Una porta d'Italia col Tedesco per portiere/Il tempo conta

Il tempo conta

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IL TEMPO CONTA

[p. 39 modifica] L’annessione di una provincia dovrebbe essere un fatto, non una espressione. Agli occhi della popolazione dell’Alto Adige l’annessione è apparsa una formula vuota di significato; non ha mutato le cose più che se si fosse trattato di un fenomeno astronomico. Tutto è rimasto come prima e ha continuato a funzionare come prima. Durante l’armistizio avevamo lasciato correre l’acqua al mulino del Deutscher Verband, soddisfatti del perfetto accordo che la nostra acquiescenza stabiliva fra noi e le autorità tedesche rimaste al potere. Ma allora avevamo almeno il pretesto che si trattava di un regime di occupazione giuridicamente provvisorio, che noi eravamo semplicemente i depositari di territori la cui sorte non era decisa. L’annessione però, non portando mutamenti sensibili, ha confermato quell’assurdo regime, lo ha convalidato, ne ha fatto apparentemente il regime del possesso.

Noi vogliamo far presente la responsabilità assai grave che di fronte al Paese si è assunta chi [p. 40 modifica] mantiene per un tempo indefinito in questa nuova provincia l’abdicazione governativa, l’assenza di ordinamenti tollerabili, sia pure transitori, l’abbandono degli organismi amministrativi, politici, giudiziari e culturali alle influenze più apertamente avverse a tutto ciò che è italiano. Si perpetrano così e si consolidano condizioni capaci di compromettere completamente le decisioni del Parlamento sulla sistemazione definitiva di queste terre, quelle decisioni che, appunto non facendo niente, si ha l’aria di non voler pregiudicare. Perchè un territorio non è una cosa inerte che lasciata a se rimanga inalterata, non dorme il sonno della Bella nel bosco, ma vive, pensa, ha bisogni e opinioni, assume la mentalità che le circostanze le forgiano, si trasforma come il cuore di quei poveri italiani ai quali permettiamo che si insegni che sono tedeschi, si crea nuove abitudini. E se la nostra teorica sovranità non fa sentire una influenza, rimane lontana, inafferrata, ignota al sentimento del popolo alto-atesino, la cui innata disciplina e la cui istintiva obbedienza si legano definitivamente ad altro comando. Il tempo conta.

Il sovvertimento attuale, che ci inganna perchè si copre di un ordine esteriore tutto tedesco, può divenire pericoloso prolungandosi. Occorre una affermazione diretta del potere statale, qualche atto di imperio consono alle tradizioni e all’indole del paese, un segno riconoscibile della dominazione, ora così poco sentita. Per esempio, indire la leva [p. 41 modifica] militare. Nel pensiero del popolo, specialmente di quello tedesco, la chiamata alle armi è la manifestazione più chiara e più solenne del diritto sovrano. Bisogna non conoscere questa ottima gente per attendere o per esitare. Il tirolese considera il servizio sotto alle bandiere con un rispetto profondo. Esso non trova pesante la disciplina militare, ama la vita del soldato che conferisce una particella di autorità e fa vedere del mondo. È rimasta qui una nostalgia dell’uniforme. Sopra tutto nelle campagne. Le nostre truppe trovano in molti paesi cordialità e simpatia. Quando al tempo del regime militare aprimmo degli arrolamenti di volontari per il corpo dei carabinieri, si presentarono centinaia di buoni tedeschi, che oggi portano fieramente la nostra divisa e prestano un servizio che tutti gli ufficiali concordi lodano. Bisogna vederli all’opera questi carabinieri teutonici, rigidi, scrupolosi e devoti. La leva sarebbe accolta ancora senza ripugnanza e senza ritrosia. Dobbiamo stabilire almeno in questo una normalità, che il Parlamento solo potrà modificare o sospendere.

Fra i postulati del Deutscher Verband c’è naturalmente l’esenzione dal servizio militare. Si capisce. Se la gioventù alto-atesina scoprisse l’Italia si accorgerebbe che non è quel paese di straccioni che è stato loro descritto. Qui si fabbrica per l'opinione pubblica una Italia disprezzabile, che la miseria precipita sulle incomparabili ricchezze [p. 42 modifica] del Tirolo. I giornali sopprimono tutto quello che può conferire un’idea rispettosa per il nostro paese. Verso l’Italia si erige un muro. Chiudere tutto al sud e aprire tutto al nord: ecco in due parole la politica del Deutscher Verband, Chiudere il passo agli affari, alle idee, al prestigio, alla verità, e, finchè si può, alla legge. È essenziale che non si constati che Bolzano è un po’ meno di Roma. Dobbiamo impedire l’isolamento, rompere il muro che si sta erigendo ostile come un parapetto da trincea, aprire la via alle conoscenze, stringere rapporti morali con il popolo, e non lasciar decadere la consuetudine del servizio militare che potrebbe essere difficile a riattivarsi quando ne fossero arrugginite le molle.

Certo, i pangermanisti da cui prendiamo consiglio ci dicono: Niente leva! Ma non credono a quello che dicono: sono troppo intelligenti. Provano a dirlo per vedere se ci crediamo noi. Non si sa mai! Seguono il proverbio tirolese: «Bisogna chiedere la luna per avere un piatto di crauti». Un giorno a Merano un membro fra i più influenti del Verband mi diceva appunto che «il popolo atesino non può prestare servizio militare sotto alle bandiere dello straniero» (la luna); ma dì fronte ai miei argomenti, conversando, finì per dichiararmi bonariamente che il desiderio dei tedeschi era in fondo che le reclute alto-atesine non fossero disperse nei reggimenti italiani ma «che se ne formassero dei buoni battaglioni alpini sulle [p. 43 modifica] Alpi piemontesi» (i crauti). Non sarei molto sorpreso se nelle nostre sfere governative si fosse rimasti ancora alla luna. Perchè non si indice la leva?

