino alla pianura veneta? Non sono gli stessi che per consolidare la vittoria aspettata progettarono l’esilio degli irredentisti trentini, la confisca dei loro beni, la nomina di un vescovo austriaco a Trento, l’insegnamento obbligatorio del tedesco nelle province italiane, vecchie e nuove?...

L’Austria aveva conferito al Tirolo tedesco una funzione di penetrazione e di lotta, un compito di germanizzazione: tutto vi è stato organizzato per [p. 34 modifica] stendere lungo la valle dell’Adige e per le vallate ladine i tentacoli formidabili dell’intedescamento. Interessi di tutte le sorta, influenze di tutti i generi, religione, cultura, ogni forza, ogni sapienza, ogni abilità, sono stati messi in opera, metodicamente, con l’appoggio possente della legislazione statale, con l’opera multiforme di ricche associazioni sovvenzionate dal Governo, per assorbire una nazionalità senza soccorso e avanzare sulle sue rovine la frontiera del blocco germanico. La guerra ha accelerato questo processo che dura da trentanni. Trent’anni fa non c’erano che scuole e chiese italiane nelle zone italo-ladine. Allo scoppio della guerra, nel territorio mistilingue la predica era ancora tenuta una volta in italiano e una volta in tedesco — l’italianità è dura a digerirsi: — ora solo in tedesco. Il regime militare ha favorito l’applicazione di metodi sbrigativi, che, come abbiamo visto, continuano. La guerra delle razze non ha avuto armistizio, non è stata fermata dalla vittoria.

Adesso, i dirigenti tedeschi non hanno che una paura: quella di vedersi imitati. Reclamano clamorosamente il rispetto della loro nazionalità, della loro cultura, delle loro leggi, quasi che si potesse usare un rispetto più grande di quello che abbiamo dimostrato finora. Vogliono un’autonomia completa, amministrativa e legislativa, che permetta loro di chiuderci la porta in faccia e di tirarsi in casa tutte le genti che fanno passare [p. 35 modifica] come tedesche, per fortificarsi nel numero, per apparire più di quei 180.000 che in realtà sono, per conservare intatte le conquiste proclamate dalla loro «carta di guerra». Questa premura di isolarsi col loro bottino d’uomini e di terre dietro alle muraglie di una garanzia costituzionale, aspettando la riunione alla «Gran Madre Germanica», significa in fondo: Non fate a noi quel che facciamo agli altri!

Quello che fanno agli altri è troppo iniquo per essere preso a modello. Il rispetto alle nazionalità è la base del nostro sentimento politico, e appunto perciò noi pensiamo che i tedeschi debbano poter rimanere liberamente tedeschi sotto alla nostra bandiera, a condizioni ben determinate e ben ponderate. Ma gl’italiani restino italiani e i Ladini ladini, da questa parte del muro. La razza, la nazionalità, non è un’opinione. Tedeschi, Italiani e Ladini non possono venir confusi. La lingua, è il caso di dirlo, parla chiaro. Usino per primi i tedeschi quel rispetto che reclamano da noi. Su le mani dalle regioni e dalle genti nostre! Sarebbe mostruoso e ridicolo che noi premiassimo la lotta all’italianità, che convalidassimo una usurpazione di anime e di beni, che gonfiassimo col nostro stesso sangue il foruncolo tedesco per farne un tumore maligno. Non dimentichiamo che la questione dell’Alto Adige, lieve e facile per se stessa, si complica e si aggrava perchè diviene una questione del Brennero. Se i tedeschi veri sono [p. 36 modifica] relativamente pochi, rimangano in pochi: non hanno bisogno di fingersi molti per esser liberi. A Gressoney ce n’è anche meno, e si mantengono da secoli nobilmente tedeschi fra noi.

«Ma — afferma Nicolussi — questi italiani e questi ladini si dichiarano tedeschi, essi hanno diritto di autodecisione». È giusto. Essi potranno scegliere liberamente quando, sciolti da ogni vincolo, saranno posti in condizione di sapere, di capire e di decidere. Troppo ignorano. Abbiano scuola italiana, chiesa italiana, giustizia italiana, sentano che cosa siamo e che cosa sono. Poi dicano.