Un bel sogno/IX
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IX
Ritorneremo ad Ermanno che abbiamo lasciato triste e malinconico per la partenza di Laura. — Egli passò come dicemmo la notte sul balcone abbandonato a’ suoi pensieri, ed all’alba solamente si scosse per andarsene al riposo. Cercò invano un’ora di sonno essendo troppa la folla delle idee che gli facevano ressa nella mente. All’indomani si alzò molto abbattuto, e sua madre, premurosa come sempre, che aveva scoperta sulla di lui fronte la traccia di un affanno, lo interrogò in mille guise senza che egli volesse dirle ciò che l’opprimeva. — La buona donna non seppe darsene pace, era troppo avvezza a vedere la serenità sul volto del figlio per istarsene tranquilla a quell’improvviso cambiamento.
Ermanno era per natura pochissimo robusto; la sua tempra troppo delicata, le forze sciupate dal lungo studiare in un’età in cui è necessario muoversi ed agitarsi. — Di più egli era stato più volte ammalato gravemente, e l’ultima malattia gli aveva lasciato la traccia di un pallore costante.
È facile immaginarsi la costernazione di quella povera donna nel vederlo tanto malinconico; ella temeva che ciò fosse causato da qualche indisposizione, epperciò non cessava di esortarlo a consigliarsi col medico; ma ohimè la scienza non sa ancor guarire queste afflizioni di cuore!
Passarono alcuni giorni senza che Ermanno desse un segno di miglioramento, e non si potrebbe ridire il dolore di quella buona donna nel leggere nello sguardo del figlio le tracce di una crescente desolazione.
Ermanno comprese i timori di sua madre, e talvolta sforzavasi al sorriso, ma il cuore di una madre non si può ingannare, e quel sorriso era maggior strazio per colei che ne conosceva l’amarezza.
Alcuni giorni dopo la partenza di Laura, Alfredo si recò da Ermanno, e lo sorprese appunto mentre stava abbandonato sul seggiolone in preda alla sua mestizia.
— Buondì, mamma Alvise, sclamò Alfredo stringendole la mano, la salute è buona?
— Oh! per me, non c’è male, rispose ella sospirando; ma Ermanno soffre.
— Oh diavolo! Che hai trovato di male?
— Non ci badare sai, rispose Ermanno alzandosi, la mia buona mamma si ficcò in testa che io debba essere malato, e non c’è caso di farla ricredere.
— Voglia il cielo figlio mio che m’inganni! Ma è un fatto che per esser sempre col broncio e di pessimo umore, bisogna aver qualche indisposizione.....
— Ma no, tutt’altro, non mi sono mai trovato tanto bene.
A tal risposta alquanto asciutta, la madre abbassò sospirando il capo, e riprese il suo lavoro.
— Meno male, sclamò Alfredo, la cosa infine non è tanto seria, e speriamo che fra qualche giorno tutto sia finito. — E volgendosi ad Ermanno soggiunse: Sono venuto da te, perchè ho molte cose a dirti. Prima di tutto mia cugina ha scritto, e fu un vero miracolo la sua sollecitudine; è tanto pigra!
Ermanno al sentire che Laura scrisse provò un indefinibile turbamento, e temette a bella prima che quell’ingenua giovinetta avesse fatta qualche imprudente confidenza; era ansioso di sapere ciò che ella aveva scritto, ma in faccia ad Alfredo ostentò la più grande noncuranza. — Alfredo proseguì:
— Scrisse una lunghissima lettera a mia sorella, nella quale rammaricava la sua partenza da Brescia. È tanto carina quella fanciulla: e come scrive bene; ti farò vedere la lettera, c’è da leggere per un’ora. — Ella c’incarica di farti i suoi più distinti saluti, sono sue parole, e ti prega di non dimenticare la famosa romanza che le hai promesso.
— Ah! è vero, sclamò Ermanno come se si ricordasse appena allora.
— Oh! mostro, tu eri capace di dimenticartene! Decisamente di voi altri artisti c’è poco da fidarsi; ma tu la farai ad ogni costo questa romanza.
Mamma Alvise non lavorava più. Appena sentì parlare della cugina di Alfredo fissò gli sguardi scrutatori sul volto del figlio; un’idea le era balenata alla mente. Il cuore d’una madre non s’inganna mai, e per quanta indifferenza abbia ostentata Ermanno, ella indovinò perfettamente quale fosse la causa di tanta mestizia. Egli aveva potuto ingannare l’amico, ma non la madre. — Di questa scoperta la buona donna ebbe a rallegrarsi, e pensò che trattandosi non d’altro che d’un po’ d’amore, non aveva a temerne serie conseguenze, confidando nel facile rimedio del tempo.
Alfredo continuò:
— Figurati con quanta ansietà ella attende quella musica.
— Hai ragione, rispose Ermanno, sempre con fare indifferente; nella settimana mi accingerò.
— V’ha di più riprese Alfredo, la cuginetta ti prega anche a nome di sua madre di non dimenticarti di scrivere a Paolo per quei ritratti.
