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XVII XIX

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Passeremo d’un tratto due mesi che scorsero per Ermanno in una sola angoscia. Dopo la lettera di Paolo egli perdette tutte le speranze, e comprese d’esser stato vittima di una dolorosa illusione. — Non si strappa da un cuore nobile la radice di un affetto che v’impresse profondo solco, senza lacrime, e senza sangue; non si abbandonano di subito le più care speranze, nè si soffrono i più grandi disinganni senza che l’anima non riceva tremende scosse, senza amaramente soffrire.

Ermanno concentrò sè stesso in un’attività febbrile, nascose a tutti il suo dolore che tentava d’improntarglisi sul volto, ingannò financo sua madre, simulando talora allegrezza; ma per ciò fare, dovette chiudere nel suo seno tutta l’amaritudine che voleva farsi strada, dovette celare una serpe che gli rose ogni speranza.

Debole per natura, affranto dalle fatiche che s’imponeva studiando continuamente, ricadde ammalato; il morbo che già due volte lo aveva minacciato, ritornò all’assalto più possente di prima.

Verso la fine di febbraio fu obbligato a letto, ove lo troviamo ancora al principio d’aprile.

Da qualche giorno però, dava segni di [p. 201 modifica]miglioramento, ed il medico si azzardò alla promessa che presto l’infermo riacquisterebbe la salute.

Paolo che viveva nell’incertezza, volle un giorno persuadersi egli stesso sullo stato dell’amico. Partì pertanto da Milano per Brescia, ove appena giunto, si recò alla casa di Ermanno. — Lo trovò alzato, accanto al fuoco in arnese da camera.

Era pallido e macilento a tal segno, che Paolo provò una stretta al cuore in vederlo. La madre stava seduta accanto a lui; da due mesi quella povera donna, trascinava una vita di martirio accanto a quel malato scontento di tutto.

Quando Paolo entrò quella buona madre pianse per consolazione, giacchè ella sapeva quanta influenza egli esercitava sull’animo del figlio, e certa che essi avevano molte cose a dirsi, li lasciò soli.

I due amici parlarono per poco di cose indifferenti, infine Ermanno si lasciò sfuggire il nome di Laura. — Paolo, afferrata l’occasione spiegò tutta la sua eloquenza per consigliare l’amico a non più pensare a lei, e con una pittura viva ed animata, tentò di persuaderlo che egli poteva essere ancor felice. — Tutto fu vano. — Ermanno stette ad ascoltarlo, e quando Paolo ebbe terminato, sclamò con aria d’indifferenza agitando la cenere con una canna.

— Tu dici mio buon Paolo che non bisogna mai disperare, che al mondo ve n’ha per tutti della felicità; ma t’inganni d’assai. — Per convincerti di quanto asserisco, è necessario che tu entri alquanto nella mia condizione, è necessario dirti che se gli avvenimenti del passato sono a te larghi di promesse per l’avvenire, per me la cosa corre ben diversa. — Ho tentato varie volte di credere, mi sono spesso confortato alla speranza; ma infine, non trovai che delusioni!.... [p. 202 modifica]

Per taluni sciagurati, la vita è un’anatema; costoro facciano bene o male, raggiungono invariabilmente la meta loro assegnata: il dolore. — Non è paradosso mio caro, non è scetticismo: tal quale mi vedi, ho tentate tutte le vie che mente umana possa immaginarsi; eppure lo crederesti? Mi trovai sempre qual prima annojato a morte. — Ho tentato sai di aver fede nell’avvenire; lo sa Iddio con quanta forza mi accinsi all’impresa! ma il destino mi avversa fatalmente....

La mia missione sulla terra è quella di vagheggiare le cose lontane nè mai avvicinarle. — Avviene di me come del viandante, che si trascina sulle ardenti arene del Sahara torturato dalle bugiarde promesse della Fata Morgana.

Ermanno stette alquanto in silenzio, poscia proseguì con un sogghigno quasi beffardo.

