Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 2/Prologo

Trattato - Libro 2 - Prologo

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PROLOGO.

L’intelletto nostro sebben di tutti i corpi è più nobile, così fra tutte le sostanze immateriali e incorruttibili è manco perfetto, il quale in questa carcere del domicilio corporeo per la debilità sua alcuna volta iudica il contrario di quello che per altri tempi è parso vero. È non solo una, ma più volte che una medesima cosa ha vari e opposti concetti. Adunque molto più è contingente che diversi ingegni abbiano da una medesima verità opposite opinioni; e che più è, non solo è discrepanza fra quelli che di una medesima conclusione formano contrari concetti, ma ancora fra quelli che ad un fine contrario per diversi mezzi a quello procedono, come diverse linee ad un medesimo centro o punto pervengono. Questo avviene agli uomini circa all’arte dell’architettura, perchè molti sono stati secondo la legge naturale vivendo, i quali si sono persuasi che e’ sia supervacaneo e pestifero il fabbricare al mondo sontuosi edifizii, e delle ragioni loro queste sono le potissime. In prima dicono non essere convenienti simili opere, dove bisogna esponere tanto di tempo, tante divizie, e l’intelletto tenere occupato da simili cure inutili, le quali infine non pare che si convengano ad un animale tanto infelice quanto è l’uomo, il quale mai nè di corpo, nè di animo ha quiete, di cui la vita è tanto breve, caduca e incerta, piena di angustia e a tante alterazioni e passioni soggetta. La qual cosa eziandio li nostri confermano essere, e infra gli altri Messer Francesco Petrarca: [p. 155 modifica]

..........Heu sortis iniquae

Natus homo in terris animalia cuncta quiescunt

Inrequietus homo.

Simonide filosofo antico eziandio diceva che l’uomo come mortale e transitorio non dovea avere cura di cose perpetue, ovvero non proporzionate alla vita sua; perocchè i mortali cose mortali e basse, gl’immortali le immortali ed alte dovevano sapere trattare e mettere in uso. Questo considerando più uomini moralissimi romani, umili e basse case vollero abitare, siccome fu Valerio Pubblicola, Menenio Agrippa, C. Fabio, Attilio Regolo, Q. Emilio, Q. Cincinnato, e tutta la famiglia Elia una povera casetta volle per abitaculo, e molti altri dei quali quasi il numero è infinito. A questo fine molti evangelici si sono indotti per altre ragioni ed autorità, presupponendo l’anima umana essere immortale, come per molte suasive e forti ragioni e invincibili autorità si dimostra: e oltre a questo, gli uomini in questa vita mortale essere viatori. D’onde ne segue che e’ non sia da edificare, non da fare mansioni quaggiù in terra, per le quali cure l’uomo si distrae dalla felicità sua e ultimo fine: ma con buone e sante contemplazioni e operazioni doversi passare questo nostro breve corso di vita: la qual cosa benchè con infinite quasi autorità evangeliche si possa roborare, quelle pretermettendo come manifeste di assegnare, nientedimeno un’autorità ed un esempio solo assegno: l’autorità è di Salomone nei Proverbii al XXX.° capitolo, dove dice: Mendicitatem et divitias ne dederis mihi; tribue et tantum victui meo necessaria; ne forte satiatus illiciar ad negandum, et dicam: Quis est Dominus? L’esempio di Metusalem che per rivelazione divina intendendo la vita sua dovere essere di settecento anni, non volle pure una capanna fabbricare, siccome appare nella bibbia e vita sua1. Quanti eziandio della legge evangelica abbino esortato la spontanea povertà, non sarei sufficiente ad enarrare.

Queste ragioni, quando universalmente e di necessità concludessero, questa parte d’architettura saria, inutile ovvero illecita: e però non mi pare opportuno rispondere a quelle, non come gli Epicurii che la somma [p. 156 modifica]felicità nelle voluttà e delizie di questa vita ponevano, i quali meritamente sono da tutti gli altri morali filosofi e naturali riprovati. Ma presupponendo da tutte le leggi umane e divine queste cose essere approvate, in prima dico si devono proporzionate abitazioni e dilettevoli edificare: perocchè ogni cosa naturalmente appetisce il luogo a sè conveniente, e in quello si quieta. Essendo adunque l’uomo più temperato che alcun altro animale, seguita ch’ei sia più offeso dagli elementi ed eccessive qualità loro che gli altri, e però gli fa di bisogno aver domicilio più artificioso degli altri, il quale con quanto maggior arte fusse composto, tanto a lui sarà più proporzionato e condecente. E dico che a questa cura (quanto all’eseguire) non sono occupati se non uomini rozzi ed inetti ad altri esercizii più alti, e quanto all’ordinare e deliberare piccolo tempo ai periti bisogna: nè ancora le divizie che in quelli edifizii si spendono sono in vano, sì per la comodità che ne segue dell’abitare, sì eziandio perchè di quelle molti bisognosi partecipano; nè la breve e incerta vita nostra ci costringe a non edificare, se noi con vera ragione vorremo considerare: perocchè non solo per le persone proprie si edifica, ma per i posteri ancora: il quale atto è proprietà di bontà, cioè comunicare i comodi e i beni suoi agli altri, come appare per Dionisio nel quarto capitolo de’ Nomi divini2. Non doviamo ancora affermare l’uomo essere più infelice animale degli altri perchè l’appetito suo sia insaziabile, anzi tutto l’opposto concludere, perchè quanto una cosa è manco degna e perfetta, tanto con meno comodità e istrumenti si quieta, come è manifesto a qualunque intelligente. Adunque l’inquietudine sua solo da perfezione d’intelletto procede, e perchè il fine suo è più alto che la presente vita possa concedere. Onde di questo fondamento i teologi inferiscono l’immortalità dell’anima.

Alle ragioni degli evangelici rispondo che esse senza dubbio bene procederiano, quando l’uomo edificasse ponendo la sua speranza e felicità, ponendola maggiore che il debito negli edifizii, ovvero altri beni mondani: ma in questo luogo l’opposto si presuppone. E universalmente [p. 157 modifica]dico che ogni magnificenza, ogni opera e pompa mondana fatta in laude e gloria di chi ne ha dato il sapere e potere, è atto meritorio.

Adunque concludendo possiamo dire che senza vizio alcuno si può edificare secondo che la natura inclina ciascuno a fare un domicilio secondo l’intenzione sua se dagli antecessori non lo ha posseduto: e quello fare con dilettabile apparenza e amena esistenza, secondo la ragione dell’architettura: perocchè il medesimo spendio regolato rende l’edifizio congruo, comodo, durabile, che senza norma di architettura produce in tutto contrarii effetti.

Note

  1. Ciò veramente nella Bibbia non appare.
  2. S. Dionysii Areopagitae, De divinis nominibus, cap. IV. 1.