— Va bene.
— Articolo quarto, l’intera famiglia Ramati, ti prega di recarti presto a Milano, ed incarica me di trascinarviti ove tu non voglia accondiscendere.
— Ne riparleremo poi, grazie tante.
— Quinto ed ultimo, la zia ti saluta particolarmente; ho finito.
Era tempo, giacchè Ermanno non ne poteva più, temendo ad ogni momento che Alfredo ne dicesse qualcuna grossa; e solo quando costui ebbe terminato sentì allargarsi il cuore.
— Oh! mi dimenticava di un’altro articolo: sclamò Alfredo: mia sorella ti pregherebbe di volerle continuare il corso di lezioni sospeso da qualche tempo, non si sa il perchè.
— Madamigella Letizia ha tutte le ragioni; verrò....
— Ed ora ho finito. Ricordati dunque della romanza, di Paolo e di mia sorella.
— Ma sì, mio Dio, non sono uno smemorato!
— Quanto meno, non dai saggio di buona memoria, rispose Alfredo. — Esci?
— Sì, disse Ermanno; ho due lezioni da dare. — Egli ne aveva abbastanza di essere sulle spine; fermandosi più oltre l’amico poteva venir fuori con qualche altra storia, ed in faccia a sua madre ciò gli sarebbe dispiaciuto assai.
Uscì con Alfredo che lo accompagnò per poco, e quando Ermanno fu solo sì abbandonò alle riflessioni. — Laura si ricordava di lui, lo aveva nominato, e con prudenza; chissà quale impressione aveva fatta in lei la sua lettera! forse la poverina ne aveva pianto.
Ma fra tutto eravi una cosa che non permettevagli di gioire della buona memoria che ella serbava di lui. Egli sperava che Laura dopo quella lettera gli avrebbe scritto una parola almeno; ella conosceva il suo indirizzo, nè ignorava certo che una sua lettera gli avrebbe fatto un gran bene. E perchè dunque non scriveva?
Per una damigella, se riesce difficile il ricever lettere, non lo è tanto lo scriverne; un pretesto qualunque basta per mandare alla posta un bigliettino. Tuttavolta per iscusarla, tentava di persuadersi non essere conveniente che una ragazza scrivesse ad un giovinotto, ma tale riflessione valeva assai poco — Quando si ama davvero si pensa forse alle convenienze? Ecco la sua logica.
— Quale reticenza può mai assalire una giovinetta, nello scrivere una lettera che può formare la felicità di un uomo?... Perchè quel silenzio, ella lo amava dunque sì poco da non poter superare d’un grado le convenienze sociali?
A tali pensieri Ermanno si sentiva oppresso e passeggiava agitato e convulso; sensibilmente l’idea predominante divenne quella che l’affetto di Laura fosse passeggiero, e fu preso da tale sconforto che ricadde tosto nella sua tristezza.
Lo sfogo nel cuore di un amico è gran sollievo, ma Ermanno ne aveva un solo in Brescia, ed appunto con quello non poteva confidarsi — Paolo era a Milano.... Ricordando Paolo, si sovvenne pure della lettera che aveva promesso di scrivere per invitarlo a passare in casa Ramati. — Ritornò a casa, ed ecco la lettera diretta all’amico.
- Caro Paolo,
«Ti scrivo sotto una triste impressione. — Da alcuni giorni mi pesa al cuore una rilassatezza sconfortante; da alcuni giorni sono assalito da tutte le noie, oppresso dai più crudeli pensieri. — Chi mai lo avrebbe detto? Poco tempo fa io ti scrissi l’ultima mia lettera coll’animo pieno di felicità e di speranza, in allora non aveva un’idea che non fosse un sorriso: l’arte e mia madre erano il mio mondo, viveva di esse e per esse; ed ora mio buon amico, tutto è cambiato!
«Titubai qualche giorno a darti sì triste novella, ma infine non so più reggere al peso di tanti dubbi, ed ho bisogno di sfogare la piena dell’amarezza che mi tormenta. — Permettimi dunque, mio caro Paolo, che nel tuo seno io volga un riflesso de’ miei dolori.
«L’amore; quell’eterno sentimento che da tutti i secoli agita i poveri mortali, quel misterioso senso a cui nulla resiste, incatenò me pure ad una vana illusione. — Mi sono opposto con tutte le forze, mi armai di tutta la mia abnegazione per combatterlo, ma indarno; io caddi e passai anima e corpo sotto l’impero del vincitore. — Ecco come.