Delle gravi difficoltà burocratiche si oppongono alle operazioni di leva secondo la legge italiana? È probabile. Ma noi possiamo anche in questo applicare la legge austriaca, che vige ancora nelle nuove province e che è eccellente. È possibile che si continui a riconoscere la legge austriaca solo quando non serve a noi? Per salvaguardare e sanzionare la supremazia dello Stato non c’è nessuna legge; non applichiamo quella austriaca perchè noi siamo italiani e non applichiamo quella italiana perchè qui non è in vigore. Tutti sanno come la legislazione austriaca, così liberale nel campo amministrativo, fosse severa nel campo politico e con quanta energia colpisse ogni atto che potesse assumere anche lontanamente le più vaghe apparenze dell’alto tradimento, dell’attentato al nesso statale, della lesa maestà. Obbligati a conservare la legge austriaca noi potevamo almeno affidarle, con i temperamenti consoni al nostro spirito, la difesa dell’autorità suprema e del prestigio d’Italia. Invece no. Quel che costituiva un crimine politico è considerato adesso come l’espressione, incresciosa forse ma inattaccabile, di una libera opinione. Non si puniscono certe energie. Non si puniscono anche perchè adottando i codici austriaci ci siamo dimenticati di sostituirvi alle parole Impero e Imperatore le [p. 44 modifica] parole Regno e Re. Di modo che per molti casi essi hanno continuato a difendere automaticamente l’Austria...

Questione di scrupolo. Potevamo noi, sostituendo delle parole, alterare una legge che ci eravamo impegnati a conservare intatta? E poi, quale persona, quale ufficio, quale dicastero, poteva assumersi la responsabilità di un ritocco? A chi spettava? Sfogliate tutti i volumi della legislazione italiana; il caso non è contemplato. Dunque? Ecco il mistero delle nostre miserie: non si sa mai chi debba fare le cose nell’ora dell’imprevisto. Un’autorità addita l’altra e tutte additano il Parlamento. E intanto l’assurdità, l’incoerenza, l’errore, si perpetuano legalmente, deplorati e intangibili. Possono avvenire quassù fatti di questo genere: un giorno i giornali alto-atesini riportarono propositi volgarmente ingiuriosi per l’Italia tenuti alla Dieta di Innsbruck; il Procuratore del Re ordinò il sequestro dei giornali; il tribunale di Bolzano annullò il sequestro perchè la legge austriaca «copre d’immunità i resoconti del Reichsrath e della Dieta Provinciale». Trento ha cassato la ridicola sentenza, ma rimane stabilito che in nome di S. M. il Re d’Italia e in forza di legge la Giustizia altoatesina riconosce che il capoluogo di provincia dell’Alto Adige è Innsbruck e il Parlamento dello Stato è a Vienna. Possiamo stupirci poi se la gente comune qui non s’è accorta affatto che è in Italia?

Se non ce ne accorgiamo neppur noi! Per un [p. 45 modifica] incidente avvenuto fra un ufficiale e un tramviere meranese, suddito italiano, che ricevette uno schiaffo (non avendo il cambio della moneta pretendeva espellere l’ufficiale dalla vettura), l'«Andreas Hofer Bund» ricorse al Governo... tedesco. Berlino incaricò l’ambasciata germanica a Roma di chiedere cortesi spiegazioni; la Consulta interpellata si rivolse al Ministero dell’Interno: da qui la pratica passò all’Ufficio per le nuove province; questo domandò informazioni a Trento; Trento le sollecitò da Merano. E da Merano, a Trento, a Roma, la spiegazione fece il cammino inverso fino alla Wilhelm Strasse di Berlino senza che apparentemente nessuno trovasse qualche anello di troppo alla catena.

È la leva militare che, invece, può sembrare di troppo. La leva potrebbe forse disturbare quella mirabile formazione volontaria di «pompieri» alto-atesini che, organizzata dai pangermanisti, arreggimenta quasi tutti gli uomini atti alle armi, il dieci per cento circa della popolazione. Noi non siamo gente da intralciare un’opera così vasta di previdenza, anche se i battaglioni dei «pompieri» come avviene, si addestrano in esercitazioni militari al comando di ex-ufficiali austriaci del corpo dei volontari di guerra, e se non mancano armi per armarli, delle quali alcune arriverebbero attraverso la frontiera... Dobbiamo dire però che, a parte l’intenzione evidente e pericolosa dei capi, sotto a questa generale passione pompierista non [p. 46 modifica] c’è ancora che uno sfogo innocente e bene sfruttato dell’istinto militare del popolo e del suo amore per l’uniforme. Ma badiamo bene! Anche questo ci ammonisce che tutto ciò che noi non facciamo sarà fatto egualmente, senza di noi. E contro di noi.

Un giorno lontano potrebbe sorgere in cui ci dovremmo amaramente pentire di avere con la nostra favolosa inerzia trasformato dei «buoni alpini sulle Alpi piemontesi» in un Orgesch sul Brennero.