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mento, ed il medico si azzardò alla promessa che presto l’infermo riacquisterebbe la salute.

Paolo che viveva nell’incertezza, volle un giorno persuadersi egli stesso sullo stato dell’amico. Partì pertanto da Milano per Brescia, ove appena giunto, si recò alla casa di Ermanno. — Lo trovò alzato, accanto al fuoco in arnese da camera.

Era pallido e macilento a tal segno, che Paolo provò una stretta al cuore in vederlo. La madre stava seduta accanto a lui; da due mesi quella povera donna, trascinava una vita di martirio accanto a quel malato scontento di tutto.

Quando Paolo entrò quella buona madre pianse per consolazione, giacchè ella sapeva quanta influenza egli esercitava sull’animo del figlio, e certa che essi avevano molte cose a dirsi, li lasciò soli.

I due amici parlarono per poco di cose indifferenti, infine Ermanno si lasciò sfuggire il nome di Laura. — Paolo, afferrata l’occasione spiegò tutta la sua eloquenza per consigliare l’amico a non più pensare a lei, e con una pittura viva ed animata, tentò di persuaderlo che egli poteva essere ancor felice. — Tutto fu vano. — Ermanno stette ad ascoltarlo, e quando Paolo ebbe terminato, sclamò con aria d’indifferenza agitando la cenere con una canna.

— Tu dici mio buon Paolo che non bisogna mai disperare, che al mondo ve n’ha per tutti della felicità; ma t’inganni d’assai. — Per convincerti di quanto asserisco, è necessario che tu entri alquanto nella mia condizione, è necessario dirti che se gli avvenimenti del passato sono a te larghi di promesse per l’avvenire, per me la cosa corre ben diversa. — Ho tentato varie volte di credere, mi sono spesso confortato alla speranza; ma infine, non trovai che delusioni!....