«Ti ricordi di Alfredo Ramati nostro amico fin dall’infanzia? Fu egli involontaria cagione di tutto. Alcuni giorni fa, venne qui in Brescia una sua cugina che abita in Milano; e per farle cosa grata, Alfredo m’invitò a casa sua per fare un po’ di musica. —
«Puoi figurartelo, vi andai; non so negar nulla a quel caro Alfredo che mi ama sinceramente. — Vi andai, ma io non avrei mai creduto di lasciare la mia pace in quella casa; non so dirti come, ma il fatto è che nella stessa prima sera, mi sentii stranamente commosso. Ritornai all’indomani, e.... cosa vuoi che ti dica amico mio: Laura è una creatura celeste, e sono certo che appena la vedrai, ti piglierà desiderio di disegnare quella figurina sì delicata e gentile. —
«Per abbreviare; in capo a tre o quattro giorni mi accorsi di esser perdutamente innamorato di quella fanciulla; la fatalità volle che essa pure divida i miei sentimenti; è tanto ingenua che mal seppe celarmi il suo segreto. — Oh! non l’avessi mai scoperto! L’uomo è decisamente troppo ardito nelle sue aspirazioni, e non so come mai ho potuto concepire una sì strana follia; come mai un’amore così insensato venne ad impossessarsi di me!
«Io aveva in mio soccorso la più salda ragione, ma ciò valse a nulla. — Ora essa è partita da sette giorni trovasi in Milano, da sette giorni, capisci la noia e lo sconforto mi tormentano, e questo povero mio cuore non ha più pace. — L’immagine di quella giovinetta, le sue carezze, i suoi sorrisi mi rimasero impressi in quello slancio della fantasia che si chiama l’anima.
«Dopo tutto; non è egli un sogno, un sogno molto, ma molto lontano da ogni ombra di realtà! Eppure io lo vagheggio questo sogno come una cara speranza. — Mio buon amico, tu più che nol sii ti ostini a parer scettico; ebbene sacrifica per poco il tuo sistematico dubbio e credi, credi che soffro, credi che amo. Che l’idea del mio dolore tenga lontano dal tuo labbro il sorriso dell’ironia; non tutti sono forti, ed io ne dò chiara prova, io che mi sono smarrito nello sguardo di una fanciulla che ora per frutto d’inesperienza crede d’amarmi, e domani forse mi dimenticherà.
«Già prevedo il triste fine di questo episodio di amore; lo prevedeva prima ancora che il mio cuore ne subisse l’influenza, e nonpertanto non seppi ritrarre il piede, ed eccomi vittima di una follia che io stesso deploro senza cercarvi rimedio.
«Si può forse amare un’essere lontano? Dal canto mio sì, perchè nella continua lotta dell’esistenza vidi cadere mille speranze deluse, perchè io posso isolarmi moralmente dalla società per dedicarmi in secreto al culto di una memoria; perchè io non temo più il fascino lusinghiero del mondo. — Ma per lei la cosa corre ben diversa; giovane, nuova alle emozioni della vita, ne vagheggia le dolcezze; bella e ricca si accuserà un giorno di essere stata ben sciocca a cercare la luce nelle tenebre. Al primo sorriso di qualche elegante della capitale si scorderà dell’oscuro artista che vive nel fondo di una provincia. Nell’appariscenza dei saloni brillanti a cui le danno largo accesso i suoi pregi, e la sua dote, le svaniranno dalla memoria, financo le mie sembianze, ed un giorno forse incontrandomi cercherà nelle sue reminiscenze per rammentarsi dove e quando mi abbia veduto.
«È doloroso a dirsi! e non pertanto mi abbandono alla corrente per ciò solo che non avrei nè la forza nè la volontà di ritirarmi; mi abbandono al mio sogno, assaporandone tutte le illusioni. — Chissà che un giorno io non mi svegli guarito! Lo spero perchè questa guarigione mi è necessaria; perchè ho bisogno della mia pace per istudiare, giacchè l’arte oramai non ha per me più nessun conforto.
«L’amore immenso della mia povera madre mi lascia ancora un vuoto nell’anima. Io la veggo questa buona donna addolorarsi per la mia mestizia; ella teme che io sia malato, epperciò mi usa mille attenzioni; la sua vita è di affannarsi per cercarmi qualche conforto; ma io non le dirò mai la causa del mio male. Ella sarebbe gelosa di colei che le invola tanta parte del mio affetto. —
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«Passo ora alla seconda parte della mia lettera. Nel breve soggiorno che fecero Laura e sua madre in Brescia ebbimo occasione di parlare di te, e la stessa madama Ramati mi pregò di scriverti onde invitarti a passare da lei per alcuni ritratti. — Il signor Ramati, che forse tu conoscerai abita in via... — Unisco le mie alle loro preghiere, e sono certo che non mancherai d’andarvi: credo inutile dirti che se farai il ritratto di Laura, ne desidero ardentemente uno schizzo.
«Mi raccomando dunque a te, e perdonami se alle volte ho potuto colla presente, non dirò annoiarti, ma involarti un tempo prezioso. Reciproca confidenza fu il patto di nostra amicizia, e nel tuo cuore io rinvenni sempre un tesoro di conforti; tu invece non ne abbisogni, sei felice, e che il cielo ti conservi quella felicità come te l’augura con tutta l’anima il tuo
Ermanno.»