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Passarono alcuni giorni senza che Ermanno desse un segno di miglioramento, e non si potrebbe ridire il dolore di quella buona donna nel leggere nello sguardo del figlio le tracce di una crescente desolazione.

Ermanno comprese i timori di sua madre, e talvolta sforzavasi al sorriso, ma il cuore di una madre non si può ingannare, e quel sorriso era maggior strazio per colei che ne conosceva l’amarezza.

Alcuni giorni dopo la partenza di Laura, Alfredo si recò da Ermanno, e lo sorprese appunto mentre stava abbandonato sul seggiolone in preda alla sua mestizia.

— Buondì, mamma Alvise, sclamò Alfredo stringendole la mano, la salute è buona?

— Oh! per me, non c’è male, rispose ella sospirando; ma Ermanno soffre.

— Oh diavolo! Che hai trovato di male?

— Non ci badare sai, rispose Ermanno alzandosi, la mia buona mamma si ficcò in testa che io debba essere malato, e non c’è caso di farla ricredere.

— Voglia il cielo figlio mio che m’inganni! Ma è un fatto che per esser sempre col broncio e di pessimo umore, bisogna aver qualche indisposizione.....

— Ma no, tutt’altro, non mi sono mai trovato tanto bene.

A tal risposta alquanto asciutta, la madre abbassò sospirando il capo, e riprese il suo lavoro.

— Meno male, sclamò Alfredo, la cosa infine non è tanto seria, e speriamo che fra qualche giorno tutto sia finito. — E volgendosi ad Ermanno soggiunse: Sono venuto da te, perchè ho molte cose a dirti. Prima di tutto mia cugina ha scritto, e fu un vero miracolo la sua sollecitudine; è tanto pigra!

Ermanno al sentire che Laura scrisse provò un indefinibile turbamento, e temette a bella prima che quell’ingenua giovinetta avesse fatta qualche impru-