— Ah la virtù ed il dovere! Ecco due maschere d’ipocrisia, dietro cui si celano spesso abbominevoli delitti.... Gran bella cosa il dovere, è una scappatoja comodissima.... una risorsa! — Bada a me Paolo mio, non ti fidare mai di queste parole, ricordati che il più delle volte sono merce di contrabbando.... Ah! ah! mi piace assai quel dovere che impose a madamigella Laura Ramati di troncare una relazione incompatibile colle sue.... virtù!... Ti saluto leggiadra creatura dai capelli biondi come l’oro, dagli occhi cerulei come il cielo. — Seducente e vezzosa tu mi chiamasti colle tue grazie per poi respingermi collo zelo delle tue virtù.... Vola farfalla, vola leggiera come piuma sulla buccia d’un altro fiore.... il mio è già consumato!....

Paolo stava attonito contemplando l’amico, che andava man mano agitandosi fino al delirio; lo prese per il braccio, e sentì che i suoi polsi battevano fortemente; aveva la febbre. Tentò di calmarlo, ma [p. 203 modifica]invano; Ermanno proseguì: «Sarebbe forse il dovere che consigliò a madamigella Laura di mandarmi questo regalo», e sì dicendo trasse una lettera che consegnò a Paolo — Ecco il più bel saggio; la signorina gonfia di tutte le virtù, non conosce quella che si chiama Carità. Si calpestano tutte le promesse; si spergiura in nome di quanto v’ha di più sacro, indi si canzona quel poveraccio che ebbe la disgrazia di credere.

Paolo lesse sorpreso quanto segue:


Pregiatiss. Signore,

I coniugi Ramati hanno l’onore di partecipare alla S. V. Preg. che la loro unica figlia Laura passerà a nozze col signor Filippo Salviani da Milano — Sabbato prossimo si farà alla presenza d’amici parenti la cerimonia per le promessa nuziali.

I suddetti fanno calcolo sulla presenza di V. S. Ill.


— Spero bene che non vi andrai, disse Paolo.

— Certo sì, è un invito in tutte le forme, e non mancherei per tutto l’oro del mondo, sarebbe un rendersi scortese a tanta.... premura!

— Ermanno, sii ragionevole, da retta a me che parlo per il tuo meglio. Promettimi che non andrai.

— È inutile amico mio.... Ma non sai tu che attendo quel giorno con febbrile impazienza! — Io la vedrò ancora quella giovinetta ingenua, la vedrò festevole, profumata, inghirlandata... bella! Oh! perchè mo’ vorresti che io mi privi di tanta fortuna?... Eppoi più di tutto, io debbo farle le mie felicitazioni.... Certo, ella deve pretenderli questi riguardi dall’umile artista che degnò altra volta di uno sguardo...

— Saprò contenermi, saprò celare il mio dolore.... eppoi, ma che dolore debbo io avere! Importa forse a [p. 204 modifica]me che madamigella Ramati si faccia la sposa d’un altro?.... Val forse la pena che io mi prenda tanto fastidio per un’incostanza naturalissima, o dirò meglio... virtuosa? Ma che? non si hanno cento mila lire di dote per non avere il diritto di ridere, e divertirsi crudelmente alle spalle degli sciocchi, ed io mio caro Paolo sono fra questi.

— Con tante ricchezze si può liberamente lasciare da una parte la coscienza. — A ciascheduno il suo; tu hai pennelli, tavolozza, tela e colori; io il pianoforte, Haydn, Herz, Beethoven, Mendelssohn e Weber; madamigella Laura ha la sua dote.

— Prevedo che quel giorno delle sue promesse sarà uno dei più lieti di mia vita; ritornando a Milano, ti prego di annunziare a madamigella il mio arrivo per l’epoca fissata. È questo un dovere troppo sacro di gratitudine, e quella virtuosa signorina si merita assai più che non le congratulazioni d’un par mio.

— Tu le parlerai dunque della mia profonda... riconoscenza....

Non potè più proseguire, i singhiozzi gli soffocavano la parola; la violenza che egli fece per mostrarsi calmo coll’amico, lo prostrò del tutto, e si rovesciò sul seggiolone preda di un accesso di tosse secca e straziante.